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Perfidie di Stefano Torossi

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Soli fra le vecchie pietre

 

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

     22 luglio 2013

   SOLI FRA LE VECCHIE PIETRE

 

Abbiamo letto qualche giorno fa un'intervista all'architetto Renzo Piano, uno dei personaggi della nostra epoca. Bello, bravo e ricco. Fra le altre cose parla della sua passione per la barca a vela sulla quale dichiara di rifugiarsi ogni volta che ha mezz'ora a disposizione (e mezz'ora di Piano varrà di certo qualche dollaro) per andare a cercare la solitudine in mare.

Qui le nostre strade si separano. Facile, anche perché in comune con il bell'architetto noi abbiamo praticamente solo l'età. Il resto no. Soprattutto i gusti. Anche noi ogni tanto andiamo in cerca  di solitudine. Ma in terra. Precisamente in terra vecchia. Insomma, alla possente maestà della natura selvaggia con tutta la sua imprevedibile violenza preferiamo quella addomesticata dalle tracce, possibilmente secolari, degli uomini. Ecco perché invece di andarcene per mare, continuamente sbattuti di qua e di là, venti gelidi e spruzzi salati, con la garanzia di un subbuglio gastrico che rende ogni istante spiacevole, e con niente da vedere se non acqua in movimento (e qui già prevediamo la virtuosa deprecazione dei nostri amici lupi di mare) ce ne andiamo per terra.


Sapeste la magia del vuoto di Veio, Lucus Feroniae, perfino Ostia Antica. Nessuno in giro, il sole che picchia sulla testa, la vegetazione rada e bruciata, e le pietre di duemila anni fa che spuntano nella polvere. Rivedere le colonne ancora in piedi, i cornicioni scolpiti in quel marmo bianco che nella luce incandescente diventa osso spolpato. Profumo di mentuccia, e un filo di brezza calda. L'immaginazione che viaggia come non riesce a fare sul mare. Niente manovre con gomene e sartie. Il terreno che non balla sotto i piedi, e un muretto solido su cui sedersi a riflettere.

A Vulci c'è un decimo di quello che si vede al Foro Romano, ma lì uno è da solo e anche se i quattro massi rimasti dicono meno che le colonne di Antonino e Faustina, almeno parlano solo a te, in una campagna dove non si vede una casa o un fienile, e per arrivarci si costeggiano sterminati campi di biondo grano, ma altrettanti di pannelli solari. (Si capisce che il contadino che come è noto ha le scarpe grosse, ma il cervello, ecc. ecc., ha scoperto che la coltivazione dell'elettricità rende di più di quella del mais).


Uno dei nostri ricordi più squisiti sono ancora oggi quelle ore che ci prendevamo nei pomeriggi infuocati della Calabria quando, durante il Jazz Festival di Roccella Jonica, mentre musicisti e critici sonnecchiavano, noi andavamo a vagare fra le rovine di Locri Epizefiri, una città magnogreca, a pochi chilometri. Biglietteria in stile Cassa del Mezzogiorno, naturalmente circondata da cumuli di quella speciale e indistruttibile immondezza del sud, quasi archeologica essa stessa. Stagione dopo stagione abbiamo salutato le identiche bottiglie di birra, in identiche immutabili posizioni nelle cunette ai lati della strada.

Però, appena dentro, la magia. Spezzoni cariati di mura quasi trimillennarie, fondamenta di templi e santuari, e in mezzo ai massi, trionfanti come solo loro riescono a essere, immensi alberi di fico carichi di frutti maturi da raccogliere e rimpinzarsi come bambini in vacanza, noi unici vivi in tutta quella arcaicità. Poi è chiaro che andare a farsi frastornare da tre ore di jazz risultava piacevole, contemporaneo e umanamente rinfrescante.


Altro evento, altro spazio per sognare: Festival di Musicultura a Macerata, e Urbisaglia (Urbs Salvia, non lontana), ricca, grande e popolosa città romana, a un certo punto della storia abbandonata e poi per secoli frequentata solo dai corvi e dalle volpi. E da sconsiderati come noi. Come può scomparire così una città civile e famosa? Certo, i barbari, ondata dopo ondata devono essere stati come un rullo. A forza di passarci sopra, anche l'ultimo filo d'erba rinuncia a crescere. Eppure riesce difficile accettare la scomparsa dal paesaggio, e ancora di più dalla memoria, di un insediamento umano, una città, non un villaggio. Di cui rimane il giro delle mura possenti, un teatro, un anfiteatro. Ma neanche una casa. E soprattutto non c'è più l'anima.


Chissà se potrebbe succedere anche oggi che una civiltà sia spazzata via per tanti secoli come è successo a quella romana. Probabilmente no. Troppi sono ormai i documenti in circolazione per eliminarli tutti. Ci vorrebbe una catastrofe globale e la totale sparizione dell'umanità. In questo caso di che preoccuparsi?


 

                                         

 
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