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Perfidie di Stefano Torossi

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Messaggi di Dicembre 2012

Duemiladodici - Ultime notizie

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

    31 dicembre 2012

     DUEMILADODICI - ULTIME NOTIZIE


 

I giovani per i giovani. Un bel piccolo festival coordinato da Paolo Damiani, ospitato dal dipartimento di jazz del Conservatorio di S. Cecilia, che ha visto quattro concerti di studenti jazzisti di vari istituti italiani. Ogni concerto con un ospite di prestigio. Noi eravamo all'ultimo, il pomeriggio del 12/12/12. Sala dei Medaglioni, felicemente gremita di studenti, troppo ristretta per la bisogna (bene, perché per un concerto jazz è meglio stipati che comodi) e accessoriata di una porta con maniglia e cardini molto cigolanti. Buon trio di voci, buon quintetto strumentale. Superfluo parlare di Damiani e dell'ospite Luca Aquino, tromba. Ci ha colpito il chitarrista Gianluca Figliola, studente sensibile, buona tecnica e cuore, e soprattutto tenera vittima della sindrome del chitarrista jazz. Che si manifesta con la completa perdita di controllo dei muscoli dell'espressione durante la performance. Per cui, mentre il solista suona tutto intento (naturalmente se non canta), i suoi lineamenti in libertà si deformano in smorfie grottesche o allarmanti, la bocca formula silenziose vocali, le narici si dilatano e le sopracciglia vanno su e giù a stantuffo. Esilarante ma naturalmente innocuo. Fa solo sorridere un po'.

 

Nuova Consonanza. Penultimo concerto, dedicato all'organo antico nella musica contemporanea. 12/12/12, sera. Chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini, un edificio di proporzioni nobili; per noi la chiesa più elegante di Roma. Architettura rinascimentale perfetta, tutta bianca e grigia, niente ori o affreschi, solo le linee armoniose degli archi. Con improvvise apparizioni di cappelle e altari che più barocchi non si può. Eppure, proprio grazie a questo equilibrio, l'eccesso presente in piccole dosi previene la nausea da indigestione che talvolta, in altri luoghi, colpisce per l'esagerazione. In questa chiesa c'è un po' di tutto, dalla tomba del Marchese del Grillo a quella del Borromini. C'è anche un tabernacolo contenente una reliquia, il piede di Maria Maddalena (non si capisce se il destro o il sinistro), con una lapide che dice: "Il primo piede a essere entrato nel sepolcro di Cristo risorto".

Il grande organo è inerpicato in cima alla facciata interna, con accesso attraverso una minuscola scaletta a chiocciola scavata nel muro. Solista, il virtuoso Luigi Celeghin, fantasioso esecutore, collaudatore, ispettore di organi antichi e moderni, e uomo spiritosissimo. Ci ha fatto sorridere perché prima del concerto lo abbiamo visto controllare se si era messo le scarpe a pianta stretta. Ci ha ricordato che un organista suona anche con i piedi, e siccome i tasti della pedaliera sono piuttosto vicini, guai a indossare scarpe grosse. Sarebbe come pretendere di fare Chopin con i guantoni da boxe.

Ha eseguito la sua "MI3", una composizione che inizia sommessa, cresce, cresce fino a un rombo sovrannaturale, che solo un organo, ancora più di un'orchestra, riesce a sostenere, per poi tornare alla quiete primordiale. Bellissimo, emozionante effetto, sapientemente previsto dal compositore, consapevole, proprio per il suo mestiere di organista, della magia dei riverberi sonori fra le volte di una chiesa.

Che dire del resto del programma? Ci sembra opportuno riproporre un nostro vecchio uovo avvelenato sull'argomento: "...una riflessione sull'organo, e la facciamo con il massimo rispetto, soprattutto per gli amici organisti. E' uno strumento che ti toglie il fiato, perché lui stesso non lo prende mai. Gli archi respirano a ogni su e giù del braccio, gli ottoni e i legni per bocca dei loro suonatori, solo l'organo non ne ha bisogno. E così, con tutta la sua maestà, dolcezza e potenza, ci mette in affanno, per empatia fisiologica".

Se questo capita con Bach, figurarsi con gli autori contemporanei in programma stasera: Clementi, Capurso, De Pirro. Infatti, siamo rimasti in apnea tutto il tempo, con il fuggevole sollievo di un sospiro quando la sirena di un'ambulanza in transito sul vicino Corso Vittorio si è inserita a pieno titolo portando una ventata di melodia (!) nel brano di Kurtag. Pensate un po'.


Anche il Cavalier, pur essendo Serpente, ha un cuore. In questo momento addolorato. Perché è successo che subito dopo questo concerto, il nostro caro amico Luigi Celeghin è morto! Pensate la fragilità del nostro stare qui. Ha finito di suonare, ha raccolto i meritati applausi, è tornato a casa con i suoi, e senza nemmeno accorgersene se n'è andato. Tutto finito. Ma in gloria.

 

 

                                     

 
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Siamo buoni che è Natale

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

   24 dicembre 2012

   SIAMO BUONI CHE E' NATALE


 Professione mendicante. Dev'essere un'organizzazione, oltre che criminale, davvero ricca per permettersi l'onorario di qualche costumista da Oscar. C'è chi dice che è tutto spontaneo. Figuriamoci. Qui si tratta di assoluta professionalità. Tutti piuttosto giovani, quelli dei semafori, con belle facce da poveri cristi, barba e capelli luridi e arruffati, ma dal taglio sapiente. Palandrana artisticamente ombrata da varie mani di sporcizia distribuita con maestria. Come è ben spalmato e omogeneo il crostone sulle gambe, sui piedi nudi, sul collo. Roba che secondo noi stanno al trucco almeno un'oretta ogni mattina. Per non parlare delle mamme livide coi bambini pallidi e troppo tranquilli. Qui forse qualche compiacente farmacista fornitore di oppiacei...

Poi è il turno del coreografo. La stampella sempre di qualche centimetro troppo corta, in modo che l'attore (pardon, il mendicante) è costretto ad appollaiarcisi sopra in posizione squilibrata e precaria. Il piede sbilenco appoggiato a terra di traverso nello stesso identico modo per tutti. E il tremito? Anche questo studiatissimo. Ma poi perché tremano? Recitano da sciancati, mica da parkinsoniani. E' che anche un po' di tremarella impietosisce. Così come lo sguardo disperato, ma nello stesso tempo torvo.

Il top lo si raggiunge con la vecchietta ammucchiata come un fagotto prostrato sul marciapiede in modo da rappresentare il massimo ingombro per i passanti, irritante e melodrammatico memento mori. Ultimi tocchi magistrali: il tono di voce lagnoso con qualcosa di biascicato e poco comprensibile (fame, mangiare, bambini) e i cartelli scritti a lettere ineguali, ma dalla stessa mano, o almeno attribuibili alla stessa scuola di calligrafia, rigorosamente su pezzi di cartone da imballaggio, che espongono malattie tremende o esagerata prolificità, o tutte e due le cose insieme.

La formula evidentemente funziona. Aspetto miserabile o patetico, più presenza vagamente minacciosa e ricattatoria, più ingombro dello spazio comune, uguale senso di colpa, quindi mano agli spiccioli. C'è anche il senso di colpa secondario, frutto dell'imbarazzo che sentiamo per il poco cristiano fastidio che ci provoca la loro presenza. Gira e rigira il risultato è sempre l'elemosina. (Intendiamoci, siamo purtroppo sicuri che di tutti questi spiccioli, in tasca ai veri lavoratori dell'organizzazione ne vadano pochini. Il grosso se lo becca l'impresario, non c'è dubbio).

Per quanto riguarda noi, ogni tanto ci andrebbe proprio di dare un bel calcetto a qualche stampella, e poi via di corsa...


Che tempo che fa (intervento tardivo). Da sempre seguiamo questa trasmissione TV intelligente, sobria, anche un po' furba, ma comunque di livello. E da sempre ci dispiace constatare che il pubblico reagisce alle battute salaci, audaci, mordaci della Littizzetto sempre e solo con applausi, ben sincronizzati e omogenei. Sembrano (e probabilmente sono) diretti da dietro le quinte. Mai una risata spontanea, magari fuori tempo ma vera.

Finalmente, domenica 9, verso le ventuno e trenta, l'abbiamo sentita questa vera, spontanea risata, addirittura accompagnata da grida e battere di piedi. Viscerale. Anche se ormai è roba vecchia, vogliamo insisterci un po' su, perché questo dà la misura del livello. La battuta è così ampiamente diffusa e commentata da ogni fonte che la diamo per riferita. Al momento del misfatto, tutti giù a sganasciarsi, con Fazio che faceva lo scandalizzato per burla, essendo questo il suo contributo contrattuale a quel punto dello spettacolo. Ma non è il contenuto che noi siamo qui a commentare. E' la reazione del pubblico. Le altre volte, solo applausi e niente risate; stavolta un uragano. Che vorrà dire? Probabilmente che quello che fa sganasciare non è la satira, o Berlusconi, ma il cazzo. (Organo indispensabile. Qualche volta, come questa, utile anche per far ridere.) Ci pare grave.


Tranquilli. Qualche amico, dopo aver ricevuto e letto più di un uovo avvelenato del Cavalier Serpente ci commisera perché, dicono, alla fine sembra che a noi capitino solo spettacoli brutti, noiosi, mal riusciti. Non è vero, tranquillizzatevi. Di belli ne vediamo parecchi, ma raramente ne parliamo perché quello che ci diverte è punzecchiare, e dove farlo se non c'è almeno una magagna?


PS. Aiuto, ci risiamo con i gospel all'italiana!

Merry Christmas.


                        

 
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Nudi e Vergini al museo

 

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

   17 dicembre 2012

 NUDI E VERGINI AL MUSEO

 

Negli ultimi anni si è finalmente capito che, come direbbe Catalano, è meglio un museo con pochi pezzi bellissimi piuttosto che un museo gremito di roba, che alla terza occhiata in giro ti stende con la nausea da indigestione. Palazzo Altemps fa parte del nuovo indirizzo. Scultura romana scelta, sale sempre più raffinate, a crescere, fino al salone d'onore col magnifico sarcofago Ludovisi e il sublime Galata suicida. Contigua, la cappella del Cardinale Altemps.

Qui, sabato otto alle undici si è celebrata la messa per l'Immacolata. Che non sarebbe una gran notizia, ma ecco la postilla interessante. Mentre la funzione procedeva in cappella, nel salone appena citato c'eravamo noi insieme ad altri fortunati per assistere alla contemporanea esecuzione della musica dedicata a Monsignor Altemps da Felice Anerio (siamo all'inizio del '600), riscoperta da Michele Gasbarro ed eseguita dal suo magnifico ensemble Festina Lente.

La scena aveva un che di irreale e anche anacronistico perché, mentre lì accanto si faceva un gran pregare la Vergine e le sue virtù, il pubblico aveva, proprio all'altezza degli occhi, anche se nelle dimensioni ridotte convenzionali alla statuaria dell'epoca, il membro gloriosamente nudo, con tutti gli annessi, del guerriero gallo. Oltre naturalmente ad altre nudità dei numerosissimi soldati, barbari e romani, in battaglia sulla fronte del sarcofago. Grande, grandissima bellezza classica, ma sempre genitali, che in seguito avrebbero cominciato a far paura ai pii cristiani, per finire ben nascosti sotto foglie di fico e drappi vari.

Momento particolarmente esilarante quando il celebrante si è scatenato in una predica decisamente iettatoria, ma chiaramente vincolata alla necessità di trasmettere il messaggio promozionale della ditta. Roba tipo: "Se all'improvviso crollasse il soffitto, se malauguratamente i maestri che suonano così bene stonassero, ecco che tutta questa bellezza che ci circonda diventerebbe brutta. Così se qualcuno di noi uscirebbe da qui e cadesse in peccato, ecco che la pura bellezza della vergine diventerebbe brutta anch'essa..." A parte la scivolata (testuale) fra congiuntivi e condizionali, questo approccio ricattatorio, specialmente con un pubblico, diciamo così non proprio sprovveduto, riunitosi per ascoltare una messa del seicento, ci è sembrato piuttosto infantile.

Comunque, tutto scompare di fronte alla spremuta di bellezza del luogo e della musica.


Neanche mezzo giro di lancette, ed eccoci in un altro posto bellissimo, la Biblioteca Angelica. E' un salone alto tre piani con le pareti fittamente tappezzate di libri e una balconata che gira tutto intorno. Magia pura. Si tratta di uno spazio immenso eppure con un'acustica ottima, probabilmente proprio grazie all'imbottitura biblica delle pareti.

Ultimo concerto del Festival Pianistico di Roma, organizzato con coraggio e sprezzo del pericolo (le sovvenzioni comunali, statali o private che siano, stanno paurosamente diminuendo, e tutti conosciamo l'amore delle nostre istituzioni per la cultura) da Carlo Magni.

Il Warhol Piano Quartet, privato per un incidente del violoncello titolare, ma con una valida sostituzione, ha suonato Mozart e una divertentissima suite di temi cinematografici di Morricone. Ascoltare le ocarine, i fischi, le armoniche e il galoppo dei cavalli dei western all'italiana ridotti per gli archi in modo così spiritoso è stata una delizia. Non vogliamo chiudere senza segnalare il talento fuori del comune del pianista Andrea Feroci, a nostro parere erede, con il dovuto rispetto, di Arturo Benedetti Michelangeli. Certo, se deciderà di accettare il confronto, saranno affari suoi. Noi crediamo che ci riuscirà.


PS. Problemi di lingua. Torniamo un po' indietro. Accademia d'Ungheria, 29 novembre, Musica sacra bizantina. Il Coro dei monaci di Sant Efrem canta in ungherese. Bassi profondissimi, interminabili pedali sonori e scuri; un frate, baritono solista, che sembra Rasputin in tonaca e velo nero con fodera rosso sangue, e come unico accompagnamento campanelle che ogni monaco scuote vigorosamente.

Impressionanti i primi minuti, ipnotici i successivi, poi si va in coma.

Anche perché la sala da musica di Palazzo Falconieri, sede dell'Accademia, è un inferno di cristallo. Sempre, ma sempre, temperature da forno; d'estate tengono le finestre ermeticamente chiuse, per il rumore del traffico, dicono. D'inverno anche, che andrebbe bene, ma con i caloriferi al massimo. Più di una volta gli stessi esecutori sul palco hanno sperimentato svenimenti e rischiato infarti. Di tanto in tanto proviamo ad aprire furtivamente qualche spiraglio. Niente. C'è sempre qualcuno che corre a tappare tutto.

In più, la lingua ungherese è assolutamente incomprensibile. Due minimi esempi. Ci sono nel nostro mestiere parole che sono praticamente identiche in tutto il mondo. "Orchestra", oppure "Piano". Beh, in ungherese orchestra si dice Zenekarra, e piano Zongora. Capito cosa intendiamo?


                                       

 
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Un pomeriggio salvato dal Barbarossa

 

     IL CAVALIER SERPENTE

      Perfidie di Stefano Torossi

    10 dicembre 2012

     UN POMERIGGIO SALVATO DAL BARBAROSSA.

                                          

      Fin dalle elementari tutti abbiamo imparato a rabbrividire al nome del Barbarossa (Federico), ferocissimo condottiero di eserciti invasori, distruttore di città e paesi e acerrimo nemico dei Democratici Comuni Italiani. Oggi, pomeriggio del 3 dicembre, al Teatro Vittoria ci siamo trovati a benedire il nome di un altro Barbarossa (Luca), un angelico bagnino che è corso al salvataggio di un evento sul punto di affondare.

    "La città e il paese che vorrei" è il titolo dell'incontro, organizzato dall'Associazione RomaFutura, che andiamo a descrivervi. Le intenzioni erano ottime, la realizzazione molto meno.

     Prima di spulciare i particolari bisogna dire che, come spesso succede negli incontri in cui tutti i partecipanti sono dalla stessa parte, il clima va a finire che si sbrodola in un fastidioso autocompiaciuto buonismo condito con un pizzico di new age, e molta insistenza nel far vedere quanto siamo bravi. A cominciare dalle testimonianze che scorrono sullo schermo "Vogliamo una città dove per strada si canta", "Via le barriere architettoniche". Molto pittoresco e vero, chi oserebbe pensare il contrario? Ma serve qualcosa di più concreto e soprattutto pratico.

    Video della Sora Cesira. La quale si è inventata una bella chiave. Prende filmati dei famosi e gli toglie il testo originale sostituendolo con uno sberleffo, qualche volta azzeccato, qualche volta no. Come oggi. Ha preso Gabriella Ferri e nell'intenzione di farla ancora più romanesca le mette in bocca troppi "mortacci tua" e "che ce frega". Inutilmente pesante.

     A seguire, il qualunquismo altrettanto romanesco del rapper mascherato Johnny (o meglio Gionni) Palomba. I soliti riferimenti, piuttosto frusti (sull'ovvio una rinfrescatina ci sta sempre bene), all'inefficienza dell'amministrazione di città quando piove, o nevica, o il solito traffico. Banale.

     Poi una maestra di scuola (vera) che, dopo essersi molto scusata per l'emozione parte con un interminabile pistolotto a sfondo edificante, stile sinistra anni settanta. Esiziale.

     Tiziana Foschi ci regala una tirata parodisticamente razzista (vorrebbe rappresentare, per metterlo alla berlina, il contraddittorio di destra). Troppo lunga, troppo ripetuta e soprattutto troppo urlata.

     Per fortuna a un certo punto è apparso in scena un vecchio gentiluomo, Ettore Scola, che con la sua sola presenza ha rialzato parecchio il tono ricordando la sua lontanissima (nel tempo) scuola elementare tutta bianca (di pelle, non di intonaco), diventata in questi ultimi anni multietnica: bambini neri, gialli e qua e là ancora qualche bianco. Una testimonianza positiva, finalmente.

     L'imitazione. L'imitato: il sindaco Alemanno. L'imitante: Max Paiella. Limitante l'imitazione per il livello generale; vecchia storia fare il verso a qualcuno. Ma poi fa ridere perché lui è bravo

     Ha cantato molto bene, e parlato meno bene, Tosca.

     Due benemeriti che lavorano nel sociale imbastiscono una specie di teatrale battibecco allo scopo di spiattellare tutto quello che andrebbe fatto dalle autorità, ma che le autorità non fanno; e che invece viene fatto dai singoli con sacrifici di tempo, denaro, vita. Tutto sacrosanto, naturalmente, ma somministrato con tanta virtuosa petulanza, e senza un minimo rispetto dei tempi e dei ritmi (è pur sempre un'incontro di e per gente di spettacolo) che a un certo punto abbiamo temuto che qualcuno decidesse di abbatterli direttamente lì, sul palco.

     Applausi ogni volta possibile, cioè troppo spesso.

     Risate a ogni volgarità.

     Insomma, una specie di bagaglino, di sinistra, ma sempre    bagaglino.

     Ci fermiamo qui.

     Perché il Barbarossa salvatore? Perché Luca, benedetto dalla fortuna che gli ha dato una sottile ironia, un costante sottotono, la capacità di intervenire con garbo per neutralizzare i troppo pedanti, un bell'aspetto, una sommessa parlata romanesca, ma soprattutto una leggerezza in tutto quello che fa e dice, ha saggiamente utilizzato a nostro vantaggio queste doti per tutta la sua conduzione dell'incontro. E, come dicevamo prima, ha salvato il pomeriggio. Bravo Barbarossa.

     A proposito, dimenticavamo di dirlo: ha anche cantato. Bene.


     PS. Accidenti! Ci eravamo preparati una scorta extra di veleno entrando mercoledì sera alla Sala Sinopoli del Parco della Musica per il "Concerto per cento chitarre elettriche" di Tadini-Burns, convinti che fosse una bufala. Cento chitarre? E dove le trovano? Saranno registrate, saranno doppiate. E invece sul palco c'erano tutte, più i bassi. Ragazzi e ragazze in fermento, entusiasti di stare lì. Come noi, d'altra parte, che ci siamo divertiti dall'inizio alla fine a questo concerto rock, ma con un direttore vero (l'ottimo Tonino Battista, un uomo che sprizza energia ma anche finezza musicale a ogni gesto), i chitarristi, tutti e cento, con lo spartito davanti, un batterista esplosivo e un superbo Stef Burns solista. Bellissima musica monocellulare (una nota e quattro accordi), molto emozionale, aggressiva ma anche lirica. Bel colpo d'occhio, oltre che d'orecchio su questa moltitudine di ciuffi e pelate di musicisti sorprendentemente a loro agio in una situazione quanto meno inconsueta. Niente altro da dire, se non anche a loro: bravi!



                                        

 
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Flautini, flautoni e Voci di Corridoio

 

       IL CAVALIER SERPENTE

        Perfidie di Stefano Torossi

         3 dicembre 2012

       FLAUTINI, FLAUTONI E VOCI DI CORRIDOIO


 Flautini e flautoni. La settimana scorsa abbiamo manifestato la nostra gratitudine a Nuova Consonanza per la sua esistenza. Confermiamo e segnaliamo un altro interessante concerto, giovedì 22 nella Sala Accademica del Conservatorio di S. Cecilia: "Forme d'aria". La serata apre con un discorso breve, preciso e chiarissimo (magari averne sempre uno così, prima di questi ascolti difficili) di Alessandro Sbordoni, esecutore insieme a Roberto Fabbriciani e ad Alvise Vidolin, che con poche giuste parole ci racconta cosa stanno per fare.

In programma brani di Cage, Scelsi e improvvisazioni sugli stessi. Vidolin al controllo dei suoni e dell'elettronica, Sbordoni con il suo bayan, una fisarmonica che è meglio di un organo, Fabbriciani con il flauto d'oro, il flauto basso, e con un aggeggio che non avevamo mai visto prima, un flauto contrabbasso; un grosso tubo con sifone a collo d'oca, in grado di emettere note profonde, il quale, oltre che a noi, piacerebbe di sicuro anche a un eventuale idraulico musicofilo di passaggio.

Qui, ci siamo detti, occorre documentarsi. Detto fatto. Pare che esista perfino un flauto iperbasso, fatto costruire e suonato dallo stesso Fabbriciani, unico al mondo a osare tanto. Wikipedia: "Il flauto iperbasso è lo strumento più grande e più basso della famiglia dei flauti. Suona in do, quattro ottave sotto il flauto traverso, tre sotto il flauto basso, due sotto il flauto contrabbasso, una sotto il flauto subcontrabbasso. Il tubo dello strumento è lungo oltre 8 metri e la nota più grave che produce è il do un'ottava sotto il do basso del pianoforte, considerato il limite della percezione umana". Ma quanto fiato ci vorrà per suonarlo?

Una frivolezza per riprenderlo, il fiato. Forse non tutti sanno che John Cage, oltre che un innovatore della musica, era anche un buono scacchista, e nel 1958 sorprese tutti andando in TV da Mike Bongiorno e vincendo a Lascia o Raddoppia cinque milioni con domande sui funghi. Milioni del '58!

 

Sironi e il Quartetto Cetra. Che bel contrasto, il pomeriggio del 24 all'Aula Magna dell'Università, fra il retorico ma splendido affresco di Sironi nell'abside che domina il palcoscenico con tutta la simbologia dell'Italia Fascista, e le Voci di Corridoio. Un quartetto vocale, sostenuto da un buon trio ritmico, che fa con grandissima e professionale leggerezza, più qualche divertente gag, tutto il repertorio vocale dagli anni trenta ai sessanta, "Lo swing all'italiana": Natalino Otto, Kramer, Luttazzi, Jula De Palma e, per l'appunto, il Quartetto Cetra.

Ci ha piacevolmente sorpreso che l'Istituzione Universitaria dei Concerti, la quale di solito se la fa con autori ed esecutori classici, se non addirittura di contemporanea, abbia trovato la voglia e lo spazio per ospitare quello che molti esteti della musica alta considerano ancora un repertorio stupidotto e non degno di attenzione. Bene, vuol dire che c'è qualcuno che trova gusto a divertirsi senza perdere la faccia anche fra le austere mura della grande sala di Marcello Piacentini. Sta a vedere che i quattro frivoli canterini sono sulla strada di diventare dei classici anche loro. Lo meriterebbero.


Stati Generali dell'Autore (musica, Tv, letteratura, teatro). Lunedì 26 al Dipartimento di Comunicazione della Sapienza, nella sede di Via Salaria, convegno patrocinato dalla Federazione Unitaria Italiana Scrittori. Una di quelle iniziative che nelle intenzioni dovrebbero scoprire, affrontare e magari anche risolvere i problemi di tutta una categoria.

Parcheggiamo davanti al N. 125, un cancello che dà su uno slargo maestosamente occupato dal mausoleo di un antico romano. Sulla lapide c'è, in grande, la dedica. A Lucilio Peto. Non siamo riusciti a sapere se in latino quel cognome significa lo stesso che in italiano. Se è così, immaginarsi l'inferno di sberleffi che il piccolo Lucilio deve aver passato a scuola prima di diventare un famoso pretore.

Molti ospiti eccellenti, Giorgio Assumma, Alessandro Occhipinti, Roberto Faenza, più il padrino dell'evento, Natale Antonio Rossi.

Mario Morcellini, direttore del dipartimento fa un intervento di rara intelligenza e chiarezza che ci colpisce per la lucidità con cui analizza i problemi e per la scelta accurata e precisa delle parole e del loro concatenarsi. Eppure ci siamo accorti che anche lui, mente brillante, sintesi fluida, cede alla civetteria così incomprensibilmente diffusa fra tanti maschi di mezza età, e sfoggia un ridicolo e visibilissimo riporto. Che strana debolezza. Invece di essere soddisfatti di quello che c'è dentro la testa, vanno a preoccuparsi di quello che c'è sopra.

La mattinata è conclusa da una lectio magistralis di Ugo Volli che annuncia per l'autore contemporaneo lo stesso tipo di cataclisma storico che mise al tappeto il mondo degli intellettuali all'epoca di Gutenberg. Oggi è la rete che sconvolge tutte le sicurezze accumulatesi dal settecento in poi. Spazzata via la tutela del diritto. In bilico perfino il concetto di proprietà intellettuale e di identificazione dell'autore con la propria opera. Come spesso nella storia, siamo di nuovo al punto di partenza. Preoccuparcene?

Poi ci siamo ricordati che tanto il mondo finisce a mezzanotte del ventuno, e allora siamo andati a consolarci al buffet.


                             

 
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