Il viaggio di Tamiri

L'eterno errare


Tamiri era un poeta, un poeta abilissimo, un cantore senza eguali. Egli era consapevole della sua superiorità, era un artista maturo. Decise - racconta Apollodoro - di sfidare tutte le nove Muse in una gara poetica. Se avesse vinto - questi erano i patti - avrebbe giaciuto con loro. Tamiri desiderava possedere anche fisicamente ogni singolo aspetto dell'arte, ma la sua tracotanza fu punita, perché perse. Le dee spietate e offese lo privarono della vista e della voce e lui, disperato, abbandonò la cetra per darsi all'erranza. Non v'è poeta che non abbia perso qualcosa, un qualcosa di proprio. Tamiri non poté né più vedere né esprimere il proprio pensiero e la scrittura ancora non era stata ideata. Da allora, Tamiri, come l'Ebreo errante giudaico, vaga per la terra alla ricerca della propria essenza, e noi, indefessi umani che ogni giorno cerchiamo di comprendere quale scintilla divina brilli in noi (o che al contrario cerchiamo di non vederla) non possiamo fare altro che cercare, come Tamiri, le radici della bellezza, profonde e calde sotto il mantello del mondo.