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Diario di Tig.
 
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Messaggio N° 7 18/11/2003 
 

Post N° 7

L'oblio del "bello" o la bellezza separata dall’essere. Qual è il suo destino?
L’essere non si vede, come la vita, non si suppone in una pianta se non attraverso il verde della sua linfa; che succede allora quando la costellazione dell’essere esplode centrifugando, con il bene e la verità, anche il bello?
Non è difficile visualizzare e concettualizzare ciò che abbiamo sott’occhio e nella mente: l’estetismo è la prima conseguenza necessaria di un’estetica separata: in cui, cioè, il bello allontanandosi dall’integrità dell’essere diventa non-buono (cattivo) e non vero (falso).
L’esteta vive di sensazioni gradite, evita il confronto impegnativo ed esigente con il bene e con la verità, svuota l’essere; cerca il piacere (edonè), e così nasce l’edonismo. Guarda solo a se stesso e così da origine al narcisismo, che consiste nel non riconoscere gli altri come altri, e la realtà come oggettiva. E poiché non può non continuare a cercare il bene da cui si è staccato, anche se non lo sa, lo cerca nel piacere, ad esempio esasperando l’erotismo, inventando quel tragico e grottesco equivoco da macelleria sessuale che è la pornografia, squilibrandosi nel sadismo (piacere che strumentalizza l’altro fino alla crudeltà) o nel masochismo (che rivolge a se stesso quella strumentalizzazione crudele); e rotolando nelle altre perversioni possibili.
In forma più lieve, ma alla lunga non meno distruttiva, l’estetismo si fissa nel giovanilismo e nel disprezzo della vecchiezza. E infine, per quanto riguarda tutte le arti, si traduce – fenomeno grandiosamente complesso e drammatico – “in perdita del centro”: e infatti l’arte moderna rappresenta e testimonia con particolare efficacia la centrifugazione-frantumazione dell’essere: è arte della crisi anche quando non esprime la crisi dell’arte.
Come il ragno esposto a radiazioni atomiche non costruisce più l’architettura mirabile e perfetta della sua tela, ma un caotico disordine di fili intrecciati, così opera il bello “impazzito”: staccandosi dal bene diventa cattivo, e staccandosi dal vero diventa falso. Attraverso un tale relitto del bello non risplende l’essere; la luce propria , di cui esso pretende di brillare, soltanto acceca e consuma. Invece del riposo illuminante e della chiarezza trasfigurante che potrebbe donare, comunica stimoli ciechi e violenti, impulsi divoranti e disperati come nostalgie impossibili, rimpianti inguaribili e cocenti che, se non cambia strada, hanno come sbocco la disgregazione, la morte.
All’estremo, c’è il diabolico rovesciamento del bello nel brutto (e viceversa) già intuito dal genio di Shakespeare, che fa dire alle streghe del Macbeh: "Il bello è brutto, il brutto è bello (fair is foul, and foul is fair)". Perciò dice Dostoevskij: "l’umanità può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza bellezza non potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più niente da fare al mondo! Tutto il segreto è qui, tutta la storia e qui. La scienza stessa non resisterebbe un minuto senza bellezza".
Ma anche nelle sue tracce più smarrite, in un’epoca di oblio, l’orma dell’essere non si cancella e continua insopprimibilmente a cantare il suo richiamo, il suo appello, anche in un tramonto.

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