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Perfidie di Stefano Torossi

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Messaggi di Marzo 2013

L'ispettore Clouseau e il fortepiano

 

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

 25 marzo 2013

L'ISPETTORE CLOUSEAU E IL FORTEPIANO


Giovedì 21 marzo. Presentazione del progetto "Suona francese". In via eccezionale, siamo tutti invitati a Palazzo Farnese. Che è un bel posticino. Un cielo/terra di circa dodicimila metri quadri, senza contare cantine, soffitte e giardino, nel centro di Roma, messo su da Sangallo, Michelangelo, & altri bravi artigiani, con affreschi, stucchi e marmi di buon livello. Insomma una cosina di lusso. E' dello stato italiano ma in affitto all'ambasciata di Francia (simbolico; pare si tratti di un euro l'anno), che ci ha radunati per raccontarci il programma di questa loro iniziativa, una serie di più di cento eventi, da aprile a luglio in varie città d'Italia. Un bel fatto, soprattutto in questo periodo di catalessi.

Discorsi dell'ambasciatore e di altri funzionari, i quali, e non ce n'è uno che si salva, parlano tutti come l'ispettore Clouseau. Forse non bisognerebbe tanto prendere in giro gli stranieri che pronunciano male l'italiano, perché anche noi, quando andiamo all'estero...però questi sono personalità, studiosi, addetti culturali. Insomma, un po' di sforzo e un livello leggermente più accurato ce lo potremmo aspettare. Niente.

Finita la "conferansa stompa", ci è stata imposta un'esibizione, per fortuna breve, del gruppo i Tetes de bois in omaggio a Leo Ferrè, nel più puro e noioso stile cantautorale anni settanta: intenso, intellettuale e soprattutto molto superato. Naturalmente, come usava allora, nessuna concessione alla musica che dev'essere solo una dimessa filastrocca al servizio di un testo di solito presuntuosamente sociale o narcisisticamente personale. Così è stato.

Poi un rinfreschino davvero striminzito; ma finalmente abbiamo potuto gironzolare per sale e saloni e uscire sulla grande terrazza che si affaccia sul Tevere. Una meraviglia.


Venerdì 22. Dopo l'Angelica della settimana scorsa, ci facciamo un'altra biblioteca storica, la Casanatense, ennesimo luogo di miracolosa bellezza (si tratta sempre di istituzioni legate alla Chiesa, che qualche merito in difesa della cultura, in passato ce l'ha avuto). Siamo qui per la presentazione di un interessante libro dell'amico A.G. Perugini sul musicista Bernardo Pasquini, seguita dall'esecuzione di qualche aria inedita dello stesso, trascritta da manoscritti ripescati negli sprofondi di rinascimentali archivi cardinalizi o papali.

E' curioso pensare, ora che stiamo tanto a combattere per il diritto d'autore e la sua tutela messa in pericolo da Internet, che a quei tempi, non solo questo diritto non esisteva, ma neanche se lo sognavano. L'artista, pittore, scultore o compositore era al servizio del principe, anzi, in un certo senso era di sua proprietà; la sua opera entrava nel patrimonio del potente che l'aveva pagata e che poteva farne quello che voleva: eseguirla nei suoi saloni, seppellirla in cantina, regalarla. E l'autore, zitto, o legnate sul groppone.

Certo, alcuni di loro, fra regali e mance diventavano ricchi. Ma le vere rockstar del periodo erano altri. Viaggiavano su carrozze di gran lusso, erano ospitati, riveriti, corteggiati da conti e duchesse. Le loro esibizioni facevano il pieno, e si permettevano di tagliare o allungare gli spettacoli per inserirci virtuosismi e bis a loro capriccio. Certo, per tutto questo avevano rinunciato a qualcosa di piuttosto prezioso. Erano i castrati.

Per tornare a Pasquini, le sue arie, detto fra noi, piuttosto insignificanti (infatti, il buon Pasquini non è che sia diventato una celebrità. Forse allora era famoso, ma certo non è entrato nella storia) ce le ha cantata una brava soprano accompagnata dall'insipido fortepiano.

Ci permettiamo di chiamare così un attrezzo di passaggio, suono un po' fesso e voce monotona, per fortuna durato pochissimo, nell'intervallo fra il decesso del clavicembalo e la nascita del pianoforte. Non ha più il fascino un po' noioso e poco espressivo, ma indiscutibilmente elegante, del vecchio clavicembalo, e purtroppo non ha ancora neanche lontanamente la potenza e la infinita espressività del giovane pianoforte. Insomma, un muletto della musica, un ibrido da dimenticare.

O meglio, da saltarci in groppa per farci trasbordare dalla fine di un periodo tecnico-artistico all'inizio di un altro.

 

                           


 

 
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Un'agenda esagerata

IL CAVALIER SERPENTE

Perfidie di Stefano Torossi

18 marzo 2013

UN'AGENDA ESAGERATA

 

Giovedì 7 marzo, Sala Accademica di S. Cecilia.

Concerto dedicato a Berio. Entriamo in ritardo, perdiamo il primo pezzo, ma il secondo "Sequenza VII per oboe del 1969, ci conferma nella nostra opinione: molte di queste composizioni diciamo così sperimentali, riascoltate in tempi successivi non sono più belle (forse non lo erano neppure allora, ma almeno erano, appunto, sperimentali). Insomma, sono rimaste un documento, ma non sono diventate un piacere. Un piacere totale è stato invece il successivo "Folk songs" per mezzosoprano e sette esecutori, soprattutto per merito di Alda Caiello che ha portato in scena la sua cassa toracica ornata da poppe monumentali e generosa di una voce potentissima, versatilissima, bellissima.

 

Sabato 9, ore 18 alla Biblioteca Angelica. Gran folla per due installazioni visive di Jannis Kounellis e Bizhan Bassiri, con musica di Stefano Taglietti. La Biblioteca Angelica è un meraviglioso salone barocco tappezzato fino al soffitto di libri rarissimi e bellissimi. L'istallazione di Bassiri era una specie di grande pizza di cartapesta rossa appesa a due catenelle. Quella di Kounellis una serie di sacchi di juta pieni di pagnotte, rosette, ciriole e sfilatini, ammucchiati sui banchi di lettura. La musica di Taglietti, una sorta di parafrasi su temi di Mozart, bruttissima, era affidata per l'esecuzione a due violoncelli e un contrabbasso, nelle mani, quest'ultimo, del famoso solista Franco Petracchi, bravo, ma non abbastanza taumaturgico da salvare la composizione. Diffuse espressioni di sconcerto sulle facce della gente mentre un bisbiglio serpeggiava fra la folla: "E' ora di merenda: il pane c'è. Dove sarà la mortadella?"

 

Domenica 10. Sala Petrassi. Requiem di, e in omaggio a, Hans Werner Henze, morto da pochi mesi. Una magnifica e neanche troppo ostica serie di "nove concerti spirituali" di atmosfere diverse. Molto bene eseguiti dall'Ensemble di S. Cecilia e dalla PMCE Orchestra, benissimo condotti da Tonino Battista, uomo dall'aspetto elegante e, sul podio, direttore dal gesto bellissimo ed eloquente.


Lunedì 11. In programma: riposo. Invece a un certo punto ci telefona un amico organista. Corri a S. Agostino, c'è un bel concerto. Infatti. Orchestra "Le Metamorfosi Musicali" e coro del PIMS, Pontificio Istituto di Musica Sacra. Ottima l'orchestra, eccellente il coro, sopraffina l'acustica che amplifica le voci (e impapocchia le percussioni, tanto è vero che i pianoforti dovrebbero stare sempre fuori dalle chiese). Soprattutto efficace un brano di Bruckner, il cui gustoso impasto è ulteriormente arricchito da tre tromboni che amalgamano benissimo il tutto con i loro echi succulenti mantecati sulle volte.

 

Martedì 12. Teatro Studio, Parco della Musica. "From Hollywood with love". The Jazz Connection Sextet. Un garbatissimo show all'antica, con i musicisti in elegante giacca bianca, i cantanti in nero, e un repertorio ben suonato che, come da titolo, comprende il meglio del meglio della produzione americana anni trenta e quaranta.

Infelice, perché davvero fuori stile, è invece la presenza di Riccardo Rossi, presentatore chiassoso e volgare e, come leggiamo nel programma a sua maggiore colpa, anche autore dei testi. Ha gridato troppo, ha fatto inopportuni riferimenti all'attualità politica nostrana, e alla presunta omosessualità di Fred Astaire. E' riuscito a scippare quattro risate al pubblico con battute in pesante romanesco, mentre raccontava di Cole Porter o di Gershwin (argomenti che richiederebbero un parlare raffinato e una dizione perfetta). Siamo convinti che il suo ruolo sarebbe stato svolto molto meglio da Roberto Podio, padre fondatore del sestetto, uomo di classe e di spirito; che però nella circostanza era occupato a suonare la batteria. Non si può fare tutto. Peccato.


Giovedì 14. "Il pianoforte di Bach" alla Sala Casella. Quattro giovani pianisti selezionati ai corsi di Ramin Bahrami, oggi considerato il più innovativo interprete di Bach. Due dei ragazzi da scartare subito (con loro Bach risulta morto, come da anagrafe); il terzo, bravo, ma superato dal quarto, anzi la quarta, Marialuisa Veneziano, che ci è piaciuta di più. Incantevole guardarne il profilo da dove eravamo seduti, in prima fila, perché quello che suona lo vive con espressioni (e smorfie) di sopracciglia, naso, bocca, occhi, collo. Insomma, anche senza colonna sonora capiremmo quello che succede solo guardandola. Poi, una tecnica così ineccepibile che l'ascoltatore si può rilassare, tranquillo che l'errore non ci sarà. E infine perché interpreta Bach come si dovrebbe. Come se invece che morto da duecentocinquant'anni fosse ancora fra noi: vivo e pieno di swing.


Venerdì 15. Le idi di marzo. Ore 16.30, Area Sacra di Torre Argentina. Messa in scena dell'assassinio di Cesare nel luogo preciso dov'era avvenuto venti secoli fa. Ci aspettavamo un decoroso spettacolo giù negli scavi. Sarebbe stato suggestivo, e noi del pubblico tutti intorno a guardare attenti verso il basso. Invece no, niente discesa fra le rovine. Sul marciapiede quattro sfigati in toga, sul genere dei centurioni fasulli del Colosseo. Vocianti, agitati e apparentemente senza regia. Una bufala.

Ore 17.30, Palazzo del Monte di Pietà. Mostra d'arte contemporanea in omaggio a Mattia Preti, organizzata da, nientedimeno che: Consiglio di Stato, Comune di Roma, Primo Municipio e Galleria Spada. Sorvolare sulla qualità delle opere è il minimo per sopravvivere. Vale la pena di citare così, tanto per ridere, un quadro di Ennio Calabria, pittore accompagnato da una certa fama, del tutto usurpata, intitolato (non dimentichiamo che la mostra era in onore di Preti) "Bonjour Monsieur Caravaggio". Errore di persona? Per fortuna un amico prezioso ci introduce con circospezione nella meravigliosa cappella di palazzo, appena restaurata e scintillante di marmi colorati. Questa sì, una bella sorpresa.



                                      

 

 
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Dispetti della Siae

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

11 marzo 2013

  DISPETTI DELLA SIAE


Il primo marzo è stato allietato da un evento faraonico: le elezioni alla Siae. Una spesa probabilmente spropositata per affittare il palazzo dei congressi di Roma, e per scritturare una sterminata schiera di hostess e steward, con una caterva di superflui computer a disposizione. Più o meno uno a tre per i pochi associati venuti a votare (circa millecinquecento su almeno centomila aventi diritto).

E sì, perché le cose sono state rese davvero complicate, che di più non sarebbe stato possibile.

Intanto si è votato solo a Roma, con tutte le sedi regionali a disposizione, e soprattutto con la moderna tecnologia che avrebbe permesso un collegamento sicuro, facile e istantaneo. Un dispetto?

Poi, la delega che era stata garantita gratuita presso qualunque ufficio comunale, è risultata nella maggior parte dei casi certificabile solo dal notaio. Settanta euro in media. Un altro dispetto?

E in più, pur essendoci tutto il giorno per il voto, gli associati dovevano arrivare all'EUR (per chi non lo sapesse, zona molto decentrata della città) al massimo entro le undici del mattino per accreditarsi. Un altro dispetto ancora! Forse per evitare le file? Neanche per sogno, con tutti i computer a disposizione, non ci sarebbero state di sicuro.

Il risultato? Che praticamente tutti quelli che avrebbero voluto venire da fuori sono stati esclusi.

Malgrado la fantascientifica dotazione, poi, in sala si schiattava dal caldo. Forse il condizionamento era un extra e su questo si è voluto risparmiare. Mentre non si è risparmiato sui cornetti, le bombe e i bignè, peraltro buoni, presenti in quantità impressionanti sui vassoi del buffet. Niente di salato, però. E neanche un bicchiere di prosecco verso il pomeriggio. Misteri del catering. O paura che i maestri si imbizzarrissero con l'alcol?

Nonno Gianluigi (il nostro ultranovantenne commissario Rondi) è rimasto valorosamente sul pezzo tutta la giornata, anche se verso la fine, nel momento più importante, cioè quando c'era da leggere i risultati si è impappinato, tanto è vero che uno dei subcommissari è dovuto intervenire a scandire meglio. Un po' come nei matrimoni di campagna. All'inizio, tutti composti, poi poco a poco i suoceri si appisolano, i giovani amorosi ne approfittano, la servetta ruba per conto suo, e alla fine chi ci rimette sono gli invitati.

Numerosi gli interventi al microfono, alcuni condivisibili, altri inutili e, come spesso accade fra noi artisti, troppo autoreferenziali.

Per tutto il tempo le prime file sono state abbagliate dalla candida luce riflessa da una grossa mongolfiera che fluttuava sul palco, in seguito identificata come la pancia del D G Blandini.

 Insomma, un pittoresco pic nic, anzi, una gita fuori porta che comunque ci ha dato l'occasione di salutare amici che non vedevamo da tempo. Certo, cara come scampagnata, ma evidentemente bisognava fare bella figura...

Per finire, nel parcheggio davanti al palazzo c'erano non una (precauzione forse ragionevole data l'età media dei votanti) ma ben due ambulanze. Perché due? "Presto detto - ci ha chiarito un arguto collega di cui non faremo il nome - in caso di emergenza, in una c'è il defibrillatore. In caso di catastrofe, nell'altra c'è l'inceneritore".


 

P.S. La settimana scorsa avevamo promesso un'esternazione di Allevi. Eccone parecchie, emesse in occasione del suo recente concerto così annunciato dai giornali: "28 febbraio, Auditorium della Conciliazione. Giovanni Allevi - Sunrise", e l'aggiunta più importante: SOLD OUT. Vorremmo averli noi tutti i suoi furbissimi sold out. Certo, se il pubblico ci va, ha senz'altro ragione lui. Confessato questo peccato di bassa invidia, cerchiamo di riscattarci smascherando la scempiaggine del suo pensiero. "l'ultimo album Sunrise che in italiano vuol dire alba...un'alba colorata che segue un periodo buio e che per questo motivo è ancora più intensa. E' successo che questo era solo un percorso mio interiore, ma improvvisamente ha assunto una dimensione collettiva..." e giù in uno svenevole sbrodolio new age. Questo sulle pagine di Repubblica.

Più istruttivo l'ascolto di una puntata dell'incontro radio "Citofonare Cucchiarini" in cui Lorella, fra sciocche risatine e imbarazzanti slinguazzate al genio (compreso, compreso anche troppo), dà al nostro l'occasione di spararne altre, anche lui ridacchiante come una scolaretta. "La musica mi arriva in testa già strutturata"..."Mentre dirigevo il concerto, saltellavo giulivo davanti all'orchestra"..."Il buio che ha preceduto sunrise era dovuto alle critiche di un anziano violinista (per chi ancora non lo sapesse, Uto Ughi, uno qualsiasi, insomma), ma una notte in sogno mi è venuta una melodia, e allora con questa ho composto il mio concerto per violino e orchestra" per continuare alternando ai vaneggiamenti verbali, l'ascolto di brani che definire pappette di semolino sarebbe davvero sperticato. Fabio Vacchi, per citare un critico fra molti, di Allevi dice: ..."non riesco neppure ad avere opinioni su di lui". Forse un tantino snob, ma in fondo siamo d'accordo anche noi.

Però, a costo di ripeterci per la milionesima volta, tanto di cappello a uno che riesce a trasformare il semolino in oro.

 

                                         




 

 
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Tonnarelli e jazz

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

  4 marzo 2013

 TONNARELLI E JAZZ


Conosciamo poche persone in circolazione che sanno tutto, ma davvero tutto su un argomento. Una di queste è Adriano Mazzoletti, e l'argomento è il jazz. Ha condotto festival e trasmissioni, ha scritto un paio di formidabili enciclopedie. Sa tutte le date di nascita, battesimo, cresima ed estrema unzione dei musicisti fin dalla notte dei tempi. Da qualche settimana, il lunedì sera, Adriano organizza incontri, per così dire, intimi con jazzisti italiani in uno spazio a Via Urbana 47, attiguo a un  ristorante dallo stesso nome, dove fanno degli ottimi tonnarelli cacio e pepe.

Per primo abbiamo avuto Antonello Salis, l'11 febbraio. A vederlo, è un totem arcaico dai lineamenti di cuoio vecchio, e mani come pale; però quando prende la fisarmonica o si mette al piano diventa modernissimo per note, accenti, valanghe di suoni, pur rimanendo primordiale (sudore, borbottii, grugniti quasi sovrumani). Poi, a parlarci insieme, per esempio davanti ai tonnarelli di cui sopra, è un uomo normalissimo, anche timido.

Lunedì 18 era il turno di Rosario Giuliani, sax contralto. Ma prima, per non esagerare con le frivolezze, siamo passati a un incontro-concerto su Giacomo Carissimi all'oratorio del Crocefisso. Qui niente di audace, ma una sfilza di serissimi professori e musicologi, fra cui il direttore della Cappella di San Giacomo, Flavio Colusso.

D'inverno il maestro Colusso indossa i mezzi guanti; come un grande che ci ha lasciati da poco, Gustav Leonhardt. Vorremmo ricordarlo da un nostro vecchio uovo avvelenato: "...alla tastiera Gustav Leonhardt, massimo solista al mondo. Un nordeuropeo fisicamente sobrio al limite del funereo. All'applauso immancabile, perché lui è davvero perfetto, il maestro china il capo di un quarto di pollice, e su uno zigomo si intravvede un guizzo che potrebbe essere un sorriso polare. Un amico, andato a prenderlo alla stazione, aveva preparato un CD di Beethoven da ascoltare in macchina. Appena l'ha messo su, il maestro ha fatto una certa faccia, poi ha chiesto di spegnere quella roba. Troppo moderna. Quando suona, con le mani coperte da mezzi guanti di lana nera, dalla tastiera promana il torpore sublime del clavicembalo, strumento che canta, bene, ma senza mai cambiare umore".

Ecco, l'amico Colusso è tutto il contrario; di aspetto, e ancor più di brillantezza quando parla. Ci ha raccontato la grande fama raggiunta da Carissimi. Al punto di permettersi più di una volta di rifiutare "assegni in bianco" (testuale) offerti da re e imperatori pur di rimanere libero. E della sua predilezione per i castrati, all'epoca ancora molto popolari, le cui voci lo affascinavano tanto da scrivere la maggior parte delle sue composizioni per loro. E abbiamo ascoltato vari brani del festeggiato. Per l'occasione i due castrati in partitura erano sostituiti da normali signorine. Anche perché pare che sia piuttosto difficile trovarne ancora in circolazione.

Torniamo a oggi. La formula degli incontri di Mazzoletti è naturalmente basata sull'ascolto degli ospiti dal vivo, ma anche su una serie di quiz cattivelli ai quali vengono sottoposti i malcapitati. I quali, pur cavandosela bene, come Giuliani, che è andato meglio di Salis, non riescono mai a raggiungere la supremo onniscienza di Mazzoletti.  

Anche Giuliani ha suonato, come d'altra parte c'era da aspettarsi, benissimo e con una presenza fisica assai più pacata del suo predecessore, insieme all'ottimo Roberto Tarenzi al piano. Il lunedì successivo, Giovanni Tommaso, contrabbassista, non ha suonato. Un contrabbasso, da solo, ha qualche difficoltà. In compenso abbiamo chiacchierato tutti insieme come nel salotto di casa, naturalmente dopo gli ormai tradizionali tonnarelli.  Racconti dagli anni sessanta in poi, con episodi sconosciuti, divertenti, struggenti, e come sempre, Mazzoletti a puntualizzare date, sostituire nomi, canticchiare temi. Non sbagliando una virgola. Stupefacente.


Martedì 26 incontro omaggio ad Ada Gentile alla Sala Casella, con l'esecuzione di tre sue musiche, una più bella dell'altra. E una presentazione storico-aneddotica di Ugo Gregoretti, come sempre divertente e mai frivola.


Giovedì 28 concerto all'Argentina. Musiche del '900 con il Quartetto di Venezia, squisitamente introdotto da Sandro Cappelletto. Fra gli altri in repertorio, il bel quartetto n. 8 di Schostakovich, chiaramente il frutto dei pochi momenti in cui quel poveraccio poteva smettere di fare il trombone del regime e finalmente essere sé stesso: leggero, perfino brillante, mentre di sicuro nella sua cupa quotidianità in Urss c'era poco da stare allegri.

Durante l'esecuzione di quest'ultimo brano abbiamo notato un gran mettere e togliere dai ponticelli le sordine, e ci siamo resi conto di una cosa: come mai questo aggeggio in italiano si chiama sordina, mentre in inglese diventa "mute", cioè mutina?


P.S. La settimana prossima solo cose da ridere: le recenti esternazioni di Giovanni Allevi, le elezioni della SIAE e altre pagliacciate.



                                       



 

 
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