Blog di Claudio Tiny

La Conca Rossa


Alla Maruska si cantava spesso. Per i giovani di oggi sarà difficile da credere, a loro che stanno sempre attaccati a smartphone, tablet o lettori mp3 con le cuffie sulle orecchie sembrerà una cosa assurda. Invece era proprio così.Si faceva un pranzo. Al termine qualcuno diceva: “Dài, prendete la chitarra”, e noi (io e Dario, voglio dire) ci facevamo un po' pregare, ma poi la prendevamo e cominciavamo a suonare. Per parafrasare la celebre canzone di Petrolini, “La voce era poca ma intonata”, per di più non eravamo i soli a cantare, le canzoni le conoscevano tutti, e molte voci si univano alla nostra.O anche la sera: si finiva di giocare a carte e si vedeva che era ancora un po' presto. Che si fa? “Su, prendi la chitarra”. E via con la musica.Ma oltre a noi due, c'erano altri che suonavano: innanzitutto, Paolo Ventura (che conosceva tutti gli accordi ma non ne ricordava mai il nome, per cui si verificavano situazioni esilaranti, come questa: “Con che accordo si comincia?” chiedeva lui. “Con il mi minore”, rispondevo io. “E com'è il mi minore?”. Glielo facevo vedere. “Ah!”, faceva lui); poi il mitico Jerry (al secolo Claudio Canevari, veniva da Pavia ed era compagno di scuola di Paolo Ventura; lui era un genio degli strumenti a fiato, soprattutto di quelli antichi; sapeva suonare diversi tipi di flauto dolce, più alcuni strumenti rinascimentali dai nomi improbabili, come ad esempio il cornamuto torto, una specie di trombetta ricurva che suonata da lui aveva un bel timbro nasale; e con l'ancia sapeva far suonare di tutto; una volta – per scommessa – fece suonare anche un cavatappi!); e il cugino di Ventura, Walter Fontana (oggi autore televisivo, fra gli anche per la Gialappa's, nonché scrittore di libri comici e di fiction; lui aveva un vezzo: usava i biglietti ferroviari – quelli di una volta, rettangolari in cartone spesso – a mo' di plettro; in effetti funzionavano, davano un bel suono vellutato alla chitarra…).Oltre ai musici (o presunti tali!) vi erano i cantanti, e il loro numero è troppo alto perché li possa elencare tutti; rischierei di dimenticarne qualcuno.In definitiva, divenne naturale mettere in piedi un gruppo musicale, per andare a suonare nelle Feste dell'Unità, o nei comizi, o dovunque ci fosse bisogno di qualcuno che facesse musica popolare a buon mercato. Non andavamo in giro per soldi (in effetti, ben poche volte fummo pagati, in genere il nostro era un compenso in natura – un piatto di pastasciutta, una frittata, una bottiglia di vino). Il gruppo inoltre non aveva una composizione fissa. La regola era: chi c'era, veniva. Per cui poteva capitare che fossimo in due, o in tre, o in dieci.Di tanto in tanto tentavamo di fare le cose seriamente: facevamo le prove, mettevamo giù una scaletta di canzoni e ci ripromettevamo di seguirla. Ma in genere poi l'anarchia aveva la meglio. Dopo un paio di canzoni cominciavamo a improvvisare, inserendo dei brani che non erano previsti, saltandone altri che invece avevamo provato e riprovato. Devo purtroppo ammettere che il principale responsabile di quell'anarchia ero io, che non amavo seguire alla lettera un canovaccio predefinito, ma preferivo affidarmi all'istinto del momento e inventarmi sempre qualcosa di nuovo. Del resto, ero molto giovane e immaturo…Sono tanti gli episodi divertenti che ricordo. Ad esempio, una sera andammo alla Garbana (frazione di Gambolò), dove si teneva un comizio per la campagna elettorale di elezioni non so più se politiche o amministrative. Partimmo in una fila compatta di Fiat 500 (tutti i ragazzi a quell'epoca ne avevano una!), arrivammo al paesino e quasi non trovavamo la piazza (in effetti più che una piazza ero uno slargo, di fianco a una curva della via principale). Mettemmo giù gli strumenti, cominciammo a suonare e subito, di punto in bianco, il prete fece suonare le campane, per disturbare il nostro concerto. Non è che fece molti danni, più che altro perché non c'era molta gente (forse, a stare larghi, una decina di persone).Un'altra volta andammo a Trivolzio, per la Festa dell'Unità. Facemmo qualche canzone, poi durante una pausa venne un tipo a dirci che lui suonava il banjo e ci chiese se poteva suonare con noi. Glielo concedemmo, commettendo un errore clamoroso: lui cominciò a suonare per conto suo, facendo canzoni diverse dalle nostre, e non si riusciva a farlo smettere. Poi venne anche un altro, lui suonava il trombone. Salì sul palco e cominciò a suonare a ripetizione “Il carnevale di Venezia” (l'unico brano che conosceva, evidentemente), e anche lui non voleva smetterla. Insomma, alla fine di tutto quel cancan c'era più gente sopra il palco che giù ad ascoltare. Del resto, con la cacofonia che si era creata, le orecchie erano messe a dura prova…Un'altra volta ancora, Paolo Ventura si accordò per andare a fare una serata in Lomellina (a Cilavegna, mi pare, ma non ne sono sicuro), dove c'era anche un comizio del senatore Renato Cebrelli. Dovevamo andare in un buon gruppo, ma pochi giorni prima della data iniziarono le defezioni. Mio fratello Dario partì per andare in Calabria in vacanza. Paolo Ventura si ricordò che aveva un appuntamento con la morosa. Tutti gli altri diedero forfait. Per farla breve mi ritrovai da solo. Raggiunsi il luogo solo grazie al buon cuore dell'amico Fulvio Baldo (non avevo la patente, e senza il suo aiuto non avrei potuto andarci). La cosa ironica è che fui presentato come “gruppo corale La Conca Rossa”. Ci fu un attimo di sgomento quando si resero conto che ero da solo… Dovetti spiegare la situazione, dopodiché suonai con una comodità che non avevo mai sperimentato: quattro microfoni tutti per me… Una vera pacchia!Ma a parte queste uscite estemporanee (che comunque non furono mai molto numerose), la Conca Rossa rappresentò la colonna sonora degli anni d'oro della Maruska, e anche se oggi forse in pochi la ricordano, in me evoca gradevoli ricordi, e un pizzico di nostalgia.