Memet

Un freddo angolo di spazio.


Ricordi. Memorie. Da tempo immemore vivo in questo freddo angolo di spazio. I miei pensieri accompagnano il ripetersi perpetuo dei momenti. Luce. Buio. Luce. Buio. Dovrei essere morto eppure penso. Quando morii ero preoccupato. Quanto tempo morto da vivere. Morto. Poi mi accorsi del mio riflettere e sussultai. Metafisicamente. E’ questo il mistero che ognuno ignora. La morte. Il nulla sensitivo dalla fine all’eterno. Giunto l’acapo inizia un nuovo verso scritto con vocaboli ignoti e invisibili agli occhi ormai chiusi. Eppure questo nuovo esistere li rende chiari e intelligibili. Non sono morto o lo sono, forse, da un punto di vista limitato. Il vostro. Sono materialmente morto. Intimamente vivo. Morta l’immagine sopravvive il riflesso. Riflessione. Pensiero. E, di nuovo, Pensieri. E’ come se io fossi la loro materializzazione continuamente mutante. Non me li sento addosso e dentro. Non ho un addosso e un dentro in cui sentirli. Non ho un provare. La mia sensitività è la mia consapevolezza di sentirmi pensante. La mia fine è il mortificante esser fine a me stesso. Congelato. Intrappolato da una plastificata imperitura corazza. Così, isolato dal mondo e protetto da un tempo disarmato nel suo essere relativo. I miei me pensierosi osservano, vitrei occhi dell’anima, il candore circostante. In attesa di un qualcosa che prima o poi DEVE succedere. Tutto è sempre stato ineluttabile e l’ineluttabile non può cessare e non accadere. L’ineluttabile è l’eterno continuo perpetuarsi di “presenti”. Anche ora che penso affermo l’ineluttabile. Superfluo. Mi credono morto. Forse morto lo sono veramente. Da un certo punto di vista almeno. Limitato. Il vostro. Non esisto per nessuno se non per me stesso. E se solo io mi sento vivo la mancanza di riconoscimento altrui della mia vividità non mi rende morto? Morto agli occhi dei più. Morto agli occhi. La prima cosa che farò non appena mi riconosceranno vivo sarà cambiare il concetto di morte. Una rivoluzione del pensiero. Ma forse nemmeno questo potrò fare. Nel momento stesso in cui scorgeranno l’oltre che c’è, sarà già tutto cambiato e io non avrò voce in capitolo. E forse sarà perchè nel mentre sono tutti morti. Nel vecchio concetto del termine si intende. E se non noteranno nulla? Non avrò argomenti per nessuno. Sono nelle mani dell’ineluttabile. Luce. Buio. Luce. Buio. Chissà se anche voi altri morti siete vivi come me? Chissà se la morte che mi circonda è vita, a sua volta tremendamente incapace di gridarsi tale. Siamo un sacco di esistenze spente in confezione da uno. Così desiderosi di comunicare la nostra vita. E così mortalmente incapaci di farlo. Quanto attendere? Quanto tempo per pensare. Quanto ancora succedere ineluttabile? Da “Memorie di un pesce surgelato” MW