Etnicarchia

L'appello


La Padania   -  LIBERO      28.05.2006di Gianluigi Paragone Se lo conosco bene, per quello che sto per dire sarà il primo ad appendermi per le orecchie e dirmi: che ti salta in testa, pirla? Ma se le cose hanno ancora un senso, Umberto Bossi deve essere nominato senatore a vita. Non so se ci sia una prassi particolare e come funzioni: non m’è mai capitato di tirare la volata a un senatore a vita. Uso il giornale e mi assumo personalmente la responsabilità dell’iniziativa. Ne ho parlato solo con tre persone: Vittorio Feltri, Letizia Moratti e Giuseppe Leoni. Feltri è stato il primo giornalista a scommettere col suo Indipendente su Bossi e sulla Lega, era giusto chiedergli cosa ne pensasse. La Moratti perché m’è scappato durante un’intervista mentre domandavo della sua amicizia con Bossi. Leoni è l’unico leghista al quale ho anticipato quello che avrei scritto. Bossi e Leoni hanno condiviso il primo biglietto di andata e ritorno Milano-Roma, nell’87. Solo che sono entrati da due ingressi diversi: Leoni alla Camera, Bossi al Senato. Da qui, l’appellativo di Senatur che gli rimarrà appiccicato addosso per sempre.Può, allora, un Senatur non essere senatore a vita? Certo che no. Ecco perché.Umberto Bossi è un politico di razza, una testa politica fine e acuta. Glielo riconoscono tantissimi, chi sottovoce per non farsi sentire, chi alla luce del sole. Nell’anno in cui è stato male, la politica è come se fosse andata in ferie: piatta, senza guizzi e senza particolari intuizioni. C’erano solo Follini e Tabacci a sparigliare, però se permettete... Non per disistima pregiudiziale, sia chiaro: Follini e Tabacci hanno in testa un progetto politico - quello del centro come ago della bilancia - che non è particolarmente stravolgente. Tanto meno è un progetto di cambiamento.Quello di Umberto Bossi, invece, lo è stato e lo è ancor oggi: il federalismo. Prima che il Senatur irrompesse col suo linguaggio e le sue provocazioni, il federalismo era roba da accademia, da libri di scienza della politica. Bossi lo afferrò dal mondo delle idee e lo portò in piazza. Padroni a casa nostra era lo slogan che valeva cento manuali di teoria. E quei manifesti con la gallina dalle uova d’oro o Paga somaro lombardo erano roba da premio Pulitzer per come in pochi mesi, grazie al suo modo di comunicare, Bossi centrò la notizia.Lo presero in giro come si fa coi fenomeni da baraccone. Lui tirò dritto. Piazze, comizi, Pontida. E poi, Coca Cola, pizze e nottate in bianco per spiegare ai suoi la politica e la sua mitica quadra. Quando i barbari irruppero dalle valli prealpine per conquistare la Roma Ladrona del potere e della burocrazia, la Prima repubblica traballò fino a cadere. Non lo derisero più. Anzi, tutti divennero federalisti: per opportunismo e per cacasottismo. I voti, lui, ce li aveva davvero ed erano voti pesanti: imprenditori, artigiani, operai, gente comune. La Lega svuotò il forziere elettorale della Dc in Lombardia e in Veneto.Stato leggero e vicino al territorio, meno leggi e meno burocrazia, più privato e meno pubblico, rispetto per le identità: il perimetro della questione settentrionale era tutto qui. E non s’è spostato d’un millimetro come dimostra il recente voto delle politiche. La Padania è il suo personale sigillo alla questione del Nord, una questione che ancor oggi vuole risposte da una Roma che sente lontana. Per questo il Nord voterà sì al referendum del 25-26 giugno.Sono certo che Umberto Bossi entrerà nella Storia (nei libri non lo so perché sono scritti con la mano sinistra) e se la Politica ha ancora una oggettività deve riconoscere a Umberto Bossi quello che gli spetta. Non è un titolo di nobiltà politica, per carità: è solo un simbolo. E in politica i simboli contano. A scanso di equivoci, preciso che essere senatore a vita non significa prenotarsi per la pensione: non mi sembra che Andreotti sia uno spettatore (anzi, per poco non ce lo ritrovavamo presidente del Senato), che Pininfarina sia lontano dal design o che la Montalcini se ne stia a casa a fare la calza. Lo stesso Giorgio Napolitano è stato eletto Presidente della Repubblica “prelevato” dai banchi nobili del Senato.C’è poi un altro fatto per cui Napolitano dovrebbe nominare Bossi senatore a vita: nel voto che lo ha portato al Colle, il secondo parlamentare più scelto era stato proprio quello di Umberto Bossi, il federalista. Per la gente, Umberto Bossi è l’uomo federalismo. Ora tocca a lui, al nuovo Capo dello Stato, dare un segnale forte e coraggioso in nome di quello spirito unitario e bipartisan che lui dice di interpretare.La candidatura che proponiamo ha un alto profilo politico: se Napolitano la prendesse sul serio, dimostrerebbe di credere nella diversità delle idee e di essere davvero il Presidente di tutti.