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Perfidie di Stefano Torossi

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Messaggi di Ottobre 2012

Brividi sadomaso

 

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

  29 ottobre 2012

    BRIVIDI SADOMASO


Una delle più vecchie e strane chiese di Roma è S. Stefano Rotondo. E' aperta a orari bizzarri, ma vale la pena andarci. Superfluo chiedersi che forma ha. La circonferenza è marcata da una quarantina di colonne inserite in un muro continuo. E su questo muro c'è il meglio del sadomaso (a scopo educativo intendiamoci, ma anche un po' terroristico) che la Chiesa sia riuscita a farsi venire in mente: il Martirologio. Si tratta di una serie di grandi affreschi attribuiti al Pomarancio che, sugli spazi fra una colonna e l'altra, raccontano con viva attenzione al macabro dettaglio le più fantasiose torture che quei cattivoni dei romani infliggevano, secondo la tradizione, ai martiri cristiani. Ogni quadro è accompagnato da didascalie dove, per il fedele che non avesse capito bene il senso del messaggio, sono meglio spiegati i tormenti rappresentati. Ci sono anche i nomi degli imperatori crudeli: Diocleziano, Massenzio, Nerone, Domiziano.

Purtroppo parecchi di questi affreschi sono in restauro, quindi invisibili, ma gli altri li abbiamo guardati bene. Noi vi forniamo l'elenco delle torture, voi immaginatele, ma poi andate a vederle.

I poveri martiri sono:

1.    Appesi per i polsi, stirati da un macigno legato ai piedi e trafitti dalle lance di molti soldati.

2.      Con la bocca piena di piombo fuso versato da un crogiolo.

3.     Dati in pasto a un branco di leoni con buffe facce da gatto (il pittore non deve aver mai visto un documentario sull'Africa).

4.     Decapitati, ma anche dopo che la testa è rotolata per terra, loro rimangono in ginocchio con le mani giunte in devota preghiera.

5.      Lapidati con bei sassi artistici della misura giusta.

6.      Crocefissi a testa in giù sopra un focherello acceso.

7.    Bolliti nell'olio o nell'acqua (la didascalia spiega la differenza di cottura).

8.      Bruciati (vivi, naturalmente).

9.      Sepolti (vivi, naturalmente).

10.    Bambini sgozzati a mucchi.

11.    Mani, lingue, nasi tagliati.

12.  Schiacciati fra due enormi lastre di pietra. In primo piano nel quadro, quelli che aspettano la tortura sdraiati per terra sembrano tranquilli a fare un sonnellino sull'erba. A metà dell'affresco c'è la vittima di turno a sandwich fra i due pietroni. Sullo sfondo, la fila di quelli già pressati, piatti come sardine.

13.    Tagliati a tranci come un tonno al mercato del pesce.

14.  Cavato l'occhio destro, bruciate le mani, trafitta la gola, rosolati in graticola, ecc. (tutto diligentemente chiarito nelle scritte).

15.  L'ultimo, e il migliore: un nutrito gruppo di martiri tutti insieme a mollo in un pentolone di pece bollente con la regolamentare faccia beata dell'eletto dal Signore, mentre un satanasso di carnefice in piedi sul bordo della vasca li rigira con un mestolone.

Per gli altri, appuntamento a restauro finito.


PS. Appena usciti di chiesa evitiamo con una acrobatica sterzata di essere tamponati da una AZNALUBMA diretta al vicino ospedale militare. Che cos'è? Si tratta di un astutissimo stratagemma linguistico, preso in prestito da Leonardo da Vinci che, per tenerli segreti, scriveva i suoi codici al contrario così da leggerli solo allo specchio. Un genio, ma che genio ingenuo. Questa scritta appare sul cofano per avvertirci dallo specchietto retrovisore che un'AMBULANZA chiede strada, altrimenti nessuno se ne accorgerebbe (sirene, lampeggianti, boh!?). La trovata dev'essere dello stesso brillante funzionario che scrive sull'asfalto: "Tevere Lungo", "Popolo del Piazza", "Servizio di Area".

Due incroci dopo, ecco che ci incalza un'enorme autobotte rossa, ma sul muso del veicolo nessuno ha pensato di scrivere (al contrario) OCOUF LED ILIGIV. Quindi noi non ci preoccupiamo.

Ahi!



                                       

 

 
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Una boiata pazzesca

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

   22 ottobre 2012

  UNA BOIATA PAZZESCA


 Una boiata pazzesca. Ci dispiace plagiare il rag. Fantozzi ma non ci viene in mentre nessun altro titolo per descrivere la sensazione che ci girava per lo stomaco al momento di tagliare la corda.

"The news" di Jacob TV. Stagione Contemporanea, 12 ottobre Parco della Musica. Le possibilità sono due: o non abbiamo capito niente o abbiamo capito tutto. Lo spettacolo ci è sembrato uno sciocco gioco snob in cui presentatori TV, politici, personaggi vari, in maggioranza stranieri per noi, facce completamente sconosciute eccetto un identificabile Obama e perfino un Berlusconi, vengono maltrattati allo stesso modo sullo schermo per tutto lo spettacolo. Si chiama remix. Fermo immagine e voce tagliata, spesso distorta, sequenzine replicate a macchinetta, in cui la faccia ripete la stessa smorfia e la voce la stessa battuta con un effetto innegabilmente comico. La prima volta. Poi, qualche minuto dello stesso trucco e il gioco diventa noioso. Figurarsi dopo tre quarti d'ora. All'intervallo non ce l'abbiamo fatta più, e via!

Non si può fare il verso a qualcuno per tanto tempo senza cambiare la formula. Se c'era un messaggio non ce ne siamo accorti. Ci è sfuggita completamente anche la sbandierata carica "provocatoria e stimolante" dello spettacolo, un po' per la ripetitività del meccanismo comico e molto perché riferita in gran parte a personaggi ignoti che parlano veloci e in tutte le lingue. Non si capisce niente né di quello che dicono né delle intenzioni della regia.

A questo va aggiunto il fracasso. Dieci persone che suonano (presumibilmente) bene una musica scritta (certamente) male, di cui ovviamente non sono responsabili. Si tratta degli ottimi strumentisti del Parco della Musica Contemporary Ensemble, e del loro direttore Tonino Battista. Più due ragazze sedute a una scrivania (sfortunatamente) fornita di microfoni che, credendo di cantare, gridano tutto il tempo. Il responsabile, a quanto leggiamo, è lo stesso Jacob TV (Jacob Ter Veldhuis).

L'unico buon momento è poco dopo l'inizio. Lo spettacolo apre con parecchi minuti di primi piani di Chet Baker con la sua bella faccia disperata e rugosa che ripete, sempre con lo stesso trucco, frasi ed espressioni. Alla fine di questa sequenza troppo lunga, tromba e contrabbasso suonano qualche battuta di un bel blues addolorato. Poi comincia l'inferno.


Emufest. Electronic Music Festival, 9 ottobre. Alla sala Accademica di S. Cecilia, concerto per l'ottantesimo compleanno di Mario Bertoncini, presente e performante sul palco. In programma un suo pezzo del 1968, più due di John Cage, 1948 e 1960, (per Cage cade il centesimo compleanno, ma non è con noi a festeggiare). Tre composizioni che, allora, hanno sicuramente scandalizzato tutti con il loro rifiuto del linguaggio musicale tradizionale. Due brani di soli rumori (gesso grattato sulla lavagna, piccoli gong, oggetti vari con microfoni a contatto), e uno eseguito su pianoforte giocattolo a cui risponde quello vero. Francamente brutti.

D'accordo, per stare sulle barricate non c'è bisogno che la musica sia bella. Basta che sia esplosiva. Ma per durare, no. Oltre a essere nuova deve avere qualcosa. A suo tempo Strawinskij ha provocato un terremoto; poi però, la sua musica è rimasta con noi, e non c'è bisogno di chiedersi perché. Questi tre pezzi, fatta la rivoluzione, sono diventati inutili. E sarebbe meglio seppellirli, con tutti gli onori, ma definitivamente.


Lilli Greco. 17 ottobre, Chiesa degli Artisti a Piazza del Popolo. Funerale dell'amico Lilli Greco, musicista. C'era una completa rappresentanza di tutti quelli con cui ha lavorato nella sua lunga vita. I fonici, che dopo la chiusura degli studi sono andati in giro per Roma come gli apostoli a divulgare un sapere nato proprio lì. Gli artisti che lui ha guidato litigandoci, ma aveva quasi sempre ragione. I registi a cui ha dato la sua competente puntigliosità. E tutti gli altri: colleghi e collaboratori. Si può dire che con la sua morte si chiude ed entra nell'Olimpo il mito della gloriosa RCA, fucina della musica italiana di metà secolo scorso.

E' stata una bella festa di saluto e commozione. Mancava solo lui che di sicuro l'avrebbe raffreddata con un po' del suo ironico cinico distacco.

Un bisbigliare di scommesse è nato all'arrivo di Francesco De Gregori con il suo eterno cappelluccio in testa, senza il quale sembra che nessuno lo abbia mai visto. Se lo toglierà, non se lo toglierà?

 Se l'è tolto.

                              

 

 
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Alcool, risate, jazz e noia

 

  IL CAVALIER SERPENTE

    Perfidie di Stefano Torossi

       15 ottobre 2012

        ALCOOL, RISATE, JAZZ E NOIA


     L'Era Etilica - I Sopravvissuti. 3 ottobre. Roma, Galleria Andrè a Via Giulia. Vernice di opere di Paul Klerr, vecchio amico, che a rivederlo ci ha fatto tornare in mente un turbolento periodo: gli anni sessanta, in cui ci incontravamo tutti in un paio di baretti dalle parti di Piazza del Popolo: il Plinio e il Doc. Locali pieni di artisti pieni di alcool, quasi tutti finiti male.

     Noi siamo fra i pochi sopravvissuti di quel periodo. Gli altri?

     Ecco. C'era Franco Angeli, famoso pittore, travolto in seguito da un eccesso di tutti gli eccessi. C'era Piero Panza, regista TV, anche lui scivolato giù per la rampa alcolica, ma poi andatosene per il cuore. Perché oltre a bere, allora si fumava pure, e molto, per non parlare del resto. Turcato, altro tracannatore, ma più vecchio e più resistente. Schultz, un veneto pancione che faceva divertenti macchie di colore su antiche partiture. Anche lui cirrosi. E c'era Piero Ciampi, cantautore, per un certo periodo noto col nome di Piero Litaliano, antipaticissimo esemplare di un genere preciso di ubriacone, il recriminatorio-aggressivo. Un attaccabrighe che ce l'aveva col mondo e che era riuscito a rendersi odioso a tutti i suoi potenziali datori di lavoro: discografici, editori, gestori di locali, ai quali dava appuntamenti a vuoto o regalava insulti sul palco.  La RCA ci spese su un bel po' di soldi. Niente. Ogni tanto c'è qualcuno che, ripensando ancora a lui come un poeta maledetto, cerca di riportarlo a galla. Non funziona. Ci è rimasta la sua canzone manifesto, "Adius", il cui spirito si estrinseca tutto nel verso: "Vuoi stare vicina? Nooo?...Ma vaffanculo! Ma vaffanculo!"

 

       Risatine e risatone. 4 ottobre. "Nuovi Spazi Musicali" è una di quelle piccole ma toste iniziative che malgrado i calci nel didietro delle istituzioni e il totale disinteresse di chi avrebbe l'obbligo di sostenerla, si guarda bene dal mollare. Ha aperto la sua trentatreesima edizione, ospite dell'Accademia di Ungheria. Speriamo che la coincidenza anagrafica con l'età di un noto personaggio dell'antichità non significhi un imminente martirio, al quale però potrebbe seguire, dopo tre giorni, una resurrezione; non si sa mai... Due divertenti operine: "Voglio vederti...non voglio vederti" e "King Kong, amore mio". La prima, delicatissima, tutta costruita su un gioco di echi (si tratta di Narciso) di Marco Betta, su testo di Sandro Cappelletto, delizioso, con la quale più che ridere si sorride. Con King Kong si ride proprio. Testo di Luis Gabriel Santiago, musica di Fabrizio De Rossi Re. I due interpreti, bravi e giustamente sopra le righe. Lei, Arianna Rinaldi, bambolotta con un vestitino verde pistacchio molto America anni '50, innamorata di lui, Stefano Stella, scimmione-teppista primitivo tutto ruggiti, grugniti e giaccone da moto, con finale dolceamaro. La prima operina: ricerca minimalista di sonorità riverberate. La seconda picchiettata di citazioni da juke box d'epoca ed effetti da cinema di spavento.

     Lunedì 8, secondo concerto del festival. Serata sexy, dedicata a musiche per fisarmonica. Sexy: non la musica, neanche il solista, Cesare Chiacchiaretta, peraltro bel ragazzo, ma il suo strumento, una Scandalli tutta nera, lucida, dalle forme morbide e piene, con almeno duecento scintillanti bottoni di madreperla e un mantice vivo e pulsante. Più seducente di una Ferrari. Si dice tanto che il violoncello è uno strumento sensuale per il fatto che il musicista lo tiene fra le ginocchia e lo abbraccia. Ma guardatevi una fisarmonica all'opera. E' lei che abbraccia l'esecutore, che gli si butta addosso e lo avvolge. E respira, ansima, rantola...Ci siamo fatti prendere la mano?  Torniamo a terra. In un momento di indiscrezione dopoconcerto abbiamo chiesto al solista il prezzo dello strumento. Quindicimila euro per quindici chili di peso. Mille al chilo: meno del caviale, più dell'aragosta.


      Maratona jazz. 6 ottobre. Notte dei musei. Alla Casa del Jazz, una jam session totale durata dalle otto fino a oltre mezzanotte, in cui tutti hanno suonato con tutti scambiandosi strumenti e generi, spesso con risultati precari. Il pretesto era la commemorazione del Folkstudio, il mitico locale dove hanno cominciato la carriera in molti. Non tanti quanti lo raccontano, perché ci sarebbe voluto il doppio di anni e il quadruplo dello spazio per farceli entrare. E' così quando si parla di un morto famoso: tutti lo hanno frequentato, ci hanno lavorato insieme, anzi, erano amicissimi; tanto chi li smentisce? Lo stesso per un locale: adesso che è definitivamente sepolto, ci si può imbastire sopra qualunque bella storia di debutti eroici e saranno famosi.

     Una di quelle occasioni che non necessariamente fanno bene alla musica, ma fanno benissimo all'amicizia. Ci si ritrova tutti, ci si riconosce, ci si conta e ci si congratula di essere ancora in circolazione.


     Ultimo minuto: Celentano. Facciamo nostro un commento letto su Facebook: "Sembra uno che non ha niente da dire, però deve dire qualcosa lo stesso". E, aggiungiamo noi, non si capisce perché la fa con in testa la cuffia della nonna.



                                        

 

 
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FictionFest 2012, stessa zuppa

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

    8 ottobre 2012

      FICTIONFEST 2012, STESSA ZUPPA


    Allarme rientrato, livello sempre basso. Ci riferiamo rispettivamente alla consistenza della gastronomia e alla qualità della cinematografia. Dunque: domenica 30 c'è stata l'apertura del Roma Fiction Fest. Nella Sala Sinopoli, parco della Musica, consegna dell'Excellence Award a Stefania Sandrelli da parte di Steve della Casa, un signore che noi non conosciamo personalmente, sciatto nell'abbigliamento come sembra obbligatorio per gli intellettuali. Sarà certamente una persona competente, ma sul palco forse ci sarebbe stato meglio un professionista del contatto con il pubblico. Qualcuno più elegante, con un'espressione più rassicurante, un sorriso più disteso, una dizione più corretta, e senza la debolezza di farfugliare ogni tanto in un improbabile francese. Per fortuna come contrappeso ci hanno regalato la snella grazia di Miriam Leone. E ancora una volta ci ha colpito il modo assolutamente naturale di stare sul palco, di mandare un bacio a qualcuno nel pubblico, di ringraziare con due parole, lo ripetiamo, assolutamente naturali, della Sandrelli.

     Subito dopo, prima della proiezione, sono arrivati a valanga tutti gli interpreti della fiction "Questo nostro amore", che apre il festival. Saranno stati una trentina, di cui quasi la metà bambini. Immaginarsi il tono da festa di paese. Poi, presenza un po' fuori carattere, ma eccezionale per voce, disinvoltura, look, qualità del repertorio, e non ultimo l'accompagnamento formidabile di un pianista e un contrabbassista di cui non sappiamo i nomi,  l'esibizione di Nadea, una cantante per noi sconosciuta.

     Poi abbiamo capito, quando nella colonna sonora abbiamo risentito le sue canzoni, inserite a forza qua e là, in modo del tutto incongruo. Non brutte, anzi, parecchio più belle della sciocca musica di commento, stantia, ovvia, e soprattutto impostata sulla formula decotta del temino che chiude con il plin plin al cambio scena o sulla battuta da ridere (fra l'altro il nome del suo autore non compare nel materiale promozionale né fra le notizie in rete. Come mai?).

     Cioè, non abbiamo precisamente capito, ma abbiamo dovuto dare ascolto alle solite voci maligne che si intrecciavano in sala per spiegare questa presenza forzata (intrallazzi, sex, ricatti, eccetera). In casi come questo, la qualità superiore di certi brani non solo non serve a farli emergere, ma danneggia, a causa dello squilibrio che crea, il placido fluire della noiosa banalità della colonna sonora vera e propria. Perché la musica di commento deve essere prima di tutto funzionale all'immagine. Se poi è anche bella, tanto meglio; ma se è solo bella e non funzionale, allora tanto peggio. Il contrasto è micidiale.

     La fiction proiettata? Come l'anno scorso. Diciamo: boh. Una storia qualsiasi, un dialogo qualsiasi, un'interpretazione qualsiasi. Con i soliti bambini saccenti, colleghi maligni, portinai spioni, adolescenti ribelli, insomma tutto l'armamentario. Luoghi comuni a mazzetti. Siamo arrivati in fondo con una certa sofferenza perché la faccenda è durata parecchio.

     Viziati dal ricordo dello scorso anno e stimolati dall'ora tarda, negli ultimi minuti del sacrificio abbiamo cominciato a pregustare la cena, che l'altra volta era stata piuttosto buona. Ma nello stesso tempo eravamo anche preoccupati che le ultime vicende, a tutti note, avessero messo in difficoltà la premiata ditta Mangiucchia & Sbevazza (Nuova denominazione sociale della Regione Lazio) mortificando il livello del catering. Anzi, c'era chi addirittura prevedeva il salto della cena.

     Invece, hoplà! Tavole imbandite con profusione di ottimi vini e alimentazione bene assortita, mozzarelle, salumi, carni, porchetta, verdure e una novità: maltagliati con pancetta croccante e ceci. Buon servizio e neanche troppo piratesco l'arrembaggio ai tavoli. Cosa desiderare di più? Ah, sì, all'uscita aveva perfino smesso di piovere.


     PS. Però un appunto al Parco della Musica lo dobbiamo fare. Ogni volta, pochi secondi dopo la fine di tutti gli eventi, a cui siamo presenti da sempre, comincia, prima morbido, poi sempre più insistente, anche se cortese, il movimento del can pastore con il gregge. "Scusate, dobbiamo chiudere. Vogliamo uscire? Signori..." e così via in un incalzare da transumanza delle mandrie. Rovinando uno dei piaceri dello spettacolo, che è ciondolare qualche minuto dopo la fine, a commentare e salutare.

     D'accordo, il personale ha i suoi orari, e infatti non è con loro che ce la prendiamo, ma forse si potrebbe prevedere un dieci minuti di straordinario per concedere a noi del pubblico il tempo di iniziare la digestione (dello spettacolo naturalmente, non del buffet) senza strafogarci.

     Ci quotiamo per pagare un piccolo supplemento sul biglietto. Ne varrebbe la pena.


 

                                    



 

 
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Il ricordo a senso unico

 

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

1 ottobre 2012

 IL RICORDO A SENSO UNICO


     Lelio Luttazzi: gentleman, cantante, attore, ballerino, pianista, autore, entertainer di livello americano. Un uomo perbene, fregato, forse solo per la cialtroneria (ma che gran fregatura comunque) di un presunto amico.

     Martedì 22 settembre nella Sala Consiliare di Palazzo Valentini a Roma c'è stata una bella riunione, organizzata in modo impeccabile da sua moglie Rossana, per parlare del suo doppio CD curato da Paolo Mosele (bella copertina di Ugo Nespolo), del suo film "L'Illazione", rimasto nel cassetto per tanto tempo, e del suo (non lo abbiamo ancora letto, ma tutti lo lodano) libro "L'erotismo di Oberdan Baciro". In realtà principalmente per ricordarlo, adesso che ci ha lasciati ormai da un paio d'anni.

     C'erano molti anziani signori in giacca e cravatta: Gianni Letta, Pippo Baudo, Renzo Arbore, Enrico Vaime, Toni Concina, Dario Salvatori. Tutti in cravatta abbiamo detto. Non Dario. Salvatori, che conosciamo e frequentiamo da anni, non ha mai cessato di stupirci per il suo stravagante abbigliamento, e per lo sterminato numero di capi che devono stare in agguato nel suo guardaroba pronti a balzargli addosso quando esce; mai successo di vedergli lo stesso costume due volte.

     Naturalmente, molte le amichevoli testimonianze; anzi frammenti di vero e proprio spettacolo. Da aspettarseli, data la presenza di professionisti come Baudo e Arbore. Che hanno invaso lo spazio, in teoria di esclusiva pertinenza del commemorato, e monopolizzato il microfono scavalcandosi con gustosi aneddoti e varie amenità. Se sei un carattere da palcoscenico, quasi sempre ti porti nello zaino un ego come dire, un po' fuori misura, e ogni occasione è buona per fargli prendere aria. Non guasterebbe in queste circostanze un minimo di distacco, cercare di non volerci essere a tutti i costi; ma evidentemente non ci si riesce. E siamo convinti che i nostri narcisi, di questa ipertrofia neanche se ne accorgono.

     Professionale, ma più distaccato, anche l'intervento alla tastiera di quel fior di pianista che è Rita Marcotulli. La quale ha allegramente strapazzato alla sua maniera quello scherzo musicale (certamente molto al di sotto dei veri capolavori di Luttazzi) diventato comunque il più popolare di tutti: "El can de Trieste". Delle volte, col passare del tempo qualcosa che l'autore considera una scemenza acquista immeritatamente peso e apprezzamento, e poi non te la scrolli più di dosso.

     Finale goliardico. Ammucchiati minacciosamente intorno alla povera Marcotulli che cercava di suonare sul serio, Baudo, Arbore, Concina si sono messi a pesticciare sulla tastiera un'indecorosa "Vecchia America". Ma tanto si fa per ridere..., anzi, non è mancato (per fortuna non ci ricordiamo da parte di chi) neanche il solito: "Lui è lassù che ci vede e si diverte con noi". Scivolone nel patetico, sempre in agguato quando si parla di un morto.

     Nelle due ore della manifestazione ci hanno anche ammannito i soliti brani di Studio Uno, con le Kessler, Mina, eccetera. Certo, Lelio era proprio bravo. In quei filmati, vederli tutti così eleganti in lungo, in smoking, in costume fa piacere. E ci rende ancora più sgradita la sciatteria, diciamo pure la maleducazione di tanti artisti, bravi, come no, che probabilmente trovano più paraculo (o peggio ancora, non ci pensano neanche) presentarsi davanti al pubblico pagante in panni da fatica, mentre invece sarebbe così semplice, facile e opportuno adeguarsi alla tradizione. Non sai cosa indossare quando sali sul palco? Mettiti quella bella divisa che è lo smoking, o almeno una giacca con cravatta, o almeno una camicia scura, e non quelle squallide magliette e jeans sbracati, che fra l'altro non donano un gran che ai fisici un po' andati di molti dei nostri artisti in età.


     Questo l'evento. Segue riflessione. Che naturalmente vogliamo rendere generale ed estenderla a tanti altri che se ne vanno e di cui noi, in attesa del nostro turno, facciamo la commemorazione.

     Perché il ricordo è sempre a senso unico? Sempre agiografico, spettacolare, laudativo, trionfale; e di un amico che se n'è andato non si racconta mai l'aspetto intimo, familiare, magari poco pittoresco. Ce lo fanno vedere sempre a zompettare sulle tavole di un palcoscenico, e mai in pantofole a casa sua. Quante volte, seduti accanto a un vecchio compagno di viaggio, lo abbiamo sentito parlare di insonnia, di prostata, di memoria perduta, di brutte figure in scena e nella vita. Quanto preferiamo ricordare di qualcuno, magari famosissimo per il pubblico, ma per noi solo fratello d'arte, i momenti senza la maschera, quelli di vera debolezza (che non significa rinuncia alla dignità). E non crediamo affatto che esporre anche questi aspetti faccia perdere punti nel ricordo. Anzi.

     Artisti, sì. Ma anche e soprattutto persone.



                                          

 
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