Creato da MJKing il 17/07/2010

Invisible Love

L'uomo non è in grado di assaporare il presente perchè pensa ed architetta il proprio futuro

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Forgive me

Post n°4 pubblicato il 23 Luglio 2010 da MJKing

 

 
 
 

Paulo Coelho - Undici minuti

Post n°3 pubblicato il 23 Luglio 2010 da MJKing
 

C’era una volta una prostituta di nome Maria. Un momento. “C’era una volta” è la frase migliore con cui cominciare una storia per bambini, mentre “prostituta” è una parola da adulti. Come posso scrivere un libro che rivela questa apparente contraddizione iniziale? Comunque, visto che in ogni istante della nostra vita abbiamo un piede nella favola e l’altro nell’abisso, manterrò questo incipit.

C’era una volta una prostituta di nome Maria. Come tutte le prostitute, era nata vergine e innocente e, nell’adolescenza, aveva sognato di incontrare l’uomo della sua vita (ricco, bello, intelligente), di sposarsi (in abito bianco), di avere due figli (che da grandi sarebbero diventati famosi) e di vivere in una bella casa (con vista sul mare). Il padre faceva il venditore ambulante, la madre era sarta. Nella sua sperduta cittadina del Brasile c’erano solo un cinema, un locale e una piccola banca. Perciò Maria aspettava il giorno in cui il suo principe azzurro sarebbe arrivato senza avvisare, e avrebbe conquistato il suo cuore – e allora lei sarebbe partita insieme a lui alla conquista del mondo.

Fino a quando il principe azzurro non fosse apparso, lei non avrebbe potuto far altro che sognare. S’innamorò per la prima volta a undici anni, mentre si recava a piedi da casa fino alla scuola. Il primo giorno di lezione, scoprì infatti di non essere l’unica a fare quel percorso: accanto a lei camminava un ragazzino che viveva nelle vicinanze e frequentava le lezioni nel suo stesso orario. I due non scambiarono mai una sola parola, ma Maria cominciò ad accorgersi che il momento della giornata che più le piaceva era quello in cui avanzava lungo la strada polverosa, malgrado la sete, la stanchezza e il sole a picco, con quel ragazzino che procedeva lesto mentre lei si sfiniva nello sforzo di mantenere la sua andatura.

La scena si ripeté per vari mesi. Maria, che detestava lo studio e non aveva altra distrazione all’infuori della televisione, si ritrovò a sperare con ogni forza che la giornata passasse rapidamente: aspettava con ansia il giorno di scuola successivo e, al contrario delle compagne, trovava noiosissimo il fine-settimana. Ma, per un bambino, le ore erano ben più lente a passare che per un adulto, e così lei soffriva: reputava che i giorni fossero troppo lunghi perché le concedevano soltanto dieci minuti quotidiani in compagnia dell’amore della sua vita e migliaia di ore in cui pensava a lui, fantasticando su quanto sarebbe stato bello se avessero potuto chiacchierare.

E ciò accadde.

Una mattina, il ragazzino le si avvicinò, chiedendole in prestito una penna. Maria non rispose, assunse un’aria alquanto irritata per l’inatteso abbordaggio e accelerò il passo. Era rimasta pietrificata dalla paura quando lo aveva visto camminare nella sua direzione; aveva il terrore che lui si accorgesse di quanto lo amava, di quanto lo aspettava, di come sognava di prenderlo per mano, oltrepassare il cancello della scuola e proseguire sino alla fine della strada, dove – si diceva – sorgeva una grande città, con personaggi fantastici, artisti, automobili, tantissimi cinema e un’infinità di cose belle da fare.

Quel giorno non riuscì a concentrarsi sulle lezioni. Soffriva per quel suo comportamento assurdo, ma al tempo stesso si sentiva sollevata per il fatto di sapere che ancheil ragazzino l’aveva notata. La penna era stata soltanto un pretesto per parlarle, poiché quando lui si era avvicinato, Maria ne aveva notata una nella sua tasca. Cominciò dunque ad attendere la conversazione successiva, e trascorse quella notte – così come le notti seguenti – fantasticando sulle molteplici risposte che gli avrebbe dato, fino a trovare il modo giusto di iniziare una storia che non avesse più fine.

Ma non ci fu nessun’altra conversazione. Per quanto continuassero ad andare a scuola insieme – talvolta con Maria che lo precedeva di qualche passo tenendo una penna in mano, talaltra camminando dietro di lui per poterlo osservare con tenerezza –, il ragazzino non le rivolse mai più la parola, e lei dovette accontentarsi di amare e soffrire in silenzio sino al termine dell’anno scolastico.

Durante le successive, interminabili vacanze estive, una mattina Maria si svegliò con le gambe bagnate di sangue e credette di morire. Decise di scrivere una lettera al ragazzino che era stato il grande amore della sua vita e progettò di inoltrarsi nel sertão, in quel territorio arido e desertico, per farsi divorare da uno degli animali selvatici che terrorizzavano i contadini della zona: il lupo mannaro o la mula senza testa. Solo così i suoi genitori non avrebbero pianto la sua morte, perché i poveri mantengono sempre viva la speranza, malgrado le tragedie che gli capitano. In questo modo, avrebbero pensato che fosse stata rapita da una famiglia ricca e senza figli, ma che un giorno sarebbe tornata, coperta di gloria e denaro; anche l’attuale (ed eterno) amore della sua vita non l’avrebbe mai dimenticata, soffrendo ogni mattina per non averle più rivolto la parola.

Non arrivò mai a scrivere quella lettera, perché la madre entrò nella stanza, vide le lenzuola arrossate, sorrise e disse: “Ora sei una signorina, figlia mia.”

Maria volle sapere che rapporto ci fosse tra l’essere signorina e il sangue che scorreva, ma la madre non seppe spiegarglielo: si limitò ad affermare che era normale e che da allora avrebbe dovuto usare una specie di cuscinetto da bambole fra le gambe, per quattro o cinque giorni al mese. Quando domandò se gli uomini utilizzassero un tubicino per evitare che il sangue gli imbrattasse i pantaloni, apprese che quella cosa capitava solo alle donne.

Maria protestò con Dio, ma finì per adattarsi alle mestruazioni. Non riusciva, invece, ad abituarsi all’assenza del ragazzino e continuava a rimproverarsi per quel suo stupido atteggiamento che l’aveva fatta fuggire da ciò che più desiderava. Il giorno prima che ricominciasse la scuola, si recò nell’unica chiesa del paese e giurò alla statua di Sant’Antonio che avrebbe preso l’iniziativa di parlare con il compagno di strada.

L’indomani, si preparò con la massima cura, indossando un vestito che la madre le aveva cucito per l’inizio della scuola; poi uscì, ringraziando il Signore perché finalmente le vacanze erano finite. Ma il ragazzino non comparve. Trascorse un’intera, angosciosa settimana, fino a quando lei venne a sapere, da alcuni compagni, che si era trasferito in un’altra città.

“Se n’è andato lontano,” disse qualcuno. In quel momento, Maria imparò che alcune cose si perdono per sempre. Apprese inoltre che esisteva un posto chiamato “lontano”, che il mondo era vasto e il suo paese piccolo, e che le persone più interessanti finivano sempre per andarsene. Anche lei avrebbe voluto partire, ma era ancora troppo giovane. Guardando le strade polverose del paesotto dove abitava, decise comunque che un giorno avrebbe seguito i passi di quel ragazzino. Nei nove venerdì successivi, secondo un’usanza della sua religione, fece la comunione e chiese alla Vergine Maria di portarla via da lì, un giorno.

Per qualche tempo soffrì, cercando vanamente di avere notizie del ragazzino, ma nessuno sapeva dove si fosserotrasferiti i suoi genitori. Maria cominciò allora a pensare che il mondo fosse troppo grande, e l’amore troppo pericoloso, e che la Vergine fosse una santa che dimorava in un cielo distante e non si curava di ciò che chiedevano i bambini.

 
 
 

Come si fa a far durare un amore?

Post n°2 pubblicato il 23 Luglio 2010 da MJKing

 

 
 
 

Gibran L'amore

Post n°1 pubblicato il 23 Luglio 2010 da MJKing

 

 
 
 
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