Creato da Fragi27 il 06/02/2010

Carta penna e parole

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La famosa mostarda di ciliegie (1943)

Post n°1 pubblicato il 06 Febbraio 2010 da Fragi27
 

La famosa mostarda di ciliegie - 1943

 

A quattordici anni fui assunto come fattorino in una grande fabbrica che lavorava la gomma. Il mio lavoro consisteva nel recapitare la corrispondenza nei vari uffici. Era l’anno di guerra 1941. Dopo un po’ fui promosso apprendista impiegato nell’ufficio contabilità. Eravamo in sei, cinque scrivani calcolatori degli stipendi e salari di tutto il personale. Capo ufficio era uno che scriveva a cinque centimetri dal registro. Alzava la testa e controllava che i cinque impiegati non chiacchierassero fra loro. Un giorno successe che l’occhialuto direttore sorprese uno degli impiegati che si trovava di fronte a me a ridere. Ci fu una ramanzina per aver infranto l’ordine del silenzio. Il mio amico aveva un certo caratterino e gli rispose con le rime. Risultato: dieci giorni di sospensione senza stipendio. Mi ricordo che quel mio amico attuò una sorta di muta protesta. Entrare nello stabilimento non poteva, però poteva fermarsi per otto ore davanti all’ingresso. Tutto il personale, dagli impiegati agli operai, lo considerava un eroe. Io, non so perché, mi sentii di solidarizzare con l’amico, mettendomi di fianco a lui ma dentro lo stabilimento. Non fui considerato un eroe ma un presuntuoso. Risultato? Cambiamento di lavoro: da impiegato d’ufficio a scrivano di II classe, quale assistente del caporeparto lavorazione di tubi di gomma. Io non sapevo niente né di tubi né di gomma. Ma il guaio fu che il caporeparto era gravemente sano, tanto da assentarsi dal lavoro venti giorni su venticinque. Toccava a me sostituirlo. Ero piccolo di statura, capelli biondi, occhi azzurri e sempre via con la testa. Fortuna che i quaranta operai mi consideravano come loro mascotte e quindi per ogni problema di tubi di gomma mi spiegavano come fare. Tutto andava abbastanza bene fino a quel venerdì pomeriggio del 1943. I tedeschi irruppero nello stabilimento e imposero di schierare nel cortile i mille operai. Ogni caporeparto doveva contare i suoi, garantire sulla loro identità e firmare il verbale. Purtroppo il caporeparto, il vero capo, era come sempre gravemente sano quindi toccò a me fare la distinta.

Cosa c’entra la mostarda di ciliegie con la lotta partigiana? C’entra parecchio, perché io ne conoscevo sei o sette di operai, che parlottavano fra loro molto seri, come se volessero raccontare cose molto serie. Certo, in questi frangenti può sembrare un accostamento irriverente e solo un pezzetto di vita, ma quella vita, a volte, è così maliziosa nel mischiare il comico e il tragico, senza troppi riguardi. Quel venerdì pomeriggio tutti i mille dipendenti ricevettero un vasetto colmo di mostarda di ciliegie. Era un po’ paradossale che con la fame di bistecche che avevamo, la mostarda di ciliegie era l’ultimo dei nostri desideri, ma sapevo quanto mia madre amasse i dolciastri. Quindi non c’era verso. Eravamo nel cortile e quando infilai la mano nella borsa per prendere carta e penna, me la sentii avvolgere,  in una melassa densa e appiccicosa. Mi sentii perso, tutto si era impiastricciato: carta, penna, mano, mostarda. Me la passai sulla giacca, ma tutti i vicini cominciarono a darsi di gomito e il tenente tedesco cominciò a preoccuparsi per quel gruppo di italiani che si agitavano e qualcuno rideva. Seguito dal repubblichino che faceva gli onori di casa, mi intimò di mettere in terra la borsa. L’ufficiale aprì con cautela e quando vide l’assenza di una pistola, cautamente infilò una mano guantata di pelle per magari trovare un proclama di partigiani che inneggiava ai comunisti. Quando la tolse la trovò piaccicosa di mucillaggine ciliesasca. Il tenente cercò di pulire il guanto destro sul sinistro. Visto il risultato si infilò i guanti tra i denti, uno si sfilò e gli cadde sulla manica della divisa. Cominciò a tirare saracche in tedesco verso il tenente italiano mortificato per la brutta figura. Il tenente esplose: “Ma Giarda, cosa mi combini? Che figura faranno gli italiani, incapaci anche di firmare in una dichiarazione?”. “La mostarda, signor tenente, l’avevo messa nella borsa con la matita e l’elenco”. “Ma quale mostarda del cazzo! Possibile che noi italiani facciamo  sempre i pagliacci  come Totò!”. Era avvilito il tenente, forse più disperato di me. Quel tenente mi conosceva bene perché gli avevo portato  le lettere in ufficio e certe volte gli portavo il caffè dalla cucina.

“Avanti”, disse, “quanti operai ci sono nel tuo reparto?”

“Quarantotto”.

“Quarantotto, va bene, firma qui”.

Firmai con la mia penna alla ciliegia.

Il tenente prese la carta con due dita tenendola distante dalla divisa. Il capitano tedesco salì in macchina scuotendo la testa, borbottando  che con l’Italia era difficile vincere le guerre.

Mi avviai verso l’uscita. Appena fuori si sentì dar di gomito. Tre operai furono raggiunti da un tale mai visto prima. Mi guardò, mi strizzò l’occhio e mi sorrise. Era il primo comunista che vedevo.

 

 
 
 

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