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Diario di Tig.
 
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Messaggio n° 6 16-11-2003  
 

Post N° 6

Guardavo sotto una fitta pioggia un tramonto bellissimo: il fondo grigio del cielo, che si apriva poco sopra l’orizzonte a un fulgore arancio rossastro, si era tutto velato come di un grandioso tendaggio viola-rosato, spandendo una luminosità diffusa e come interiore per tutta la sua altezza; due uomini che passavano in fretta portando insieme qualcosa decisero di non vedermi, perché ai matti si dice sempre di sì, e oggi i matti sono quelli che guardano i tramonti sotto la pioggia.
In due minuti il tramonto si spegneva, e cominciai a dipanare un gomitolo filosofico (ma non per filosofi di professione). Perché oggi ci si vergogna del bello, o gli si è almeno indifferenti? Perché il bello si è dissociato dall’essere, e la ragione purtroppo è semplice e storicamente documentabile.
Nel 1750 il tedesco Baumgarten pubblicò un trattato di Estetica, termine da lui coniato sulla base di una radice verbale greca. Ma invano cercheremmo la parole “estetica” nell’antica Grecia, perché allora e ancora dopo molto tempo, fino a tutto il Medioevo, non esisteva una estetica separata, dissociata dalla poetica (conoscenza), dall’etica, dalla politica, ecc.
Fu il Rinascimento che cominciò a dividere le conoscenze fra loro e tutte insieme dalla religione, mettendo in moto il processo che poi, per quanto riguarda il bello, culminò nel 1750 con la nascita di un’estetica separata.
Ora, bisogna considerare che noi per tutta la vita facciamo bene o male l’esperienza dell’essere (che è noi stessi, gli altri, le cose, il mondo; e le facciamo anche se non lo sappiamo); non dell’essere in astratto, ma in concreto, nelle sue proprietà percepibili (che i filosofi chiamano “ trascendentali”): l’uno (che qui tralascio), il vero, il buono, il bello.
Eccoci: verità, bene, bellezza sono le nostre vie all’essere, sono i suoi aspetti inseparabili da esso e tra loro.
L’essere è vero-buono-bello, e senza verità-bene-bellezza non lo si sperimenta, non se ne sa nulla. Il che, in termini immediati, significa che la vita si svuota, morde il nulla esistenziale, cade nella tristezza e nell’oblio, perde coscienza di sé, perde i valori che la rendono degna di essere vissuta; e la sua ragione e il suo scopo, dal momento che l’esperienza dell’essere ci introduce a quella dell’Essere (Dio).
Di conseguenza, ancora, il mondo diventa brutto, e la bruttezza di tanta parte del mondo attuale è la prova troppo evidente di quanto dico.
(segue)


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