Creato da torossis il 08/08/2010
Perfidie di Stefano Torossi

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Messaggi di Luglio 2013

Frecce avvelenate di Mezz'estate

 

  IL CAVALIER SERPENTE

    Perfidie di Stefano Torossi

      29 luglio 2013

       FRECCE AVVELENATE DI MEZZ'ESTATE


Lunedì 22, concerto di Vinicio Capossela e solisti a Villa Adriana. Brani suoi e presi dal Carnevale degli animali di Saint Saens. Sera tiepida; a un certo punto appare anche la luna piena. I ruderi sono bene illuminati e bisogna riconoscere un fatto: prendi un mattone, lo lasci lì per duemila anni e, hoplà, diventa arte e storia. Anche le querce da queste parti sono più belle perché cariche di secoli.

Il Capossela, ci avrete fatto caso, fa parte di quel gruppo di cantanti che non possono fare a meno di mettersi qualcosa in testa: cilindri, panama, berretti, bombette. E' il cappello di Linus. E sono parecchi: Capossela, De Gregori, Zucchero, Rossi. Non si muovono senza la protezione.

Il suo merito è innanzitutto di contribuire al rilancio del Festival Internazionale di Villa Adriana, messo in parcheggio da qualche anno per mancanza di quattrini, e finalmente riesumato grazie al contributo della Regione. Abbiamo sentito dire che ha accettato un compenso quasi francescano. Lui, lo ammettiamo, in scena risulta più simpatico di come lo ricordavamo. Anche se ha un sacco di brutte abitudini: bisbiglia anziché parlare quando racconta le sue cosette new age, ha tempi morti interminabili, tende a condurre il suo spettacolo come se fosse un dopocena in tinello, e per finire spesso canta improvvisando, ci pare, certe sue filastrocche un po' troppo branduardiane (accompagnato  solo da una mandola nordafricana, che non è un gran che come suono). Però ci fa arrivare in fondo alla serata con leggerezza ed eleganza.


La mattina eravamo passati alla chiesa degli Artisti a Piazza del Popolo per un nuovo funerale (ormai uno alla settimana, cosa sta succedendo?): Franco De Gemini, editore, solista di armonica ("C'era una volta il west") e amico. Una cerimonia bella e semplice, troppo perfetta per essere l'ultimo spettacolo. Infatti, per fortuna, mentre sotto la cupola riverberava la registrazione di un brano con la sua armonica, il CD si è bloccato. C'è stato bisogno che qualcuno andasse a sistemarlo. Imprevisto umano che ha ridato dimensione quotidiana alla cerimonia.

 

Venerdì 26, festival "I Concerti nel Parco". Ai Giardini della Filarmonica un duo di musicisti comici, uno belga, Igudesman, l'altro coreano, Joo. Titolo dello spettacolo "And now Mozart" di cui, fra parentesi, non si sente una nota in tutta la serata. Forse proprio questo vuole essere uno degli spunti ridarelli.

Dobbiamo ammettere una nostra annosa problematica: i musicisti comici non ci fanno ridere (forse un po' di più i clown suonatori, quasi mai i classici). Eppure per scherzarci su bisogna essere bravi a suonarla, la musica, e questi due non fanno eccezione: bravissimi. Ma la formula di cominciare con Schubert e finire nella colonna sonora di James Bond, tende a mostrare la corda quasi subito, e i tempi dovrebbero essere strettissimi. Il momento, poi, in cui i comici indulgono a far vedere seriamente quanto sono bravi, dev'essere fulmineo, altrimenti sembra un saggio di conservatorio. Insomma, i due solisti hanno, secondo noi, una velocità di crociera un po' troppo ponderosa, diluita, nordica (anche la Corea è a nord, lo sapevate, no?). Intendiamoci, adesso che ci siamo tolti i sassolini, ci sentiamo di aggiungere che lo spettacolo è decisamente di alto livello musicale. Comico, un po' meno.

Dopoconcerto, un delizioso baretto fra i bambù del giardino offre un eccellente buffet, birra e prosecco freschissimi, e una profusione di vecchie poltrone, specchi barocchi e cianfrusaglie agricole. Tutto molto baraccone e gay, ma anche molto confortevole.



Primo P.S. Lo diciamo da sempre che è un genio. Non della musica, questo lo sappiamo in molti (anche se non abbastanza), ma del marketing. Era un po' che non si parlava di lui, allora ha pensato bene di uscirsene con quella dichiarazione, che naturalmente non vale un piffero come critica seria, ma che ha colpito nel segno, essendo il suo obiettivo scatenare l'indignazione dei fessi benpensanti, che prontamente si sono messi a schiamazzare non avendo capito niente della furba manovra del nostro.

Di chi si tratta? Ma è chiaro, no? "Beethoven senza ritmo. Jovanotti col ritmo". E' lui, il genio: Giovanni Allevi. Tanto di cappello.


Secondo P.S. Ogni giorno, anzi ogni minuto, su Facebook. "Il mio grande amore" "Guardate che occhi" "Per me non c'è che lei (lui)" "Lui (lei) mi aspetta a casa". Sono dichiarazioni vere e proprie. Impegni di fedeltà. Compromettenti frasi di passione. Che accompagnano una stupefacente serie di fotografie. Di cani. Di gatti. Se va bene, di cavalli. Se va benissimo, di bambini. Ci fosse una volta che come destinatario del messaggio appaia un umano adulto. Strano il bisogno di dichiarare pubblicamente questi amori. I quali, diciamolo, non sono proprio puntati sull'obiettivo giusto, che sarebbero i nostri simili, coetanei e consenzienti.  Mah.


 

                                         




 

 
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Soli fra le vecchie pietre

 

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

     22 luglio 2013

   SOLI FRA LE VECCHIE PIETRE

 

Abbiamo letto qualche giorno fa un'intervista all'architetto Renzo Piano, uno dei personaggi della nostra epoca. Bello, bravo e ricco. Fra le altre cose parla della sua passione per la barca a vela sulla quale dichiara di rifugiarsi ogni volta che ha mezz'ora a disposizione (e mezz'ora di Piano varrà di certo qualche dollaro) per andare a cercare la solitudine in mare.

Qui le nostre strade si separano. Facile, anche perché in comune con il bell'architetto noi abbiamo praticamente solo l'età. Il resto no. Soprattutto i gusti. Anche noi ogni tanto andiamo in cerca  di solitudine. Ma in terra. Precisamente in terra vecchia. Insomma, alla possente maestà della natura selvaggia con tutta la sua imprevedibile violenza preferiamo quella addomesticata dalle tracce, possibilmente secolari, degli uomini. Ecco perché invece di andarcene per mare, continuamente sbattuti di qua e di là, venti gelidi e spruzzi salati, con la garanzia di un subbuglio gastrico che rende ogni istante spiacevole, e con niente da vedere se non acqua in movimento (e qui già prevediamo la virtuosa deprecazione dei nostri amici lupi di mare) ce ne andiamo per terra.


Sapeste la magia del vuoto di Veio, Lucus Feroniae, perfino Ostia Antica. Nessuno in giro, il sole che picchia sulla testa, la vegetazione rada e bruciata, e le pietre di duemila anni fa che spuntano nella polvere. Rivedere le colonne ancora in piedi, i cornicioni scolpiti in quel marmo bianco che nella luce incandescente diventa osso spolpato. Profumo di mentuccia, e un filo di brezza calda. L'immaginazione che viaggia come non riesce a fare sul mare. Niente manovre con gomene e sartie. Il terreno che non balla sotto i piedi, e un muretto solido su cui sedersi a riflettere.

A Vulci c'è un decimo di quello che si vede al Foro Romano, ma lì uno è da solo e anche se i quattro massi rimasti dicono meno che le colonne di Antonino e Faustina, almeno parlano solo a te, in una campagna dove non si vede una casa o un fienile, e per arrivarci si costeggiano sterminati campi di biondo grano, ma altrettanti di pannelli solari. (Si capisce che il contadino che come è noto ha le scarpe grosse, ma il cervello, ecc. ecc., ha scoperto che la coltivazione dell'elettricità rende di più di quella del mais).


Uno dei nostri ricordi più squisiti sono ancora oggi quelle ore che ci prendevamo nei pomeriggi infuocati della Calabria quando, durante il Jazz Festival di Roccella Jonica, mentre musicisti e critici sonnecchiavano, noi andavamo a vagare fra le rovine di Locri Epizefiri, una città magnogreca, a pochi chilometri. Biglietteria in stile Cassa del Mezzogiorno, naturalmente circondata da cumuli di quella speciale e indistruttibile immondezza del sud, quasi archeologica essa stessa. Stagione dopo stagione abbiamo salutato le identiche bottiglie di birra, in identiche immutabili posizioni nelle cunette ai lati della strada.

Però, appena dentro, la magia. Spezzoni cariati di mura quasi trimillennarie, fondamenta di templi e santuari, e in mezzo ai massi, trionfanti come solo loro riescono a essere, immensi alberi di fico carichi di frutti maturi da raccogliere e rimpinzarsi come bambini in vacanza, noi unici vivi in tutta quella arcaicità. Poi è chiaro che andare a farsi frastornare da tre ore di jazz risultava piacevole, contemporaneo e umanamente rinfrescante.


Altro evento, altro spazio per sognare: Festival di Musicultura a Macerata, e Urbisaglia (Urbs Salvia, non lontana), ricca, grande e popolosa città romana, a un certo punto della storia abbandonata e poi per secoli frequentata solo dai corvi e dalle volpi. E da sconsiderati come noi. Come può scomparire così una città civile e famosa? Certo, i barbari, ondata dopo ondata devono essere stati come un rullo. A forza di passarci sopra, anche l'ultimo filo d'erba rinuncia a crescere. Eppure riesce difficile accettare la scomparsa dal paesaggio, e ancora di più dalla memoria, di un insediamento umano, una città, non un villaggio. Di cui rimane il giro delle mura possenti, un teatro, un anfiteatro. Ma neanche una casa. E soprattutto non c'è più l'anima.


Chissà se potrebbe succedere anche oggi che una civiltà sia spazzata via per tanti secoli come è successo a quella romana. Probabilmente no. Troppi sono ormai i documenti in circolazione per eliminarli tutti. Ci vorrebbe una catastrofe globale e la totale sparizione dell'umanità. In questo caso di che preoccuparsi?


 

                                         

 
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Rassegna stampa in quattro quarti

 

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

15 luglio 2013

   RASSEGNA STAMPA IN QUATTRO QUARTI


MUTANDONI

Dai giornali: Elham Asgari, nuotatrice iraniana, ancora una volta ha mancato il titolo sui venti chilometri. In teoria potrebbe diventare campione del mondo nella specialità, ma non ci arriverà mai. Perché a causa delle regole medievali di casa sua, quando si butta in acqua deve indossare una muta da sub completa, con sopra un camicione nero lungo fino ai piedi, una cuffia, e sopra questa un fazzolettone. Peso dell'attrezzatura in acqua, sei chili. E quando vince quella poveretta?

Obbligatorio sembrare fagotti ambulanti, ricoperte di brutti colori, arrostite sotto indegne palandrane, perfino le turiste, da cui ci si aspetterebbe un po' di emancipazione: l'unica cosa importante è che non si veda che sono donne. E' l'ossessione dei mutandoni. Non possono vestirsi come gli pare, uscire con chi gli pare; andare in bicicletta, poi, proibitissimo perché, si sa, quel sellino malandrino è in contatto troppo stretto con l'antro del demonio. Capito?

Anno del Signore duemilatredici. Con i problemi che ci sono (oggi come in tutte le epoche passate, intendiamoci), ma con la differenza che l'informazione non ti permette di ignorare quello che succede fuori casa, e ti fa capire forte e chiaro cosa si perde a rimanere indietro, c'è ancora un miliardo di persone al mondo per cui la preoccupazione principale della vita è come si vestono e cosa fanno vedere le mogli, le figlie, le sorelle. Non la ricerca, il progresso, la comunicazione. No, i mutandoni.


TURBANTI

Dai giornali: il maggiore Kamaljeet Singh Kalsi, dell'esercito USA, dopo una lunga battaglia contro i regolamenti militari, è riuscito a ottenere il permesso di portare il turbante invece del berretto d'ordinanza. Insieme al turbante sono prescritti, per lui, come per tutti i Sikh, la lunga barba avvolta in una retina e i baffoni imperiali.  Ci chiediamo se, richiamato in prima linea, sarebbe così saggio da rinunciare alle pezze in testa per salvare la pelle con un normale elmetto.

Naturalmente quello che ci sembra incomprensibilmente sciocco e soprattutto complicato non è la scelta dei segni distintivi che uno si impegna a esibire, ma il semplice fatto che per dimostrare di credere in un certo dio, o di appartenere a una certa regola di vita sia necessario, anzi obbligatorio, portare il tal berretto, la tal sciarpa, la talaltra foggia di barba o i riccioli sulle tempie. Dovrebbe essere sufficiente la disposizione dell'anima, e poi se fai il pompiere ti vesti da pompiere, e se spazzino, da spazzino. O no?


CAPRICCI

Dai giornali: a Umbria Jazz Keith Jarrett si rifiuta di suonare infastidito dai flash del pubblico. Va bene essere un grande artista, ma addirittura bloccare un concerto (per partecipare al quale presumiamo che lui sia stato pagato, e anche benino, e siamo certi che gli spettatori avranno pagato anche loro benino, o benissimo), perché c'è qualcuno che ti fotografa mentre suoni. Su un palcoscenico, beninteso, non nel salotto di casa. E poi pretendere le tenebre più profonde per ricominciare. Ma non sarà un po' troppo presuntuoso?

A questo punto, per puro masochismo, e siamo certi che ci costerà qualche insulto, vogliamo aggiungere una confessione: il famoso CD del famoso Concerto di Colonia, quelle due ore e passa di improvvisazione al pianoforte, che ci siamo riascoltati in questi giorni proprio per essere sicuri della nostra opinione, lo abbiamo sempre trovato esiziale (esiziale: agg. - che apporta grave danno, funesto, mortale).


BATTUTE

Dai giornali: intervistato con le solite fruste domande, a una richiesta di opinione sui partiti italiani, risponde: "Ma le sembra normale che un partito serio passi il tempo a parlare di quello che farò io da grande?".  Simpatico, Renzi davvero non lo sembra: accento aspirato alla Pieraccioni, look furbetto alla Panariello, ma spiritoso, questo almeno sì.

 

 

                                       



 

 
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Bunga bunga boat

 

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

   8 luglio 2013

  BUNGA BUNGA BOAT


Venerdì 5 il Museo delle Navi Romane di Nemi inaugura una mostra intitolata "Caligola - la trasgressione al potere". Il posto, bello al di là di ogni descrizione (che invece fra poche righe vi faremo), e il titolo evocativamente berlusconiano, ci invogliano a presenziare. Quindi, in un caldo pomeriggio di questa indecisa estate decidiamo di farci la gitarella.

Caligola (12-41 d.C., duravano poco a quell'epoca, per fortuna) era uno a cui, come al nostro contemporaneo che non è necessario citare, non importava un gran che di fare l'imperatore, se non per i vantaggi personali che ne ricavava. Si era fatto costruire e varare ben due bunga bunga boat sul bellissimo laghetto vulcanico di Nemi, a poche ore di cocchio da Roma, le aveva arredate con ogni sciccheria e ci andava spesso a fare delle cene eleganti in compagnia di pochi cortigiani fidati, del citaredo personale, e di un certo numero di ragazze.

Purtroppo per lui, la pacchia era durata poco, lo avevano fatto fuori a soli ventinove anni, e avevano fatto fuori anche le due navi. Splash! in fondo al lago. Recuperate negli anni trenta, protette in un museo appositamente costruito, erano state definitivamente distrutte dai tedeschi in ritirata nel '44.

Questa è la storia. Adesso è rimasto il museo, con qualche reperto salvato, i modellini delle navi e una presunta statua dell'imperatore appena recuperata e restaurata. Ma è bellissimo il posto, in riva al lago rotondo e blu cupo, sprofondato in fondo al cratere, verdissimo, del vulcano spento, con una brezza deliziosa e un bel profumo di erba.

Ore 18. Che succede a una presentazione? Vengono le autorità; e infatti, un po' in ritardo naturalmente, ma c'erano. Ci si mette dietro un tavolo e si parla. Al microfono. Ma senza neanche un check, i microfoni spesso fanno cilecca. E' andata avanti così per una mezz'ora. Prova che ti riprova, dagli altoparlanti usciva solo un rimbombo cupo. Intanto erano arrivate le 19. Per fortuna l'amico Piero Montanari, audace accompagnatore di questa nostra impresa extraurbana, valido bassista di mille tourné, e come tale, capace di improvvisarsi anche fonico, a un certo punto si spazientisce, prende in mano la situazione, e con quattro inversioni di jack e due smanazzate di cursori sistema l'audio.

Standing ovation per il maestro, e poi comincia la solfa professorale, a cui, già stremati dall'attesa, ci sottraiamo evadendo nel prato dove, accanto a tre strepitosi frammenti di cornicione dalla villa di Domiziano a Castelgandolfo, (a rischio di ripeterci, da sempre ci risulta stupefacente come mai qualche scalpellino, o ancora meglio qualche scultore si sentisse gratificato nel fare un lavoro raffinatissimo e minuzioso arricchito da giochi di luce e ombra su enormi massi di marmo da issare a venti metri d'altezza, rendendo quindi più o meno invisibile tutta la sua fatica) è allestita una lunga tavola presidiata da un ragazzotto in costume da villico inizio ottocento, alla Pinelli, e guarnita di una triste solitaria fila di bottiglie di acqua minerale a temperatura ambiente.

In mancanza di sviluppi più stimolanti abbiamo assistito allo sparire del sole dietro l'orlo del cratere (spettacolo comunque degno di nota), e poi, visto che si minacciava una lettura di brani del Caligola di Camus con annunciato coinvolgimento del pubblico (aiuto!) abbiamo eroicamente tagliato la corda preferendo puntare su una bancarella di Ariccia per consumare un bel panino con la porchetta, alimento micidiale per il colesterolo, ma gratissimo allo spirito, e soprattutto ottimo risarcimento alla carenza di altro nutrimento spirituale.


P.S. Anche stavolta non sappiamo resistere.

Ecco la notizia, minima ma saporita. La troviamo a pag. 17 di Repubblica del 20 giugno; è l'intervista alla madre di quel giovane nullafacente genovese che, dopo essersi convertito all'Islam, è andato a farsi ammazzare in Siria.

All'ultima domanda: "Ma allora chi era Ibrahim Giuliano Delnevo?" la madre risponde: "Un ragazzo generoso. E un po' coglione per troppo amore" (testuale; abbiamo il ritaglio nel cassetto).

Mirabile sintesi di: 1) ogni scarrafone è bello a mamma soja, 2) le cose stanno come stanno, inutile girarci intorno, 3) il senso di colpa esiste, 4) esiste anche un po' di (forse involontario, ma speriamo di no, perché perfino una mamma, in questo nostro paese mammone potrebbe, hai visto mai, essere spiritosa) sense of humour.



                                        

 

 

 
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