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Perfidie di Stefano Torossi

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Messaggi di Giugno 2013

Musicultura a Macerata

 

 

 

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

   1 luglio 2013

   MUSICULTURA A MACERATA


XXIV Festival di Musicultura a Macerata. Una città, piccola, elegante, benestante, con quattro grandi chiese. Tre di queste sono senza facciata. Cioè, naturalmente la facciata c’è, ma è muro grezzo senza marmi e ornamenti. Come se i costruttori, avendo fatto male i conti, si fossero trovati senza soldi per le rifiniture. Può succedere, ma tre su quattro ci sembra una percentuale un po’ anomala.


Ecco il Festival: tre giornate che ora andiamo a raccontarvi. Condensiamo in quattro capitoli: Conferme, Sorprese, Concorso, e Cazzeggio. E poi c’è la Perla Finale che è una vera meraviglia.


Conferme.

L’immutabile belato di Venditti. Che non cambia, come l’abbronzatura da porchetta al forno e i capelli vulcanizzati (copyright by G.M. Foderaro – Info: la vulcanizzazione è un processo di lavorazione della gomma che la rende più resistente, e molto più nera e opaca). I brani sono ancora belli, riferendoli al periodo, e al pubblico sono piaciuti, ma certo, il vibrato è proprio pecoresco.

Giorgio Faletti ha fatto benissimo a mettersi a scrivere romanzi. Riascoltarlo fermo a “Minchia, signor tenente” ci convince senz’altro in favore della scelta letteraria.

Guccini. Ah, Guccini, di cui non si poteva dir male ai suoi tempi, e che invece ci è sempre sembrato il massimo della noia. Qualche testo emblematico dell’epoca, d’accordo, ma le musiche, che palle! Tutte uguali, anche se vestite da sapienti arrangiamenti; tutte uguali. Ha confermato il trend presentando il suo successore, che canta i suoi stessi pezzi, ma non è lui; gli manca la voce e soprattutto il look da vecchio zio di montagna, contadino arguto, un po’ sporco e un po’ svanito.


Sorprese.

Arisa, che è riuscita a trasformarsi da antipatica stronzetta a sopraffina cantante dai colori jazzistici, sapiente di voce, in perfetto equilibrio fra un formidabile pianista e il gruppo che l’hanno accompagnata con gusto impeccabile. E anche un look molto meno scemo. Dieci!

Renzo Rubino, concorrente di un paio d’anni fa, ora cresciuto in buon intrattenitore, oltre che cantante spiritoso.

Mariella Nava. Eccellente come autrice; meno, a nostro parere, come interprete delle proprie canzoni, che però sono talmente belle da commuovere comunque. “Spalle al muro” quando la canta Renato Zero, per esempio, è un vero e proprio omaggio dell’interprete all’autore (d’altra parte, anche i pezzi, splendidi, di Paolo Conte sono meglio, secondo noi, fatti da altri. “Genova per noi” da Lauzi, “Azzurro” da Celentano).


Con tutto il rispetto, abbiamo tirato un sospiro di sollievo quando è stato annullato l’intervento di Franca Valeri, previsto nella bella appendice del Festival che si chiama “La Controra”, pomeriggi di letteratura e poesia nei cortili della città. E’ un’attrice che abbiamo sempre amato e stimato per la sua sottile intelligenza, ma adesso, e la colpa non è sua ma di quello che Bruno Lauzi, sotto attacco dello stesso, chiamava Mr. Parkinson, ascoltarla con quel terribile e stremante tremito, fa morire di fatica anche noi spettatori.


Il concorso.

Niente male nell’insieme. Ha vinto Alessio Arena, in fondo il migliore. Ci ha fatto ghignare Ducadombra, un bellone alla Ridge, chioma anni ’70, musa bionda al seguito, occhiali neri panoramici e una canzone sconclusionata. Ci ha un po’ irritati Alfredo Marasti con la sua marcetta dedicata al salto nel vuoto di Mario Monicelli. Forse un po’ troppo furbo, specchiarsi nel nome di un altro ben più famoso. A meno che non fosse un vero innocente omaggio. Malignità nostra?

Abbiamo notato che i concorrenti, quando non cantano ma parlano di sé (intervistine, autopresentazioni, ecc.) diventano improvvisamente solenni, inutilmente pomposi, sicuramente noiosi, oppure esagerati nel definire il pubblico meraviglioso, il luogo stupendo, gli organizzatori generosi, e così via leccando e allisciando. Meglio cantare e tacere, no? (O magari prepararsi qualcosa di sensato a casa).


Il cazzeggio.

Qui emerge il trionfo organizzativo di Musicultura e il carattere della gente di spettacolo. All’uscita dallo Sferisterio, tutti insieme, tutte le sere, a cena. In bellissimi giardini, con chilometriche tavole di ciauscolo, fritto di mare, vincisgrassi e verdicchio. Cominciando verso l’una e mezzo e finendo…, tanto per capirci, abbiamo visto tre albe. Con il piacere di sorprendere in relax dopo la tensione dello spettacolo i concorrenti a fare amicizia fra loro, gli organizzatori a congratularsi, o recriminare, e soprattutto il cazzeggiatore supremo, Fabrizio Frizzi, misurato presentatore delle serate, diventare trascinatore di tutti in un frullato di brindisi, aneddoti e goliardia.


E finalmente la perla.

L’ultimo ospite è Josè Feliciano, ottimo cantante, supremo chitarrista. E, lo sappiamo tutti da sempre, cieco.

Entra, naturalmente accompagnato, si arrampica sullo sgabello con qualche rischio di precipitare, fa i suoi pezzi come meglio non si potrebbe, e nelle quattro chiacchiere finali cita i suoi amici italiani, Jimmy Fontana (“Che sarà”) e soprattutto Bocelli, con il quale, dice “non ci vediamo spesso”. (In)volontario umorismo? Finalmente arriva il sindaco, lo ringrazia e gli offre “…un dono della città di Macerata per lei. Un quadro. Guardi, maestro, rappresenta lo Sferisterio, dove ci troviamo ora. Le piace? L’ha dipinto una giovane artista del posto…”

C’è da credere che il povero cieco, che l’italiano aveva dimostrato di capirlo benissimo, si sarà fatto qualche perplessa domanda sullo stato di sanità mentale dei maceratesi, e del loro Primo Cittadino.


                                         

 

 

 
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Dignità in arte e in morte

 

  IL CAVALIER SERPENTE

 Perfidie di Stefano Torossi

24 giugno 2013

   DIGNITA' IN ARTE E IN MORTE


Martedì 11 (dobbiamo fare un salto indietro di una settimana). L'amico Flavio Colusso, italiano, è stato appena nominato Kapellmeister della chiesa nazionale dei tedeschi a Roma, Santa Maria dell'Anima. Bella soddisfazione. Come festeggiare se non con un bel concerto proprio nella sua nuova chiesa?

 Coristi e musici elegantissimi in nero con cravatte variopinte. Fra il pubblico molti preti tedeschi, anche loro eleganti, alti, biondi e magri, come sono quasi tutti i tedeschi giovani. Poi evidentemente succede qualcosa di orribile perché a un certo punto raddoppiano di volume e diventano quello che sappiamo. Che sia colpa di birra e salsicce?

Elegantissima anche la chiesa, di cui in passato abbiamo lodato l'illuminazione. La stanno ripulendo ancora, e ormai tutti i marmi di tombe, altari, tabernacoli sono di un nitore stupefacente. E naturalmente bellissimi, e non è che la bellezza faccia male all'elevazione dello spirito, anzi.

Fateci caso, quando ci andate: la pianta di S. Maria dell'Anima è completamente sghemba, Praticamente come uno scatolone di cartone non molto robusto, se lo si preme ai due angoli opposti, il rettangolo si deforma e diventa una losanga. La chiesa è così. Ogni singolo pilastro è sghembo, il disegno del pavimento è sghembo, gli archi delle navate sono sghembi. Roba da mal di mare. Eppure sta in piedi ben salda da cinque secoli.

Che contrasto con tante altre chiese di Roma, dove l'abbondanza di opere d'arte è uguale (non come l'asimmetria), magari anche maggiore, ma tutto rimane invisibile sepolto nelle tenebre o sotto un velo secolare di polvere, e allora è come se non ci fosse. Basterebbero due lampade in più e qualche flacone di detersivo. Possibile che dobbiamo sempre prendere lezioni dagli stranieri?

Presentazione del rettore nel più puro accento da Sturmtruppen: "Crazie ti essere cvi presenti a cvesto conzerto...". Fra il pubblico, Pupi Avati. Mai sospettato che al clarinetto dixieland alternasse i piaceri della polifonia.

Esecuzione di ottimo livello. C'è stato perfino un momento in cui lo stupido rombo di una stupida Harley che passava in strada guidata da un qualche stupido partecipante al raduno di questi giorni in città ha aggiunto (magia delle coincidenze) un tocco di grande, tonante drammaticità all'esecuzione dell'ultimo brano, l'Oratorio "Jephte" di Carissimi. Sul quale vogliamo spargere ancora qualche lode. A parte, come già detto, la perfezione dell'esecuzione, c'è stato a un certo punto un momento di raffinata regia. Dopo la splendida aria dell'eccellente soprano Margherita Chiminelli, il coro, defilatosi in sagrestia, ha continuato a cantare con un bell'effetto di lontananza. Per tutti questi lunghi minuti la Chiminelli è rimasta come una dolente madonna del Greco magicamente pietrificata sul gradino dell'altar maggiore, trasfigurando la sua bruttezza umana nella struggente bellezza divina di una santa in estasi. Grande musica, presenza austera, dignità suprema, suggestione mistica. Davvero commovente.


E poi, oggi 18 giugno, è arrivata un'altra morte: Claudio Rocchi. Quello che vi regaliamo (purtroppo tagliato) è il meraviglioso messaggio che lui ha lasciato agli amici quando ha capito che stava per andarsene. Che dignità, che ironia, che leggerezza. Un uomo degno della nostra totale ammirazione.

"...poi arrivò la sesta vita. Una grave malattia degenerativa alle ossa mi faceva di fatto malato terminale pur continuando, tra stampelle e bastoni, a fare finta di niente e guidare in su per mari e autostrade a fare i miei concerti.
Eccoci infine alla settima vita. La vivo da 20 giorni o poco più, e tutto è successo in meno di 12 ore. Un crollo vertebrale ha determinato un'invasione del midollo spinale e ho perso l'uso delle gambe. Ho sentito risalire forte da dentro una risata incontenibile accompagnata dalla domanda: "Ma cazzo, non era sufficiente così? Pure paraplegico ora?"
Adesso il quadro clinico è fissato. Patologia non reversibile che innesta la perdita d'uso degli arti inferiori sulla patologia ossea degenerativa. Sono ultra fragile, e devo stare praticamente a letto evitando movimenti di ogni genere che potrebbero, nel caso di un'invasione midollare più alta, pregiudicare anche l'uso degli arti superiori. Non male, vero, per mettere alla prova il buonumore? Sappiate che il buonumore tiene, la Coscienza pure.
Stavo lavorando a progetti molto interessanti e li sto comunque portando avanti in queste condizioni. Il Festival Per Voi Giovani all'Auditorium Parco della Musica a Roma, tra il 19 e il 26 giugno. In cartellone per il 26 c'erano Battiato/Maroccolo/Rocchi e sarebbe stato davvero divertente misurarci insieme sul palco prima del concerto di Franco. Questo, ahimè, non succederà.
Eccomi quindi a vivere questa settima vita. Sarà probabilmente più difficile lavorare e fare fronte a complessità che non potevo certo prevedere.

Certi strumenti miei (musicali e non) non saranno più necessari per me. Chissà? Forse a qualcuno di voi potrà interessare qualcuna delle mie splendide chitarre, forse a qualcuno piacerà guidare la mia auto, o avere qualche traccia dalle mie vite precedenti. Io voglio alleggerire il carico, liberarmi di oggetti e tracciati ora davvero superflui. La settima vita me lo chiede e ho pensato di dirvelo.
A presto carissimi. Hugs to you all."

Che leggerezza, che ironia, che dignità. Un uomo degno della nostra totale ammirazione.


P.S. Mercoledì sera all'Auditorium, Claudio non ci sarà. Ma ci saremo noi a fargli un saluto corale. Ci saremo tutti, vero?


                                          


 

 
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Due belle scampagnate

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

    17 giugno 2013

   DUE BELLE SCAMPAGNATE


Venerdì 14 giugno, ore 18. E' in partenza da Piazzale Clodio il "Catalano Express", con destinazione Amelia (Tr). A bordo Renzo Arbore, Manuel De Sica, il Maestro Mazza, Dario Salvatori, Gianfranco Reverberi, e molti altri vecchi amici. Il progetto: ricordare il nostro carissimo amico Catalano a un mese dalla sua morte.

Chi era Massimo Catalano? Era un musicista e un uomo, come certo ricordano tutti quelli che lo hanno visto con Arbore, profondamente spiritoso, di un umorismo quasi british, del tutto privo di volgarità, pur essendo un gagliardo parolacciaio e un ancora più entusiastico bestemmiatore.  Ma, come sappiamo, c'è chi è volgare anche quando dice buona sera, e chi non lo è neanche se vuole. Un intrattenitore consumato, l'inventore di quelle solenni scemenze che furono le catalanate, (se Cicerone è famoso per le catilinarie, Massimo lo è per le catalanate) che poi sceme proprio non erano, tanto è vero che sono entrate nel quotidiano.

Suonava la tromba istintivamente, non sapendo leggere una nota, ma con un timbro da grande solista americano, con viva capacità di improvvisare, e con un'impressionante conoscenza del repertorio, jazz e non. Nessuno è mai riuscito a convincerlo a studiare. Peccato, sarebbe davvero andato molto più lontano.

Volevamo organizzare uno spettacolo in suo onore. Amelia, dove lui abitava, ha messo a disposizione il deliziosissimo Teatro Sociale, un gioiello dell'ottocento. Arbore, insieme agli amici si è impegnato a riempirlo con due ore di ricordi, canzoni, filmati, testimonianze. I Flippers, storico gruppo fondato a fine anni '50 dai fratelli Massimo e Maurizio Catalano hanno suonato, naturalmente con le sostituzioni imposte dal tempo e dalle dipartite (assenti Franco Bracardi, Lucio Dalla, lo stesso Massimo), vecchi pezzi dixieland e cha cha cha. La trovata è stata trasportare i viventi con un bus, appunto il Catalano Express (sul quale, appena dopo mezzo chilometro era scattato il clima da scampagnata: aneddoti, parolacce e canti), in primo luogo per evitare che qualcuno si perdesse all'andata, e poi per fare in modo che al ritorno, dopo il cocktail e la cena offerti dal Comune, nessuno finisse in qualche scarpata per il sonno o per il vino. Abbiamo malignamente immaginato i titoli dei giornali l'indomani, qualora nella scarpata ci fosse finito l'intero pullman. "Strage di artisti", "Lutto esagerato nel mondo della musica". E' andato tutto bene.

Una serata molto divertente, ottimamente organizzata dal fratello Maurizio e dai nipoti Matteo e Federico, per niente piagnucolosa, con qualche tratto di commozione vera, qualche filmato esilarante da Quelli della notte, alcuni momenti di eccellente spettacolo quando Arbore ha preso in mano il timone, ed è perfino riuscito a far cantare tutto il pubblico ("Ma la notte no"), e l'inevitabile ma per fortuna breve ricordo pseudopoetico, tributo che non manca mai in questi casi, di una organizzatrice con il solito fervorino concluso da molti, vibranti "Grazie Massimo!!!".


Non ci crederete, il giorno dopo, altra scampagnata, un po' dello stesso genere, ma più personale. Destinazione S. Felice Circeo, programma: dispersione in mare delle ceneri di un parente a noi molto caro, morto da pochi giorni.

Il mare in cui si spargono le ceneri di un caro estinto non può certo essere quello della spiaggia, troppi bambini, e neanche quello del porto, troppe barche. Bisognava andare in un punto remoto in cui acuminati scogli strapiombano sulle onde. Mesta fila indiana di una dozzina di persone che si fanno strada come ottocenteschi esploratori in mezzo alla macchia mediterranea che, come sanno quelli che la frequentano è molto aromatica ma altrettanto spinosa. Finalmente, dopo aver corso seri rischi di precipitare, arriviamo in un punto praticamente inaccessibile. Infatti non c'era nessuno.

Tramonto romantico, il sole stava per inabissarsi davanti a noi (la scogliera, come tutto il promontorio del Circeo, è esposta a occidente), ed eccoci tutti proiettati sulle rocce come polene. A questo punto si è trattato di aprire l'urna. Crediamo che un po' per la novità (fino a pochissimi anni fa non era permesso) un po' perché non è una faccenda di tutti i giorni, pochi dei nostri lettori siano familiari con questa impresa. Di sicuro nessuno di noi lo era.

L'urna, di un bel bronzo robusto, chiusa da due sigilli, caparbiamente resisteva a ogni tentativo, prima garbato, poi sempre più energico, di scoperchiarla. E non si poteva aspettare troppo perché il sole stava per andarsene e, a parte la perdita del momento magico, risalire la scarpata nelle tenebre sarebbe stata assai rischiosa. Insomma, a un certo punto, mormorando umili scuse all'anima del defunto che ci sembrava di violare, con un cacciavite a mo' di grimaldello, siamo finalmente riusciti a liberare lo spirito imprigionato. Due di noi si sono sporti nello strapiombo e hanno vuotato l'urna. Naturalmente l'aria della sera fino a quel momento immobile si è animata all'improvviso, e un refolo teso ha provveduto a cospargere tutti i presenti di un sottile velo di cenere. Ma lo abbiamo interpretato come un ultimo abbraccio. Davvero bella questa possibilità di disporre senza remore burocratiche di ciò che resta di un proprio caro.

Anche questo addio si è concluso più tardi, a casa, con bei brindisi, numerosi e allegri.


Per questa settimana ci pare di aver dato abbastanza.


                                      

 

 
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Aleee' Ohooo!

 

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

   10 giugno 2013

   ALEEE' OHOOO!


Ci è capitato di osservare amici civili, garbati, alcuni quasi dei cicisbei settecenteschi trasformarsi in cinghiali infuriati al solo nominare la squadre del cuore, per esempio in occasione del recente derby romano che ha visto vincere una (presunta) compagine di fighetti contro l'avversaria di sempre, gloria proletaria della Città Eterna. Con, in zona stadio, accompagnamento di bastonature, motorini incendiati e sequestro di mazze, tirapugni e coltellacci. Spiacevoli sottoprodotti di eventi sportivi che dovrebbero teoricamente riempire gli stadi di folle serene anche se vocianti, e soprattutto sportivamente esenti dal praticare qualunque forma di violenza.

Parola, quest'ultima, oggi fortemente censurata, mentre in un certo periodo della nostra storia, sotto altri aspetti civilissimo, era diventata la cifra di tutti gli intrattenimenti popolari. Parliamo del tempo dei Romani.

Stiamo leggendo in questi giorni un interessante libro di Meijer sui massacri, all'epoca presentati come spettacoli, negli anfiteatri di duemila anni fa. Che poi erano stadi come quelli di oggi, solo un po' più belli perché di marmo e pieni di statue.

Tutti sappiamo dei gladiatori, delle belve, dei martiri cristiani (un po' verità, un po' leggenda). Inutile riraccontarcelo. Impressionante è invece la immensa dose di crudeltà del pubblico di allora e la contabilità delle vittime.

Dunque, ecco il programma di un giorno al Colosseo:

Al mattino combattimenti di animali selvaggi, uno contro l'altro o a gruppi, e battute di caccia in grandiose scenografie. I numeri degli animali sterminati per il divertimento del pubblico: sotto Pompeo, venti elefanti, seicento leoni, quattrocentodieci leopardi, e scimmie a non finire. Con Augusto, tremilacinquecento bestie da preda. Per l'inaugurazione dell'Anfiteatro Flavio, novemila. Undicimila con Traiano. L'estinzione di parecchie specie asiatiche e africane è cominciata negli anfiteatri dell'Impero.

Alla fine della mattinata l'arena traboccava di bestie sbudellate in mezzo a un fetore di sangue e interiora. Presto tutto doveva essere ripulito e trascinato fuori per la seconda parte del programma: le esecuzioni dei condannati a morte. Che erano spettacolari, per dare l'esempio certamente, ma anche per soddisfare il gusto sadico della folla.

Uomini messi a duellare e a uccidersi fra loro, crocefissi, cosparsi di pece e bruciati, fatti squartare vivi dalle belve, addirittura costretti a rappresentare i miti della tradizione (quelli senza lieto fine, naturalmente), indossando il costume del personaggio per concludere la recita ammazzati in modi molto pittoreschi e molto graditi al pubblico. Dopo di che un simpatico personaggio con la maschera di Caronte andava in giro per l'arena menando gran colpi di mazza in testa ai caduti per accertarsi che fossero morti per davvero, e solo allora il suo compare uncinava i corpi con un gancio e li trascinava fuori. Anche loro a centinaia. A questo punto, di nuovo l'anfiteatro era pieno di sangue, viscere e cervelli.

Ancora una veloce pulizia, ché era ormai pomeriggio e dovevano cominciare i duelli dei gladiatori. Pezzo forte della giornata, che andava avanti fino al tramonto. Inutile continuare la descrizione della carneficina. Basti dire che per gli spettacoli importanti erano parecchie centinaia, se non migliaia le coppie che combattevano, e molto, ma molto pochi quelli che riuscivano a salvare la pelle. Quindi altri innumerevoli morti. In pratica i bravi cittadini romani andavano allo stadio per vedere ammazzare. Uomini e bestie. Che bella festa.

Piccola nota di colore: pare che parecchi imperatori, fra cui Commodo e Settimio Severo si divertissero a combattere anche loro nell'arena. Sarebbe un po' come immaginare, oggi, Napolitano che scende in campo per tirare un rigore a Inter-Milan.

In fondo dobbiamo ringraziare il progredire della storia (e anche l'affermazione del pensiero cristiano) se l'ultimo esempio di sadismo spettacolarizzato contro gli animali è ormai rimasta solo la corrida, solenne porcheria ancora presentata come mito virile grazie a vecchi tromboni tipo Hemingway. Che ci auguriamo sia in via di estinzione (non Hemingway, toltosi di mezzo da solo con un colpo ben assestato, ma tutta la tauromachia).


PS. Sembra che non c'entri niente con stadi o arene, e invece c'entra. Si tratta di vero e proprio tifo. Stupefacente! Incredibile! Sabato 8 giugno concerto alla chiesa di S. Luigi dei Francesi: le sonate da camera di Corelli. Accademia del Ricercare, 2 flauti dolci, tiorba, violoncello barocco e clavicembalo. A Corso Rinascimento ci troviamo davanti un serpentone di trecento metri che si snoda fino alla porta della chiesa. Ma siamo matti?  Una coda da stadio per andare a sentire Corelli? Invece è proprio così. Ci intrufoliamo fingendo di essere dell'organizzazione (in questi casi è opportuno essere ben vestiti e avere l'aria decisa). Dentro, una folla compatta e fremente, i musici quasi spaventati per questa inconsueta fibrillazione da concerto rock. Poi hanno suonato benissimo con grande swing, e credeteci, perfino Corelli swingato è molto più divertente. Un successo travolgente e davvero inaspettato.

Finalmente un festival di nicchia salutato da un entusiasmo, lo ripetiamo, da stadio. E' il Roma Festival Barocco inventato, organizzato e trascinato avanti senza certezze di sovvenzioni pubbliche, ma con una bella programmazione, un'intelligente pubblicità e molto sudore da Michele Gasbarro.

Onore al merito.



                               

 
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Il parcheggio facile

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

  3 giugno 2013

  IL PARCHEGGIO FACILE


Mercoledì 29 alla Mondadori di Via Ferrari si presenta il libro di Mirella Panfili "Settimo livello". Non avendolo letto, nulla possiamo dirne, quindi ci limiteremo a riferire le nostre esperienze sensoriali dell'evento mondano. Sbrighiamo prima la parte gastronomica: buon prosecco, ottimi fragoloni ricoperti di cioccolata. Per il resto si è vagato in quella specie di limbo irrazionale e superstizioso in cui svolazzano parole come: bilocazione, visione remota, settimo livello (quello, appunto, della massima perfezione) e coincidenze prese per premonizioni. Con tutto l'affetto che nutriamo da anni per l'autrice, il nostro invincibile, e crediamo anche sano, scetticismo ci fa sorridere di avvenimenti riferiti con la più granitica sicurezza (storie di cui però non esiste mai una testimonianza, anche banale, come una fotografia). Tipo l'episodio dell'amica che, dimenticate le chiavi di casa, per rientrare, semplicemente infila il braccio attraverso la porta aprendo la maniglia dall'interno. Fra l'altro ci risulta difficile capire come la signora sia riuscita in un primo tempo a smaterializzare il legno e forse anche il ferro della porta (blindata?) attraversandolo col braccio, e poi abbia fatto il contrario con la maniglia interna che logicamente avrebbe dovuto essere impalpabile come il resto della porta. Come diavolo sarà riuscita ad acchiapparla e girarla?

Comunque, non sottilizziamo. Si tratta dei poteri dell'energia. Quello che invece risulta un vero e proprio miracolo, specialmente qui a Roma è il parcheggio facile attraverso la visione remota. Quando uno esce di casa, ci è stato riferito, basta che vada con la mente al luogo di destinazione, cerchi, appunto attraverso la visione remota, un parcheggio per la macchina, e, zac! quando arriva, ecco che lo trova subito. Libero.


Venerdì 31. Conferenza stampa del festival "Armonie della Sera", sala Pietro da Cortona, in Campidoglio. Che è uno dei sette colli di Roma dove si arriva in auto solo a condizione di sposarsi negli uffici del comune. Ci sembrava esagerato contrarre il vincolo coniugale unicamente per andare a una conferenza stampa. Quindi, gambe in spalla e sprezzo del pericolo perché tutta la zona che circonda il colle fatale è più pericolosa di un campo minato. Niente semafori. Traffico frenetico e ignaro dei diritti del pedone. Attraversare è sfidare il destino.  

Comunque, anche stavolta ci è andata bene. E dopo la faticosa ascesa del ripido pendio ci siamo trovati alle undici precise nel salone tappezzato di enormi quadri, di Pietro da Cortona, appunto, come si evince dal nome. Gli eventi romani sono riconoscibili da due elementi, uno negativo e l'altro positivo. Il primo è la spiacevole certezza che tutto, sempre, comincia in ritardo; il secondo è invece la altrettanto piacevole sicurezza che l'appuntamento è in sale meravigliose, su terrazze superpanoramiche, dentro ruderi pittoreschi, per cui uno può, fino a che regge la pazienza, impiegare il tempo a riempirsi gli occhi di arte.

Che è quello che abbiamo fatto noi per la prima mezz'ora. Arrivati al trentunesimo minuto di contemplazione di quadri, soffitti e architravi, e mentre l'annunciata conferenza stampa continuava a non manifestarsi, abbiamo tagliato la corda, per cui niente sapremo mai di questo festival forse prestigioso, forse innovativo, se non che è geograficamente collocato nelle Marche.

Ne abbiamo approfittato per andarcene a zonzo per i Musei Capitolini, la più antica e fra le più ricche collezioni di scultura romana. Nella grande esedra del Marco Aurelio abbiamo visto esposto in anteprima, appena recuperato, restaurato e magnifico, il gruppo marmoreo del leone che azzanna il cavallo. E naturalmente, centinaia di altri capolavori arcinoti, che è sempre un piacere ritrovare.

Ogni volta che posiamo l'occhio su una raccolta di pezzi antichi, ecco lo stupore forse fanciullesco che ci cattura nel vedere tutti i diversi tipi di marmi, alcuni gelidi, altri caldi, altri addirittura appetitosi che gli scultori, anzi, meglio, i ricercatori dell'antichità classica riuscivano a trovare in giro per il mondo, a tirarli fuori dalla terra, e soprattutto a riconoscerli. Perché, certo è facile farsi incantare da un marmo levigato, scolpito, lucidato, ma basta guardarlo nei punti in cui si è spezzato, ed è ritornato a essere un sasso qualsiasi, rozzo e privo di colore, e la domanda si ripresenta.

Come facevano a capire?



              

 
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