dedalo

porte


Piove. Il vento forte ulula e fischia. Prepotente si scatena in picchiata e sbatte contro ogni ostacolo. Non ci sono le stelle. Paurose sono scappate via. È una notte solitaria. Ma vivace. Viva. Dove è la natura la protagonista. Ascolto la sua tetra voce, ma non mi spaventa. Non più oramai. Sono cresciuto, molti inverni sono passati in sua compagnia. Io nel silenzio della mia stanza, lei sprezzante danzava. Ricordo che quando ero bambino durante i forti temporali correvo per casa mettendo in salvo i miei giocattoli. Terrorizzato che potesse accadere una catastrofe come quelle che vedevo ai tg. Ora non so cosa metterei in salvo. Penso ai miei libri, ai disegni, ai miei ricordi cartacei, forse perché più deperibili. Sono quasi le 4 di pomeriggio. Fuori c’è una leggera ma fitta pioggia. Di quelle pungenti e fastidiose. Il cielo è coperto. È tutta oggi che è così. Ma è sempre più buio. Nonostante questo tempo devo uscire. Visita di controllo dal dentista. Come al solito me la prendo comoda, facendo poi tutto di corsa. Non ho così nemmeno il tempo di preoccuparmi della breve corsa in auto. Sono settimane che non guido. Nella saletta d’attesa ci sono 2 signore che chiacchierano ad alta voce. Fa molto caldo. Sia la tv che lo stereo sono accesi. Ma il volume è basso. I suoni si mescolano. La vita in quella stanza, la natura fuori. Io non partecipo a nulla e silenzioso mi siedo in una poltrona e leggo il giornale. Una signora rimasta sola mi rivolge la parola. Gentile sorrido ma non rispondo. Attratto dallo schermo sento una canzone. La sento piano, sia per il volume che per la confusione. Ma mi colpisce, mi prende. E ancora adesso è nella mia testa. E dopo averla trovata la ascolto a ripetizione. La visita è durata pochi secondi. Fuori è ancora più buio. Una stanza, una porta. Una casa, un ingresso. La mia incapacità è visibile nelle piccole cose. Ci sono porte che non riesco ad aprire, anche se conosco quello che nascondono dietro. È successo ieri per ben 2 volte. Possedere la chiave, inserirla nella serratura. La giro, faccio forza, ma non abbastanza. Al primo insuccesso ho rinunciato, ma il caso ha voluto che proprio in quel momento arrivasse mio fratello e sono riuscito ad entrare in casa. Alla seconda occasione, a poche ore dalla prima, su un’altra porta, ecco che torna la mia difficoltà. Faccio forza e la chiave ad un certo punto si incastra. Mi sento uno stupido per aver fallito ancora. La metafora della mia vita mi viene subito da pensare. Io, davanti a quella porta a vetri dell’ufficio, sopra  di me il cielo grigio minaccioso che promette pioggia. Dietro di me, infondo, mio padre che mi urla come fare, ma io non lo capisco. E dopo i vari tentativi arriva anche lui. Scuotendo la testa. E con semplice mossa apre la porta. Forse pensando a che figlio si ritrova. Così diverso da lui, così estraneo. Porte difficili da aprire, ma che si aprono. Il problema sono io. Come in tutte le cose sono io che non riesco. Non so andare oltre, ma mi rassegno al mio destino, dando per scontato che un destino alla fine esista. A volte non è paura o mancanza di impegno, ma incapacità nell’affrontare le cose e di proseguire. Sotto molti aspetti sono limitato. Come questi ultimi pomeriggi passati sul letto, circondato da libri e appunti, e non aver capito nulla, e non riuscire ad imparare nulla. Ormai 3 esami non riuscirò a darli e non riuscirò a stare al passo con gli altri, solo questo penso. La pioggia viene giù ancora forte. Ho sognato un’alluvione questa mattina. Vedevo l’acqua entrare in casa. Torbida e fangosa copriva il pavimento della taverna. Che sia un segno? O solo suggestione? Ora picchietta sulla persiana. Un ritmo ora veloce, ora lento. Incostante. Io continuo ad ascoltare.