Eravamo a Colle Oppio la sera quando oltre le corone luminose dei lampioni proiettate sull'asfalto dei marciapiedi e delle strade si vede ben poco e la sagoma di una persona si riconosce fino in fondo solo se è a una distanza inferiore di tre metri.Eravamo io e Napola. Sedevamo sul muretto che domina la Fontana dei Serpenti a digerire la cena, che ognuno aveva consumato per conto proprio, a fumare le solite cose e a parlare dei soliti argomenti.Ci rammaricava il fatto che ormai non venisse più tanta gente, ci sentivamo come i vecchi quando gli altri vecchi per acciacchi o altri accidenti, spesso irreparabili, smettono di frequentare la storica compagnia.Napola si lisciava nervosamente la barba. Avrà avuto a quel tempo una quarantina d'anni, se li portava piuttosto bene. Dalla cima della strada, che noi potevamo vedere attraverso le fronde di un albero, tenendo la testa voltata categoricamente verso destra, apparve la luce rotonda di un faro, di seguito si trasformò in una motocicletta e poi procedette fino a divenire un'immagine sempre più nitida, di modo che ci fu possibile distinguere il mezzo dal centauro.Il centauro scese agilmente dalla motocicletta, ci fece un segno di saluto con la mano, segno a cui noi rispondemmo con un cenno analogo, mise il cavalletto, verificò con uno strattone che il cavalletto avesse presa sul pavimento di asfalto, poi si sfilò il casco e lo infilò dentro il manubrio, dalla parte della manovella dell'accelleratore, tolse le chiavi dal quadrante e se le ripose in tasca.Il centauro mosse verso di noi. Lo conoscevamo, qui la gente finisce sempre per conoscersi e se c'è una cosa difficile a Colle Oppio sono proprio le presentazioni. Noi ci conosciamo tutti e da sempre. Era un ragazzo di media statura, credo che venisse considerato una specie di play-boy, sapevo che aveva vissuto a lungo all'estero e più in generale mi era sempre stato piuttosto antipatico.Aveva con sé una busta di birre ghiacciate e per prima cosa ci porse una bottiglia, poi ci sedette a fianco, sistemò vicino la sua roba e facemmo saltare i tappi con gli accendini e buttammo giù e prendemmo a parlare, in modo confuso. Il centauro s'industriò a rollare una sigaretta. Gli dicemmo di fare attenzione, che con quel buio la fiammella si poteva scorgere a grande distanza, e lui prontamente dispose una mano a mo' di paravento e riprese le operazioni fino a portare tutto a compimento.Ci offrì una seconda birra e poi volle prendere le redini della conversazione, scendendo dal muretto e piazzandosi proprio di fronte a noi. Parlava delle cose più disparate ed aveva tutte e due le braccia quasi completamente ricoperte di tatuaggi.Uno in particolare mi fece impressione. Era uno Sherlock Holmes con tanto di copricapo tradizionale e pipa annessa. Ritenni di non essere troppo indiscreto e gli chiesi perchè se l'era fatto.Rispose che quella era la vera faccia di Sherlock Holmes. Napola asserì che non era possibile. Che Sherlock Holmes non aveva mai avuto una vera faccia, perchè era un personaggio della letteratura. Il centauro scosse la testa e disse che eravamo due provinciali. Disse proprio così. Chiaramente si trattava di un personaggio della letteratura, ma da qualche parte a Londra è conservata la foto di un uomo al quale si ispirò lo scrittore per dare forma al suo personaggio. Era una spiegazione plausibile. La sera continuò fino alle due. Bevemmo altre birre e fumammo altre sigarette. Continuammo a sentirci dei vecchi sopravvissuti e a controllare che non arrivassero d'improvviso pattuglie della polizia. Poi a un certo momento ci salutammo stringendoci le mani e ognuno prese la propria strada, che per un pezzo, prima di dividersi, era la stessa per tutti.
TATUAGGIO
Eravamo a Colle Oppio la sera quando oltre le corone luminose dei lampioni proiettate sull'asfalto dei marciapiedi e delle strade si vede ben poco e la sagoma di una persona si riconosce fino in fondo solo se è a una distanza inferiore di tre metri.Eravamo io e Napola. Sedevamo sul muretto che domina la Fontana dei Serpenti a digerire la cena, che ognuno aveva consumato per conto proprio, a fumare le solite cose e a parlare dei soliti argomenti.Ci rammaricava il fatto che ormai non venisse più tanta gente, ci sentivamo come i vecchi quando gli altri vecchi per acciacchi o altri accidenti, spesso irreparabili, smettono di frequentare la storica compagnia.Napola si lisciava nervosamente la barba. Avrà avuto a quel tempo una quarantina d'anni, se li portava piuttosto bene. Dalla cima della strada, che noi potevamo vedere attraverso le fronde di un albero, tenendo la testa voltata categoricamente verso destra, apparve la luce rotonda di un faro, di seguito si trasformò in una motocicletta e poi procedette fino a divenire un'immagine sempre più nitida, di modo che ci fu possibile distinguere il mezzo dal centauro.Il centauro scese agilmente dalla motocicletta, ci fece un segno di saluto con la mano, segno a cui noi rispondemmo con un cenno analogo, mise il cavalletto, verificò con uno strattone che il cavalletto avesse presa sul pavimento di asfalto, poi si sfilò il casco e lo infilò dentro il manubrio, dalla parte della manovella dell'accelleratore, tolse le chiavi dal quadrante e se le ripose in tasca.Il centauro mosse verso di noi. Lo conoscevamo, qui la gente finisce sempre per conoscersi e se c'è una cosa difficile a Colle Oppio sono proprio le presentazioni. Noi ci conosciamo tutti e da sempre. Era un ragazzo di media statura, credo che venisse considerato una specie di play-boy, sapevo che aveva vissuto a lungo all'estero e più in generale mi era sempre stato piuttosto antipatico.Aveva con sé una busta di birre ghiacciate e per prima cosa ci porse una bottiglia, poi ci sedette a fianco, sistemò vicino la sua roba e facemmo saltare i tappi con gli accendini e buttammo giù e prendemmo a parlare, in modo confuso. Il centauro s'industriò a rollare una sigaretta. Gli dicemmo di fare attenzione, che con quel buio la fiammella si poteva scorgere a grande distanza, e lui prontamente dispose una mano a mo' di paravento e riprese le operazioni fino a portare tutto a compimento.Ci offrì una seconda birra e poi volle prendere le redini della conversazione, scendendo dal muretto e piazzandosi proprio di fronte a noi. Parlava delle cose più disparate ed aveva tutte e due le braccia quasi completamente ricoperte di tatuaggi.Uno in particolare mi fece impressione. Era uno Sherlock Holmes con tanto di copricapo tradizionale e pipa annessa. Ritenni di non essere troppo indiscreto e gli chiesi perchè se l'era fatto.Rispose che quella era la vera faccia di Sherlock Holmes. Napola asserì che non era possibile. Che Sherlock Holmes non aveva mai avuto una vera faccia, perchè era un personaggio della letteratura. Il centauro scosse la testa e disse che eravamo due provinciali. Disse proprio così. Chiaramente si trattava di un personaggio della letteratura, ma da qualche parte a Londra è conservata la foto di un uomo al quale si ispirò lo scrittore per dare forma al suo personaggio. Era una spiegazione plausibile. La sera continuò fino alle due. Bevemmo altre birre e fumammo altre sigarette. Continuammo a sentirci dei vecchi sopravvissuti e a controllare che non arrivassero d'improvviso pattuglie della polizia. Poi a un certo momento ci salutammo stringendoci le mani e ognuno prese la propria strada, che per un pezzo, prima di dividersi, era la stessa per tutti.