Sardinia

L'oro morbido della Sardegna.


Quando si ha la saggezza di viaggiare senza fretta per le strade della Sardegna, succede di vedere piante maestose, dal fusto che ha il colore rosso vivo del corallo, in contrasto col verde profondo dei boschi. Toccando quei tronchi ci si accorge che il legno è perfettamente liscio, come una sottilissima pelle, e sembra strano per alberi come quelli che in ogni altro carattere rivelano anche al profano un'età certamente matura e forse veneranda, nella quale avrebbero dovuto rivestirsi di una spessa e rugosa corteccia. Di fatto questa corteccia c'era, ma era quella della sughera Quercus suber, una materia cioè troppo duttile ed utile perché l'uomo non dovesse appropriarsene, sia pure scorticando senza troppi riguardi la pianta. La Quercus Suber cresce rigogliosa e raggiunge il suo massimo splendore sulle rocce granitiche ed in generale su quelle definite acide: se ne ha la prova nelle meravigliose sugherete che popolano gli altipiani della Gallura, di Alà e Buddusò. Essa per altro ha il suo habitat anche nei terreni scistosi come quelli del Marghine, del Goceano o del Sulcis Iglesiente. Sui terreni basaltici e calcarei si trovano solo lembi di sugherete, reminiscenze di antichi boschi ora estinti che hanno lasciato il posto ad altre forme di coltura. La foresta del Quercus Suber ha un'area di estensione molto vasta e costituisce una delle espressioni più preziose della flora spontanea. Dal punto di vista climatico, essa cresce in tutti i climi di transizione che caratterizzano la nostra isola, dal livello del mare sino agli 850-900 metri ed è consociata con le altre due specie: la poverella ed il leccio. Una volta tanto, anche se si tratta pur sempre di una prepotenza, non si può condannare quest'uomo e neppure è il caso di allarmarsi per la sorte dell'albero. Il prelievo, infatti, dura da almeno tremila anni, nelle sugherete sarde, e può continuare indefinitamente, a condizione che sia praticato secondo programmi razionali e sotto attenti controlli. Col sughero, l'uomo della civiltà nuragica tra il secondo e il primo millennio avanti Cristo - ritagliava coperchi con cui chiudeva le urne di pietra. In età romana, ancora col sughero, si tappavano le anfore del vino e dell'olio che le navi onerarie trasportavano dalla Sardegna al continente, Nessun'altra materia avrebbe potuto risolvere meglio del sughero quel problema di trasporto specialmente quando si trattava del vino, dovendosi impedirne anzitutto la fuoriuscita, ma consentendo nello stesso tempo anche una possibilità di traspirazione, al fine di conservare la stabilità ed il gusto. Ancora oggi il sughero della Sardegna rende questo prezioso servizio. Ma ne rende anche altri, perché col sughero si fanno guarnizioni, solette, agglomerati per l'isolamento termo-acustico ed anche elegantissimi rivestimenti d'interni. Si aggiunge una forma tutta particolare di artigianato. Dal sughero infatti si ricavano vassoi, soprammobili ed anche piccole sculture. Al costante perfezionamento qualitativo di questa materia che molti definiscono "l'oro morbido della Sardegna", presiede una Stazione sperimentale del sughero a cui va anche il merito ecologico di aver disciplinato i prelievi, che sono autorizzati soltanto ogni dieci anni, per consentire alla pianta decorticata di rivestirsi di una nuova corteccia. Si può affermare che la sughericoltura in Sardegna. alimenta un'industria che da sola impiega più operai ed artigiani di tutte le altre industrie messe assieme, ma il dilagare insensato degli incendi riduce ogni estate questo patrimonio dell'isola.