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Perfidie di Stefano Torossi

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Messaggi di Agosto 2012

Riflessioni agostane - Quattro

 

 IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

        27 agosto 2012      

   RIFLESSIONI AGOSTANE - QUATTRO


Capelli. Grazie allo shampoo e all’eliminazione dei parassiti, adesso le teste non hanno più bisogno delle cuffie, dei veli o delle parrucche di una volta. Può sembrare poco, ma è un gran progresso, igienico e soprattutto estetico.  

A proposito di capelli, che dire del riporto, universale ammissione di fragilità maschile? A parte il discorso che, come tutti i trucchi estetici (siliconi e botulini compresi) non solo non nasconde il problema, ma lo mette, diciamo così, sotto i riflettori. Avete per caso visto una foto recente di Umberto Eco, massimo intellettuale italiano, al quale davvero non manca niente per essere meglio di tutti noi? Quel po’ po’ di brillantissimo cranio che ha, anche lui ha sentito il bisogno di nasconderlo sotto un riportino. Vien quasi da dire: meno male, con questa scivolata si abbassa un po’ al nostro livello…


Cappelli. Il rabbino Toaff compie 97 anni; di Papa Giovanni si riparla per la “Pacem in terris”; il gran Muftì è fotografato in preghiera. Tutti hanno qualcosa in (anzi, sopra la) testa. Chissà perché non basta avere la faccia, i capelli o la pelata che la natura ci ha dato e modificato con gli anni, per presentarsi davanti al proprio Dio.

No. Bisogna mettersi il velo, la kippah, lo zucchetto, il turbante, quello che è; comunque un segno di appartenenza. Se non ho questo segno esteriore, forse il mio Dio non mi riconosce. E’ un pensiero davvero infantile.


Congestione. Abbiamo osservato da vicino suonatori di tutti gli strumenti a fiato, chi più chi meno affannati a inspirare e soffiare (diaframma, respirazione circolare e altre diavolerie). Mai nessuno congestionato come l’oboista, il quale rischia un colpo apoplettico a ogni frase un po’ lunga, non perché soffia troppo, ma troppo poco, dato che per il suo strumento serve appena un filo di fiato, e il problema non è buttarlo fuori, ma trattenerlo. Visto come diventa rosso?


Equivoco. Passiamo da Corso Vittorio a Roma. C’è una manifestazione della CGIL. Un bel po’ di lavoratori rivendica sventolando bandiere rosse e scandendo slogan ovviamente di sinistra. Dagli altoparlanti romba un coro gospel. Ce li immaginiamo, questi immensi neri (taglia Pavarotti) che cantano avvolti in tuniche colorate in qualche chiesa del sud, ma sud degli USA, non della penisola.

Mentre ci allontaniamo sentiamo l’inno che inequivocabilmente chiude con un “Amen, ooooh my Lord!”, e si fa strada in noi la precisa sensazione che il curatore dell’evento, procedendo alla scelta delle musiche non abbia capito bene dove stava pescando.

 

Italian cialtronery. Un lavoro professionale, un trattamento competente, un servizio cortese danno soddisfazione a chi li riceve ed evocano rispetto per chi li fa. Poi c’è il lavoro all’italiana, che è un’altra cosa. Posta che non arriva, camerieri scortesi, sportelli senza nessuno dall’altra parte, non si sa mai niente di preciso su scadenze, termini, sanzioni. Insomma: professionalità zero. I turisti trovano tutto molto pitoresko; bella forza, poi tornano a casa loro.

Purtroppo per ragioni anagrafiche, ci capita di frequentare sempre più spesso i funerali. E si tratta non più di vecchioni in là con gli anni come in passato, ma di coetanei (che è la stessa cosa di prima, solo che stavolta i vecchioni siamo noi).

Stavamo all’esterno della chiesa e ci è sembrato che la bara scendesse la scalinata in modo a dir poco precario. Malferma e sempre sul punto di precipitare. Come mai? Avvicinati per guardare meglio, ci siamo accorti che dei quattro addetti alle pompe funebri incaricati del trasporto, due erano alti e due bassi. Normale? Certo. E forse è anche giusto non discriminare i lavoratori in base alla loro presenza fisica (anche se ci sono attività per cui l’aspetto e il fisico contano). Ma i bassi stavano tutti e due a destra, gli alti a sinistra. Non è difficile immaginare l’indecoroso rollio della bara. Bastava un pensierino organizzativo per dare dignità professionale a questa delicata operazione. Macché. Le cose si fanno come capita. Delle volte vengono bene, delle altre meno, che importa? Noi italiani siamo furbi, non siamo mica nati per lavorare, no?

 

                                        

 
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Riflessioni agostane - Tre

 

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

20 agosto 2012

  RIFLESSIONI AGOSTANE - TRE


     Distrazione. Pochissimi se ne accorgono, perché pochi alzano gli occhi. A Piazza Fiume, proprio sopra il parcheggio dei taxi, sulle Mura Aureliane (terzo secolo d.C.) c'è una latrina militare dell'epoca, miracolosamente conservata.

     E' un casottino su due mensole che sporge di mezzo metro dalla muraglia, in alto, con un semplice buco sul fondo, sotto il quale si allarga sul muro un bel ventaglio che segna la traiettoria di quello che cadeva. A giudicare dalla corrosione dei mattoni il rancio della guarnigione non doveva essere un gran che.

 

    Le Mezze Stagioni di Vivaldi. 27 luglio. Giornata caldissima. La gente sbuffa; invece noi troviamo che il solleone è la condizione ideale per andar per ruderi. Quindi, via a un giro sul Palatino. Oltre alle solite archeomeraviglie, oggi si visita una piccola mostra sul giardinaggio nell'antica Roma. Nel criptoportico neroniano, in una penombra bene contrastata da faretti, una serie di pannelli e antiche mappe ricostruiscono lo sviluppo dei giardini e dell'arte topiaria* da Romolo in poi.

    Come già detto, la penombra è discreta, l'illuminazione precisa, le mappe interessanti; quello che infastidisce è un Haendel a tutto volume. Si tratta di una sua composizione che ci aveva sedotto la prima volta, poi ha continuato a piacerci finché l'effetto indigestione ce l'ha resa insopportabile. E' la "Musica sull'Acqua", che insieme alle "Mezze Stagioni" di Vivaldi è diventata il commento obbligato di eventi svariatissimi: botanici, pittorici, architettonici, modaioli, perfino gastronomici.

      Sempre a un volume esagerato, naturalmente.

    *Eh, eh! Siete giustificati a non saperlo. L'arte topiaria consiste nel potare dei poveri alberi e cespugli che vorrebbero essere lasciati in pace, in forme artificiali (figure geometriche, animali, simboli).


     Paura.  Di ritorno da un giro a Gallicano nel Lazio, a Poli, a San Vittorino. Paesi di tufo scuro, castelli minacciosi, mura robuste, porte d'accesso anguste. Quanta paura ci doveva essere nell'aria in quei secoli.

     Bisognava rinchiudersi la sera, sbarrare le porte dei borghi e tremare al buio fino alla mattina dopo pregando che non arrivassero i saraceni, o i briganti, o magari proprio il barone di zona in vena di razzie. E così tutti i giorni e le notti. Fino all'arrivo dell'elettricità che magari non ci avrà liberati dalla paura della vita, ma da quella del buio, sì.


     Ruderi. Spesso i ruderi delle mura medievali, o i contorni degli anfiteatri romani sono svelati dalla presenza di alberi, di solito querce, che ci crescono sopra. Come mai proprio lì? E' che spesso la pianta nasce da una ghianda che qualche scoiattolo ha nascosto per mangiarsela più tardi, e poi dimenticata. Vengono su bene perché così in alto sono al riparo da capre e pecore.

      Questo è il bello spirito di sopravvivenza della natura, che ci commuove nei documentari. Il brutto è il disastro che le radici dei nostri alberelli, poi alberoni, riescono a fare. Mattoni sgretolati, marmi divelti. Insomma, bastano poche generazioni dalla ghianda originale per ridurre di nuovo tutto in polvere.


      Sovrintendenza prudente. Visita alla Domus Aurea, tanto per vedere se l'hanno riaperta. No, non ancora. Ma non è un viaggio inutile. Abbiamo ritrovato un profumo che si aggiunge a quello abituale dei pini, l'eucalipto. Abbiamo anche visto, fotografato e archiviato un cartello attaccato alla recinzione in cui la Sovrintendenza fa capire quanto tiene all'incolumità dei visitatori.  Il cartello, triangolare, e perciò, come stabilisce il codice, indicante pericolo, rappresenta calcinacci in precipitazione libera, e sotto riporta il messaggio: "Attenzione! Caduta materiali dall'alto". Leggendolo ci rendiamo conto della lungimiranza di questo Istituto. Ormai che abbiamo il bosone di Higgs, i materiali potrebbero cominciare a cadere da tutte le direzioni, anche dal basso. Meglio non lasciare niente al caso.

     Due yarde più in là, un gruppetto di americani sghignazza davanti a un altro cartello che sancisce le azioni proibite nell'area, tra cui "Forbidden to play with ball". Chiedete a un amico di madrelingua inglese perché questa frase apparentemente corretta fa solo ridere. The spaghetti-english è servito.


                                        

 
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Riflessioni agostane - Due

 

IL CAVALIER SERPENTE

 Perfidie di Stefano Torossi

13 agosto 2012

    RIFLESSIONI AGOSTANE - DUE


     Collezionismo, mistero insondabile. Il primo giugno si è inaugurata al Parco della Musica una mostra intitolata "Grandi fotografi a 33 giri". Si tratta ovviamente di copertine di vecchi LP (dalla collezione di Stefano dello Schiavo) che all'epoca offrivano un perfetto spazio per invenzioni grafiche, fotografiche e pittoriche. C'erano addirittura quelle che si aprivano in tre. Trittici innalzati sull'altare del rock. Altra cosa dai miserelli CD di adesso. La mostra è abbastanza interessante, le foto, belle, ci riportano a quando gli LP non erano roba da antiquariato, ma oggetti di uso comune.

     Quello dei vecchi vinile è un tipo di collezionismo che proprio non riusciamo a capire. Ok le copertine. Come abbiamo detto, superfici ideali per un'arte di consumo, spesso di ottimo livello. Ma i collezionisti, dentro le copertine ci vogliono anche i dischi. E non solo perché, se ci sono, tanto vale tenerli. No, in realtà sono i dischi l'oggetto del desiderio. Però, siccome si tratta di supporti deperibili, e spesso deperiti, neanche parlarne di metterli sul piatto e suonarli.

     E' una raccolta fantasma, il materiale sta piazzato in uno scaffale, e lo si tira giù una volta ogni tanto, per un minuto, tanto per mostrarlo a qualche amico fidato, o forse a qualche rivale da fare ingelosire. Probabilmente il collezionista non ha nessun desiderio di ascoltare il suo amato, raro LP; gli basta sapere di averlo. Sa che sta lì, sullo scaffale, dentro la sua copertina. Non gli serve altro.

 

     Sauna Cecilia. Inutile correggere, non si tratta di un errore di battitura ma della disumana condizione di temperatura e di umidità a cui abbiamo rischiato di soccombere il primo agosto mentre tentavamo di ascoltare nella Sala Accademica di Via dei Greci il concerto della Palestine Youth Orchestra. Una formazione di ragazzi che hanno suonato tutto sommato bene, diretti da una brava Sian Edwards, un repertorio di classici europei e qualche pezzo di giovani compositori arabi. Tutta l'orchestra con la kefiah palestinese annodata al collo, al braccio, allo strumento.

     Purtroppo il mix di condizioni stagionali (temperature da forno fuori) e mancanza di confort (niente aria condizionata dentro) ci ha stremati a tal punto da inibirci qualsiasi capacità di giudizio. Siamo stati a malapena in grado di strisciare fuori della sala prima del finale e darcela a gambe. Questione di vita o di morte. Tutto quello che possiamo dirvi è che erano tanti, giovani e abbastanza intonati e che l'iniziativa ci sembra meritoria. Stop. Siamo ancora qui che boccheggiamo davanti alla tastiera (questa del pc, non quella del pianoforte).

 

     Solitudine. Supplemento salute di Repubblica, 17 luglio 2012: "La solitudine degli anziani è una crescente condizione nella società moderna. In particolare nelle grandi città." E giù la solita zuppa sulla difficoltà di comunicazione e di socializzazione nelle città di oggi, mentre com'era bello al paesello, dove tutti si conoscevano e sapevano tutto di tutti.

     Premesso che questa nostra riflessione la indirizziamo all'anziano consapevole, e, aggiungiamo, anche autosufficiente sia di testa che di portafoglio, noi sostituiremmo volentieri la definizione "una crescente condizione" con "una crescente benedizione".

     Grande sarebbe il nostro orrore se costretti a stare in un posto dove tutti sanno tutto di noi, e quindi ci controllano, ci commentano, e in ultimo ci giudicano. In proposito vorremmo sottoporvi un dilemma di tipo alimentare. Ma non è molto più sano avere poco, ma sufficiente cibo in un grande self service (la città), così da poter scegliere se, quando e cosa mangiare, piuttosto che essere costretti a partecipare sempre al banchetto sociale (il villaggio), dove non si può né scegliere né rifiutare, altrimenti la comunità si offende?


 

 
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Riflessioni agostane - Uno

 

 IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

6 agosto 2012

     RIFLESSIONI AGOSTANE - UNO


     La foto spiritosa. Che la media non brilli per troppa intelligenza, siamo tutti d'accordo. Vorremmo però attirare l'attenzione dei nostri lettori sull'ulteriore abbassamento di questo livello nell'essere umano non appena si trasforma in turista. E abbiamo anche trovato un marcatore preciso di questa caduta: la foto spiritosa.

     Già nella normale foto ricordo si manifesta quel disumano irrigidimento di lineamenti e arti in una sincope che fulmina quasi tutti non appena si rendono conto di essere inquadrati. Ma avrete visto di sicuro anche quelli che si piazzano in primo piano con sullo sfondo la Torre di Pisa e, calcolata l'opportuna prospettiva, fingono di tenerla su con una mano, o quelli, ancora più cretini, che si piazzano dall'altra parte e la spingono come per farla cadere. Questa è la foto spiritosa.

     Qualche tempo fa il destino ci ha fatto un regalo. Eravamo a Venezia, sulla riva del Canal Grande in vista di Rialto. Il solito imbecille si mette in posa come un Ercole per reggere il ponte. Allunga un piede sul gradino dell'approdo, lo poggia su quella simpatica e apparentemente innocua erbetta che copre le pietre a pelo dell'acqua, e come un missile decolla, dà una bella culata sul gradino e finisce in canale. Sono soddisfazioni.


     Parco degli acquedotti. Molti acquedotti romani entravano in città da sud est, dalla direzione delle colline dove c'erano le sorgenti. Alcuni sono in rovina, altri cancellati, altri ancora perfettamente riconoscibili. Un parco comprende l'area in cui sono più concentrati. Fino a non molto tempo fa ogni arco era un tugurio in cui abitavano intere famiglie immigrate dal sud, sfollati della guerra, poveri, che adesso non ci sono più, naturalmente. Ma è rimasta la loro traccia: pareti con intonaci screpolati, nicchie scavate nei pilastri, nomi e frasi scritte col carbone.

     Ormai la periferia ex povera si è allontanata dagli acquedotti, ma continua a esistere tutto un quartiere di casermoni popolari e casette basse, ancora pasoliniane, dietro le quali ogni tanto spunta la maestà di un arco alto dieci metri, massiccio di conci di tufo che minimizzano le costruzioni moderne, allineate lungo strade con nomi di antichi romani che sembrano inventati o presi da Topolino: Via Curio Dentato, Via Caio Canuleio, via Agerio Levio...


     Vivere in città. E' un fatto: l'Appia antica esercita su noi un'attrazione irresistibile tant'è vero che appena possibile ci facciamo un giro. Sempre sole, caldo, cicale e profumo di pini; andiamo ammirando i pochi ruderi rimasti e ogni tanto l'occhio si intrufola dentro cancelli che racchiudono prati smeraldini, piscine turchesi, villette rosso pompeiano. Saranno anche belle, queste famose ville sull'Appia Antica, ma quanto dev'essere scomodo abitarci: ogni giornale da comprare, ogni commissione dimenticata sono chilometri in macchina. Senza contare i ritorni la sera. Con la fifa che qualcuno possa aspettarti nascosto dietro un pino, e non certo per farti marameo. Infatti i cancelli sono irti di telecamere, proiettori, lucchetti e attenti al cane.

     Secondo noi è decisamente meglio un bell'appartamento in centro storico, piano intermedio, con tradizionale portone sulla strada e porta di casa (magari blindata) da chiudersi alle spalle quando si rientra, senza tanti patemi.

     Niente villette, non fanno al caso nostro. Ma c'è un posto dove all'adolescente che continua a non voler crescere dentro di noi piacerebbe proprio fare la sua casa, anzi il suo castello. Si trova verso il sesto miglio, e si chiama Casal Rotondo. In realtà è il nucleo, appunto rotondo, di una tomba simile a quella di Cecilia Metella, ma più grande. Scomparso il rivestimento di marmo e le sculture, rimane il blocco interno di calcestruzzo, alto sette-otto metri sulla campagna, collegato a terra da una rampa con un ponte levatoio. Sulla cima c'è una casetta, un grande pino, e un mini oliveto. Non ci siamo mai saliti, ma ci immaginiamo in questo paradiso da favola tutto nostro, lassù, alto sulla distesa di ruderi, mentre sotto draghi e orchi ci assediano, ma non riusciranno mai a raggiungerci. Infantile? Certo, e per questo magico.

     Riportiamo i piedi e gli occhi, per terra. Naturalmente intorno a Casal Rotondo, come lungo tutto il percorso, immondezza di ogni genere, e tante scatole usate di preservativi: Hatù, Durex, Hard. Non riusciamo a capacitarci di questa frenetica attività di mandrilli scatenati in continui accoppiamenti dietro a ogni tomba (sempre sesso sicuro, però), soprattutto adesso che qualunque ragazzo ha in casa la sua cameretta dove può ricevere chi vuole. Ci scappa una interpretazione alternativa. Non sarà che i rappresentanti di questi presidi farmaceutici vanno in giro abbandonando confezioni vuote per simulare e stimolare un maggiore consumo dell'articolo?



                                        

 
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