Titti Pinna Libero!!

La resurrezione di un uomo, Giorgio Melis


Non è la solita liberazione. È una resurrezione. Perché quasi tutti, inclusi i servizi segreti, davano Titti Pinna morto e sepolto magari subito dopo un finto sequestro o un omicidio camuffato da rapimento. Hanno (abbiamo) sbagliato tutti o quasi. Tranne la famiglia, che - spes contra spem - non si è mai arresa. Ha continuato a credere e sperare. Ora si capirà se fosse la forza di un sentimento più forte di ogni apparenza e realtà. O un minimo di consapevolezza, qualche modesta prova che ha resistito alla prova della disperazione, della smentita che per otto mesi i fatti contrapponevano alla speranza. Era sequestro e come. Un sequestro all'antica. Con la pacata, inesorabile ferocia dei rapimenti di prima dell'era industriale di Mesina e degli altri tristi epigoni dell'orgolese troppo osannato, anche adesso. Sequestri di campagna, spietati. Senza truculenze gratuite e inutili. Ma senza concedere nulla. Senza esporsi a niente di tecnologicamente sensibile e rintracciabile, a intercettazioni ambientali e telefoniche. È stata rispolverata la vecchia tecnica collaudata, impenetrabile o quasi. Un uomo gettato in una tana, con un collare di ferro al collo e una pesantissima catena. Senza potersi muovere, lasciato nella sporcizia di un buco infame, senza spostamenti o con quelli minimi. Lo hanno trattato come un animale. Come si fa con i cani dei pastori legati a una corda corta: per incattivirli, per farli dipendere in maniera totale dal padrone e cancellargli perfino la pulsione a scappare o reagire. Anche senza brutalità fisiche, è un atteggiamento da belve umane per degradare fisicamente e psicologicamente un uomo, farne un oggetto, spegnerne lo spirito. A Titti Pinna, sorretto dalla fede (e dev'essercene voluta davvero tanta per resistere) si attribuisce già una volontà di perdono. Lo faccia pure, cristianamente, nel suo intimo. Ma non una parola pubblica di comprensione, figurarsi di perdono, per questi figuri senza umanità. Niente buonismo di facciata, e nessuno neppure lo solleciti con domande idiote, per favore. Bisogna solo prenderli: a qualunque costo. Per dimostrare che il sequestro, anche in questa subdola, modernissima forma antichissima, non paga in alcun modo. Dopo dieci anni di tregua, ne è stato organizzato e attuato freddamente uno predisposto come anomalo rispetto a tutti gli ultimi: incluso quello spettacolare di Silvia Melis. Anomalo fino a convincere tutti, fin dalle prime fasi, che non fosse il solito rapimento ma un delitto perfetto, senza cadavere e senza sospettabili. Dunque per far abbandonare ricerche e indagini, con l'astuzia fredda di cui sono capaci i reprobi tra ovili, paesi e città. Per sviare qualunque sospetto, lasciando passare il tempo con una strategia d'attesa lucida e senza un cenno di impazienza. Per poterla fare franca dopo la sortita finale fuori tempo massimo, realizzare l'incasso e poi l'eventuale rilascio (ma siamo sicuri che ci sarebbe stato?). Il massimo della modernità è nel ritorno radicale alle pratiche più remote e sicure, inabissandosi nelle primitive tecniche del sequestro pastorale. Ne richiama tanti altri, a metà degli anni sessanta, soprattutto nella Sardegna centrale, tra Margine e Campeda (Neoneli, Abbasanta, Macomer, Santulussurgiu, Bortigali): prima di Mesina e dell'orgia dei rapimenti dalla Barbagia fabbrica di banditi che spaziavano nella modernità dalla Costa Smeralda fino alle porte di Cagliari. Ne ricordo uno successivo, seguito da vicino, come molti altri, che richiama questo di Titti Pinna. La vittima fu il commendator Mario Mereu, industriale vinicolo prelevato nella sua casa sull'Orientale, quasi al bivio per Jerzu. Lo tennero, senza mai spostarlo, in un anfratto dove non si stava in piedi né si potevano fare due passi. Per mesì, in una tana di roccia. L'ostaggio ne uscì distrutto, costretto per mesi a letto prima di poter riacquistare l'uso della gambe. Con Titti Pinna si è fatto un salto indietro di oltre 40 anni. A un primitivismo premeditato e attuato senza sbavature. L'allevatore di Bonorva si è salvato solo perché giovane e forte. Ma quando un uomo esce dalla prigionia con 25 chili in meno. Con gli occhi quasi coperti da un velo, lui che nelle foto aveva uno sguardo azzurro e saettante. Con un barbone e capelli che richiamavano Saddam Hussein tirato fuori dalla buca in cui si era sepolto. O come i banditi sardi ottocenteschi feriti e uccisi in qualche “caccia grossa” come ai cinghiali. Il sollievo di saperlo e vederlo vivo è stato inizialmente offuscato dalla visione di questo pezzo d'uomo accasciato sulla barella, nel volto i segni di una prova terribile. Documento vivente della mostruosità del sequestro. Un uomo incatenato tenuto a vegetare per otto mesi senza contatti e notizie del mondo e, pare, ridottissimi con questi carcerieri dal cuore di tenebre. Perdonarli? L'ergastolo è l'unica ricompensa accettabile. Hanno rubato a Titti (che buffo questo diminutivo così gentile e eppure adatto a un omone con gran sorriso e occhi scintillanti!) otto mesi di vita che valgono, per crudeltà, dieci anni. Ma pensate, rabbrividendo, cosa possono essere i miliardi di secondi tormentosi di oltre 240 giorni vissuti nell'angoscia di una solitudine assoluta, irrimediabile, con l'umiliazione del collare di ferro e la catena. Il sequestro può essere peggio di un omicidio ripetuto all'infinito, ogni giorno. Quello di Titti è uno di questi, e ci vorrà una grande forza d'animo per superarne il trauma anche per un uomo fortissimo come l'allevatore. Ancora non è chiaro se davvero i carcerieri l'abbiano lasciato andare perché sentivano sul collo i carabinieri in battuta. È consolidata la misura di sicurezza per cui l'ostaggio viene rilasciato molto lontano dalla “cella”, per non compromettere i carcerieri e i loro complici. Se davvero Titti Pinna è stato tenuto prigioniero i quell'ovile di Sedilo, la posizione del proprietario e del servo pastore, i due sedilesi arrestati, non solo potrebbe farsi pesantissima ma determinante per le indagini. Confermerebbe l'ipotesi di un rilascio obbligato e imprevisto. Se le indagini confermassero questo punto, una grande smagliatura si aprirebbe nel perfetto “ritorno al passato” dei sequestri, con un epilogo potenzialmente esiziale per i rapitori. Quanto al riscatto, si saprà o si capirà presto se fosse stato già pagato o ancora da versare. Ma a questo punto conta solo che Titti Pinna sia vivo e libero. Quando tutti lo davano (lo davamo) per morto subito dopo la cattura. Anche padre Salvatore Morittu, bonorvese e legatissimo alla famiglia. Lo aveva lasciato intendere in un articolo scritto alcuni mesi fa per il nostro giornale e lo ha confermato in un'intervista ieri. Comunque sia, la liberazione dell'allevatore mette fine a una ridda di voci, qualcuna forse messa in giro ad arte, e avventurosamente ripresa. Anche dai servizi segreti, secondo un reportage pubblicato alcuni mesi fa e che a tutti parve un invito ufficioso ma sostanziale a mettersi l'anima in pace. Invece così non era. Ed è parso di cogliere una sfumatura di dissenso su quello scoop fortunatamente falso nelle prime dichiarazioni del generale Gilberto Murgia. Ricordando che i carabinieri non condividevano quella sortita e non avevano mai interrotto indagini e ricerche. Più fantasiosa e avventurosa la notizia, rilanciata con eccesso di disinvoltura, di una fuga amorosa con una rumena. Povero Titti Pinna, proposto come un fuggiasco d'amore mentre marciva nella sua orribile prigione. A parte la smentita della donna improvvisamente coinvolta, rintracciata da “Chi l'ha visto?”, un tocco di grottesco gossip in un dramma che poteva essere una tragedia. Ora è tutto alle spalle, ma qualche propalatore di falsità dovrà fare una robusta autocritica. Mentre davvero un grande, commosso applauso va alla famiglia dell'allevatore, esteso a tutta Bonorva. I parenti non hanno mai mollato: anche quando sono rimasti soli per la rassegnazione di tutti. Non solo per la convinzione e determinazione durante otto mesi di angoscia. Anche per la lezione di sobrietà e dignità che hanno dato dopo il rilascio di Titti. Poche parole essenziali, e poi la porta fermamente chiusa in faccia ai troppi curiosi e a insopportabili domande routinarie del tipo: li perdonerete? L'unico perdono, ribadiamo, è l'ergastolo. Perciò bisogna prenderli a tutti i costi: pare che si sia già sulla strada giusta. Per Giovanni Battista Pinna detto Titti. Per le sue sofferenze. Per dare una mazzata ai beccai del sequestro che ripropongono la piaga più orrenda della criminalità sarda dopo dieci anni di pausa. Le indagini sono in buone mani: il procuratore Mauro Mura è un esperto su cui contare. Avendo al fianco - oltre Paolo De Angelis e Gilberto Ganassi - l'esperienza di Mario Marchetti, che ha una motivazione in più: è bonorvese e conosce benissimo Titti Pinna.Fonte L'altra Voce