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Perfidie di Stefano Torossi
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IL CAVALIER SERPENTE
Perfidie di Stefano Torossi
18 giugno 2012
NOTE DAL SOTTOSUOLO
Note dal sottosuolo. Tre piani sottoterra a Via Fracassini c'è lo IALS (Istituto Addestramento Lavoratori dello Spettacolo). E' una discesa agli inferi. Si sprofonda lungo una rampa, e giù ci sono le sale in cui si esercitano a ballare, cantare e suonare dilettanti e professionisti. L'atmosfera è da "Saranno famosi". Bassi che rimbombano nell'aria, e passi che percuotono i pavimenti. Ragazze sudate, giovanotti eccitati e un'aria di lavoro e di vivacità che fa bene al cuore. Ti fa pensare che il mondo dello spettacolo è fatto non solo di sciacquette o vecchi tromboni, ma di gente che suda otto ore al giorno. Il padre di questo miracolo italiano, ormai più che maggiorenne (il miracolo; e anche lui, per la verità), è Mimmo del Prete, un ballerino, anzi, come ci tiene a definirsi sindacalmente, un tersicoreo, che ha fatto tutta la TV da Studio Uno in poi. La sera di martedì 5 giugno eravamo nella sala tonda, alle prove della IALS Big Band diretta da Gianni Oddi. Un porto di mare, la chiama lui, a cui attraccano quando sono in zona tutti i migliori solisti della scena. Sempre nella rigorosa formazione tradizionale di cinque ance, quattro trombe e quattro tromboni, più ritmica, e naturalmente lui, Oddi, virtuoso di soprano e contralto, nonché direttore e arrangiatore. In repertorio tutti gli standard dei musical americani, ma anche brani nostrani: Canfora, Ferrio, Trovaioli. Ci siamo riempiti le orecchie con il miele dei vecchi arrangiamenti anni quaranta e cinquanta, e degli altri più moderni, ma sempre puntati verso quello swing meraviglioso, così tipicamente americano, che noi nostalgici continuiamo a inseguire per indennizzarci di tutto il rock che ci è toccato ingollare da allora a oggi.
Restauri. Mettiamo che finalmente, dopo aver passato tutta una calda giornata di un umido giugno in città, in giro per le strade in motorino, spesso fermo nel traffico, spesso in fila dietro un autobus fumoso, uno arriva a casa, sudato e ben coperto da quella speciale patina scura e unta che si accumula sulla pelle in queste circostanze. Cosa ci può essere di più bello di una bella doccia? Invece ecco che si fa avanti il comitato dei vicini: "Eh no, caro signore! La sua bella doccia cancellerebbe i segni del tempo, e della sua storia personale. Niente doccia!" Ecco, questa potrebbe essere (intendiamoci, è una parabola, anche un po' scema) la storia del restauro, oggi, dei capolavori di ieri. E' già successo con la Cappella Sistina. Ricordate? Anni di lavoro, miliardi di spesa, e quando, eliminati i fumi di quattro secoli di candele e altre porcherie atmosferiche (la famosa patina di chi gira in motorino), gli affreschi sono riapparsi con i loro colori originali, "Eh no! Cosa sono questi azzurri squillanti? Figuriamoci se Michelangelo dipingeva così". Adesso sta nascendo la stessa polemica su un progettato restauro, o più precisamente pulizia della Gioconda. Apriti cielo. Anche qui la stessa stupida storia. I segni del tempo vanno rispettati, eccetera, eccetera. Il nuovo fa paura a quasi tutti, lo sappiamo, ma un'iniziativa per togliere la muffa dei secoli, quella sì che provoca il panico!
Cipolla architettonica. Ma perché ogni due pagine di cronaca torna fuori l'abbattimento del muretto che separa l'Ara Pacis dal lungotevere? L'accusa che sentiamo più spesso ci sembra anche la più stupida. Eccola: perché quel muretto impedisce agli automobilisti che sfrecciano sul lungotevere di vedere le facciate di due chiese: S. Gerolamo degli Schiavoni e S. Rocco. A questo punto noi ci chiediamo che importanza può avere per l'autista di un furgone in ritardo, o per un tassista incattivito dal traffico vedere due facciate barocche in velocità. Se mai è una distrazione pericolosa. Mentre invece per chi sta tranquillo a passeggiare nella zona pedonale sottostante, o seduto sui gradini della fontana, quel muretto, fra l'altro formato da bellissimi conci grezzi di travertino, è una benedizione, perché permette per l'appunto di non vedere le auto che si affannano sul lungotevere, e in più, tiene lontano l'angoscioso rombo del traffico. Forse è ancora e sempre la paura del nuovo. A noi questa storia non sembra così scandalosa: un glorioso monumento romano, l'Ara Pacis, è da qualche anno protetto dentro un edificio semplice e moderno (a cui appartiene il famoso muretto), inserito in una piazza circondata da costruzioni del 1942 in stile razionalista, con al centro un rudere di duemila anni fa, che nel tempo era stato coperto, e poi ripulito, di sovrapposizioni medievali e rinascimentali. Insomma, una vera e propria cipolla architettonica. E adesso, per una sola sfoglia di questa cipolla, per un muretto, tutta questa gazzarra? Ridicolo.
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