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Perfidie di Stefano Torossi

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Messaggi di Febbraio 2014

Sanremo duemilaquattordici

Post n°265 pubblicato il 24 Febbraio 2014 da torossis

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

     24 febbraio 2014

     SANREMO DUEMILAQUATTORDICI


Eccoci qui, in postazione con bottiglie e bicchieri. Che Dio ce la mandi buona.


Martedì 18 - LA PARROCCHIA


Mondaini e Vianello, ovvero Littizzetto e Fazio, solita formula: lei monella sgangherata, lui professorino perbenino. Forte insistenza di lei su: "me la sto facendo addosso" in apertura; minaccia di rima sui nomi di Gualazzi e Baglioni; "merde!" alla Casta (che, siccome è francese...); e addosso alla povera Arisa, che di cognome fa Pippa, e quindi si offre indifesa alla battuta.

E poi, l'ennesimo tuffo minacciato da parte di due poveracci, veramente (o forse per finta, altrimenti come avrebbero fatto ad arrivare in cima al ponte luci?) disperati. Inevitabile rivedere Sordi, "Un americano a Roma", disoccupato in cima al Colosseo che minacciava lo stesso tuffo, e la sacrosanta voce fuori campo: "Bùttete!" E invece nessuno si butta mai, che sarebbero cinque minuti di spettacolo assicurato. Anzi, il ricatto rientra sempre. Peccato.

Dichiariamo la nostra riluttanza verso canzoni come "Creuza de ma", in cui il testo schiaccia la musica in una nenia ripetitiva (è un po' tutto il repertorio di De Andrè). Eppure il termine canzone dovrebbe garantire par condicio tra parole e musica. Potremmo suggerire (ma forse non è carino) il confronto con "Father and son" di Yusuf Islam, venuto poco dopo, in cui davvero i due elementi sono allo stesso livello, peraltro stratosferico, e questo forse fa la differenza.

Blandissima, parrocchiale trasgressione le stanghette di colori differenti sugli occhiali di Frankie Hi-nrg, insieme alle scarpotte, alla molletta al pantalone e alle mosse da bamboccione impacciato, in contrasto con il visibile tentativo di apparire rivoluzionario grazie al modernissimo concetto: "Hai voluto la bicicletta, pedala più in fretta".

Trionfo del riempitivo, sempre parrocchiale, con la scenetta fra Fazio e la Casta. Testo tirato con l'elastico sul solito gioco: lei bellissima e irraggiungibile (e senza un briciolo di umorismo), lui timido e imbranato, un po' in italiano e mezzo in francese, con mossette di repertorio e, nel vaso sul tavolo, il fiore finto che si ammoscia o si drizza a seconda delle battute. Applausini e velo pietoso sull'intonazione di Laetitia.

Pochi per fortuna, ma apparentemente inevitabili, i saluti con lo sguardo alzato verso le nuvole (dove sicuramente stanno dirigendo il coro degli angeli) a due illustri trapassati: Jannacci e Freak Antoni. Un po' di patetico ci sta sempre bene, in parrocchia.


Mercoledì 19 - IL PASSATO RITORNA


Prefestival di Pif. Continua l'andazzo parrocchiale con lo sketch floreale Pif - Casta basato su un argutissimo gioco di parole tra il ranuncolo e il foruncolo. Un momento autorale di grande livello. Un momento di vero horror lo viviamo invece con un primissimo piano del sudore di Grillo scalmanato (mentre qualcuno della folla si lamenta: "Quanto sputa questo!").

Apertura con sbrodolatura sociobuonista. Claudio Santamaria legge la lettera del maestro Manzi ai suoi allievi di quinta. Anche se troppo lunga, la lettera un suo significato ce l'ha. Che manca del tutto al banale e non necessario pistolotto di commento dell'attore. Bastava e avanzava la lettera. Mai improvvisarsi filosofi se non lo si è.

Il passato ritorna, e uno. Le mitiche Kessler sgambettano ancora molto elegantemente. Come con la Carrà ieri, stiamo oltre la settantina, eppure le gambe volano sciolte. Quello che con loro non ha mai decollato è l'accento (italiano, naturalmente) perché quello tedesco, bello forte, è ancora lì dopo cinquant'anni dichiarati di permanenza da noi.

Anche lui con un fortissimo accento, ma altoatesino, si presenta Armin Zoeggeler, campione italiano di slittino. La vera caricatura dello sportivo tonto. Non un lampo di ironia, che forse è chiedere troppo. Ma almeno di vaga consapevolezza. Niente: sta lì come un tronco di abete, testardo ripete la lezioncina fino in fondo, e poi se ne va.

Seguono aforismi di Fazio & Littizzetto. Ma non cinque o sei, non dieci o dodici. Di più, troppi. Rischio nausea per eccesso di offerta.

Il passato ritorna, e due. Franca Valeri. Novanta e passa, ma a parte l'atroce fatica di ascoltarla parlare, che classe, che tenuta di palcoscenico. Fa una delle sue famose scenette al telefono, di bachelite anni cinquanta. Trionfo.

Segue un momento che ci è sembrato ingiustificabile. Con la Valeri seduta ferma e zitta in scena, arriva la Littizzetto, che a sua volta fa un lungo monologo al telefono, ma stavolta a un cellulare di ultima generazione. Anche divertente, però ci viene da chiederci perché invitare una gran dama in età, e poi tenerla ferma e muta mentre una giovanetta (si fa per dire, ma al confronto...) la sbertuccia con lo stesso tipo di trovata, ma scioccamente più giovanile. Ci hanno detto che andava interpretata come un omaggio. A noi è sembrato cattivo gusto e niente di più.

Attenzione, arriva un altro sportivo: il pugile Clemente Russo. Quando i muscoloni sono solo tonti, va bene, ma quando, come lui, cercano di fare gli spiritosi, aiuto! E' che l'arguzia non è prevista nella dotazione di un atleta. Speriamo che non ci legga perché ci è sembrato piuttosto temibile.

Anche in questa puntata, per fortuna c'è l'ospite straniero, che rialza il livello. Rufus Wainwright. Canta benissimo, con una sensibilità straordinaria. Simpatico, anche se del tutto superfluo, il suo outing. Si capiva comunque.

Per completare il ritorno del passato (relativo, perché ha solo sessantadue anni) abbiamo avuto anche Baglioni sul quale, per prudenza, è meglio non dire niente di male.

In tutte le quattro ore del programma, neanche un saluto ai cari estinti, e questa è una buona cosa. L'altra buona cosa è che pare accertato che i due finti suicidi della prima serata siano dei disturbatori professionisti, finiti regolarmente al commissariato. Almeno ci rimane la consolante speranza che la maggior parte di chi ha problemi veri non va a fare il buffone a un varietà televisivo.


Giovedì 20 - LA STANCHEZZA


Da Pif, nel suo prefestival, siamo informati che i biglietti per le cinque serate costano 670 € in galleria, e 1.200 in platea. Non è una grande notizia, ma riferiamo e andiamo avanti.

Apre lo spettacolo un altro omaggio al caro estinto. Più che meritato. E' Claudio Abbado, rappresentato sul palco da Diego Matheuz che dirige l'Orchestra della Fenice con gesto che ci appare sorprendentemente privo di eleganza e di carisma. Dev'essere un inganno ottico per noi spettatori, perché lui è considerato un ottimo direttore della scuola per giovani patrocinata appunto dal commemorato. O forse sarà la stanchezza che comincia ancora prima di cominciare?

Peccato perché il tema della bellezza, scelto come guida del festival di quest'anno, è sempre stato caro ad Abbado, e, ci eravamo dimenticati di dirlo, ottimamente sostenuto ieri sera da Gian Antonio Stella con la semplice e nello stesso tempo fortissima annotazione che invece la bruttezza è, insieme al degrado, l'alleata perfetta delle mafie. Se tieni le persone lontane dal bello, non avranno mai la forza di reagire, mollare l'immondezza e andare a cercarlo, anche solo e semplicemente perché non sanno che esiste.

Stanco e scollato il monologo moraleggiante della Littizzetto. Sull'handicap, sull'accanimento contro le rughe, i segni dell'età, le tette mosce (testuale), argomento non proprio freschissimo. Lungo, lungo, lungo. Accompagnato da stanchi applausi e risatine di cortesia, con un guizzo, l'unico che ci è parso spontaneo del pubblico, su indovinate cosa? Ma un "vaffanculo" naturalmente!

Un momento di riscatto con la trovata degli A Cappella All Stars. Ben congegnata, buona musicalmente e divertente l'ammissione di Fazio che stavolta il disturbo lo aveva organizzato lui.

Bene Arbore, che è sempre garbato e piacevole. Poi anche lui sconfina nella festa di piazza: tutti in piedi a battere le mani a tempo, e via con "Come facette mammeta".  Nazionalpopolare.

Come lumache strisciamo in avanti in attesa del sonno che sentiamo arrivare. Ci sorbiamo il non antipatico astronauta Luca Parmitano, che però anche lui, dopo accorti (e nazionalpopolari) accenni culturali al Piccolo Principe, scivola alla fine sulla melassa dell'immensità del cosmo che scompare di fronte all'amore per la famiglia. La sua, naturalmente, ma anche quella di tutti gli altri italiani.

Amen.


Venerdì 21 - LA GARANZIA


La garanzia di ascoltarci un bel po' di canzoni sicuramente belle, perché filtrate e confermate dal tempo. Stasera non stiamo in pensiero: l'unica variante è l'interpretazione. Per il resto, tranquilli: il Club Tenco è responsabile della qualità.

Dopo un patetico siparietto, nella solita anteprima, di poveracci che fanno i sosia di Pavarotti e di Venditti, e ci credono, comincia lo spettacolo con big o meno big che provano, rischiando molto e non riuscendoci troppo spesso, a rifare brani famosi del passato.

Apre Mengoni, che va a riesumare "Io che amo solo te". Non ha la malinconia, e soprattutto la voce di Endrigo.

E da qui parte una bella sfilza di audaci sfide che vi risparmieremo, salvo comunicarvi la seguente nostra classifica: il migliore, Ron con "Cara" di Dalla; il peggiore Gualazzi con "Nel blu" di Modugno; la più bella schiena del festival, Simona Molinari, insieme a Rubino in "Non arrossire"; la più ricca bigiotteria, i chili di anelli, braccialetti, collane che bardano Renga in "Un giorno credi"; il momento più inquietante in "Il mare d'inverno", il duetto Ferreri - Haber con quest'ultimo in stato confusionale e camicia aperta da vecchio playboy su un decolletè grigio che sarebbe stato meglio celato sotto una cravatta ben stretta.

Impagabile momento di involontario (?) umorismo di Paoli, il quale cita tutti gli artisti della scuola genovese: Lauzi, Bindi, Tenco, De Andrè ma lascia fuori sé stesso. A Fazio che gli chiede perché, risponde: "Perché io sono ancora vivo".

Il che ci induce a proporre un paio di formazioni di riferimento fra gli storici autori delle storiche canzoni di questa serata speciale (così facciamo pubblica la nostra inclinazione verso lo spirito funerario): la squadra dei vivi e la squadra dei morti.

Della prima fanno parte (in ordine di esecuzione): De Gregori, Zucchero, Conte, Fossati, Bennato, Battiato, Paoli, Ruggeri, New Trolls, Daniele, Lolli. Della seconda: Endrigo, Dalla, Lauzi, Tenco, Bindi, Modugno, De André, Gaber, Mia Martini. Vincono i vivi per 11 a 9.

Per rimanere in tono, ecco a un certo punto l'annuncio del decesso in un incidente stradale di Francesco Di Giacomo, Banco del Mutuo Soccorso.

Basta. Chiudiamo qui l'argomento.


Passiamo all'esilarante numero di prestidigitazione in cui la perfida Littizzetto nel ruolo della cavia riesce a spiazzare quel salame in frak del mago Silvan, smontandogli ogni mossa, ogni comando, ogni agitare di bacchetta e trasformando la magia in sghignazzo. Brava!

E vale la pena di chiudere con Brignano e il suo omaggio ad Aldo Fabrizi. Uno di quei numeri del vecchio varietà, che molti ricordano con nostalgia, e della cui scomparsa, speriamo definitiva, noi invece ringraziamo il cielo. Il comico, in frak, canta accompagnato da smorfiette, occhiatacce e prevedibili spernacchiamenti del trombone; e conclude ogni ritornello con battute da vecchia provincia povera: puzza di piedi, mortacci tua, e simili.

R.I.P.


Sabato 22 - BASTA


Siamo in ritardo, quindi cominciamo precariamente l'ascolto dell'ultima serata alla radio di bordo mentre acceleriamo per essere a casa entro un'ora decente. La scenetta del matrimonio Fazio - Littizzetto celebrato da don Matteo probabilmente diverte da vedere, non altrettanto da ascoltare.

  Mentre invece, 30 chilometri di autostrada (qualche volta abbiamo superato il limite di velocità) con Crozza ci sono sembrati francamente troppi. Non c'è dubbio che qualche peperoncino Crozza riesce sempre a infilarlo nel pappone, ma se poi la porzione è troppo abbondante, va a finire che il tutto diventa indigesto. E ancora ci sfugge, ma forse lo capiremo in seguito, perché, nella sua imitazione, Renzi abbia la voce di Jerry Lewis.

Alle 23.09 sprofondiamo nel divano davanti alla TV con la Littizzetto in maniche a sbuffo che fa la picciona, poi c'è Rubino e la sfilata dei concorrenti.

Salamelecchi dei presentatori alla Cardinale che, civettando sulla propria bellezza, legge i premi della critica. Da quasi coetanei ci corre l'obbligo di esternare un nostro vetusto concetto di gestione del pericoloso binomio vecchiaia e bellezza.

La prima arriva implacabile (l'alternativa è peggio), l'altra altrettante implacabilmente se ne va. Chi ci si trova in mezzo deve avere la capacità di mettere a frutto quel poco o tanto di esperienza che è entrato in magazzino, e il buon senso di abbandonare, appena si rende conto che è arrivato il momento, qualsiasi bamboleggiamento e insistenza sul perduto fiore dell'involucro esterno.

Facile da dire, certo, e difficilissimo da mettere in pratica.


Scendiamo dall'olimpo della saggezza e occupiamoci, prima di chiudere, di Stromae, cantante spilungone, metà belga, ma con l'aria di stare meglio nell'altra metà, quella ruandese. Costui presenta la canzone di un ubriaco maleducato e infelice che tenta malamente di avvicinare una passante. Drammatizzazione di un buon brano, ma con linguacce e barcollamenti davvero un po' troppo pesanti e insistiti, e con un discutibile finale: lo sbronzo cade a terra fulminato dall'alcool. E quando è giù cosa fa? Accenna a rialzarsi e grida "Sanremo! Viva l'Italia!"

Si può essere più scemi? (o più furbacchioni?)


                                         



 

 
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Relax presanremese

Post n°264 pubblicato il 17 Febbraio 2014 da torossis

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

     17 febbraio 2014

    RELAX PRESANREMESE


CURIOSITA'

Saremo anche impreparati, ma, dopo avere interrogato amici architetti e consultato libri, ci sono due domande alle quali dobbiamo ancora trovare una risposta.

Prima domanda: perché molte chiese di Roma, le cui facciate e gli interni sono stati abbondantemente imbarocchiti all'epoca del rinnovamento architettonico, hanno mantenuto i campanili romanici? Solo i campanili, perché tutto il resto, basta guardare, è ricoperto di marmi, stucchi, intonaci, le facciate coronate da statue. I campanili, no. Eccoli lì, tutti di mattoni, con le loro bifore e trifore: immutati.

Sono parecchi: S. Maria Maggiore, S. Eustachio, S, Croce in Gerusalemme, S. Maria in Trastevere, S. Sisto Vecchio, S. Crisogono, S. Silvestro (vedi foto) e tanti altri.

Seconda domanda: perché in molti palazzi di Roma, non terminati per ragioni che non sappiamo (finiti i soldi, morto il proprietario, caduta in disgrazia papalina la famiglia residente), il muro di facciata, e solo quello, nel punto in cui si è interrotta la costruzione, è rimasto grezzo? Eppure la casa è stata in seguito regolarmente abitata. Un esempio facile è Palazzo Incontro, a Via dei Prefetti (vedi foto). L'edificio è chiaramente a metà, basta guardare dove si trova il portone, ma per il resto non manca niente; eppure il muro di facciata è lì, con lo spigolo rimasto come lo hanno lasciato i muratori, dal primo piano al cornicione. E non è a dire che ci si possa aspettare una ripresa dei lavori al più presto: l'interruzione è di almeno quattro secoli fa. Quindi non è mancato il tempo. Ci dev'essere un'altra ragione.

Aspettiamo notizie.

SCORCI                      

Dove siamo? Non è facile indovinare. La prima foto uno può far finta di non riconoscerla per l'imbarazzo. La seconda, perché davvero non si capisce. Risposta: siamo a Roma. A sinistra potremmo pensare a un condominio un po' trascurato. Però, guardando meglio, in primo piano ecco un magnifico fiore di marmo; quello sullo sfondo è senza dubbio un capitello romano. Il resto è meno artistico: un carrello, due pezzi di tubo e parecchi sacchi di immondezza. E l'ingresso della Sovrintendenza ai Beni Culturali di Roma in una mattinata qualsiasi.

La casupola campestre con porticina, scaletta e bordura di ortica non è a Rocca Canterano, ma nel centro del centro di Roma, e precisamente a Via della Tribuna di Campitelli numero sei. Una catapecchia fuori, probabilmente una reggia dentro con vista stupefacente sul Teatro di Marcello e sul Portico di Ottavia.


SCEMENZE

Ma senza esagerare perché dobbiamo tenerci leggeri in preparazione dell'indigestione di Sanremo la prossima settimana.

Cavillosità ciclistica. Proposta di modifica al codice della strada: i ciclisti possono andare contromano ma solo su strade col limite di 30 all'ora (per le auto), se la carreggiata è larga almeno 4 metri, se la strada è vietata ai mezzi pesanti, e infine non deve esserci parcheggio sulla sinistra (in pratica o sapete a memoria misure e topografia, sennò multa!)

La Repubblica, 4/1/2014, pag. 19, a proposito dell'incidente di Schumacher: "... Schumacher sciava con il maggiordomo accanto". Ve l'immaginate Ambrogio, impeccabile in frak, con il vassoio dei drink in perfetto equilibrio.

Alleluia! Pare che finalmente sia stato nominato il nuovo sovrintendente di Pompei, E' un esimio professore di archeologia che si chiama Massimo Osanna. Alleluia! Capito l'accostamento?

Sempre Repubblica del 18/1/2014, pag.18, a proposito della suora di Rieti che accusava una colica e invece era incinta. Il referto del pronto soccorso dell'ospedale S. Camillo De Lellis, testuale: "sospetta gravidanza in suora".

Archeostupore. Recuperi archeologici: "...rinvenuti anche gli affreschi di una domus sottostante (e precedente)". Meraviglia del cronista nello scoprire, fra parentesi, che in uno scavo la parte di sotto è più vecchia di quella di sopra.


                                        

 

 
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Malati gravi

Post n°263 pubblicato il 10 Febbraio 2014 da torossis

 

  IL CAVALIER SERPENTE

 Perfidie di Stefano Torossi

  10 febbraio 2014

   MALATI GRAVI


Collezionismo. Un argomento al quale sembra che nessuno possa rimanere indifferente: o non lo capisci, oppure ti fa ammalare. Domenica 2 febbraio all'Hotel Aran, settima edizione del Music Day di Roma, organizzato, bene, da Francesco Pozone. Ci raggiunge verso mezzogiorno di una infernale giornata di pioggia (la famosa bomba d'acqua che ha allagato mezza città, Tevere in piena e sobborghi impantanati) un nostro amico, dermatologo nel mondo reale, cacciatore di vinile in quel mitico universo di forsennati che costituisce il pubblico dell'evento. E' su di giri per l'occasione, ma distrutto di stanchezza per essere andato, sempre sotto l'infernale diluvio, alle sei di quello stesso mattino al mercato di Porta Portese in cerca di qualcosa di speciale. Malato grave, si definisce. Ma questo non gli impedisce di continuare la caccia a qualsiasi pezzo raro da aggiungere alla sua modesta (!) raccolta di venticinquemila dischi.

Il salone è gremito, molti gli stand. Ospiti vintage come Stelvio Cipriani. Si parla di compilation di vecchie colonne, si presenta "Discomania", catalogo-bibbia di settecento pagine destinate a gratificare le morbosità del vinilofilo. "Nuovo Ciao Amici", un periodico rinato dalle ceneri del passato festeggia Don Backy; e così via in una giornata proprio retrò.

A questo ritorno nel tempo ha davvero contribuito Tarantino. Per fortuna, invece di starsene tranquillo a Hollywood a fare i suoi film è venuto a ficcare il naso dentro la cassapanca della nonna dove stavano a fare la muffa colonne, temi, sonorità di qualche anno fa, e ha tirato fuori tutto. Benissimo per chi ha visto un bel revival di diritti SIAE da brani che ormai si davano per defunti. E anche per qualcun altro che vorrebbe essere nei suoi panni, e che può continuare a illudersi che non si passa mai di moda.

La manifestazione è anche un mercato in cui si trattano soprattutto vecchi LP, o forse potremmo dire le loro copertine, che all'epoca offrivano un perfetto spazio per invenzioni grafiche, fotografiche e pittoriche. C'erano addirittura quelle che si aprivano in tre. Trittici sull'altare del rock. Altra cosa dai miserelli CD di adesso. Ma i collezionisti, dentro le copertine ci vogliono anche i dischi. E non solo perché, già che ci sono, tanto vale tenerli. No, potrebbero essere proprio i dischi l'oggetto del desiderio. Però si tratta di supporti deperibili, e spesso deperiti, e allora neanche ci si pensa a metterli sul piatto e suonarli.

E' un po' una raccolta fantasma: il materiale sta piazzato su uno scaffale, e lo si tira giù di rado, per un minuto, per riguardarselo, per mostrarlo a qualche amico fidato o a qualche rivale da ingelosire. Forse il collezionista non ha nessun desiderio (e neanche il tempo. Abbiamo calcolato che per suonare venticinquemila LP ci vorrebbero dodicimilacinquecento ore, ovvero cinquecentoventi giorni, quasi due anni senza fermarsi mai) di ascoltare il suo amato, raro LP; gli basta sapere di averlo. Sta lì, al sicuro dentro la sua bella copertina. Non serve altro.

Da queste ultime righe forse si capirà che noi non siamo fra i forsennati, ci troviamo piuttosto dalla parte degli scettici. O meglio, non proprio scettici, tolleranti. Gli amici dall'altro lato della barricata, anche nel loro furore malato, speriamo che scuseranno la nostra insensibilità.


 

Basterebbe pensarci. Venerdì 7, alla libreria Koob (capito la trovata? book-koob) si presenta "Il sonno del reame" di Annarosa Mattei. Lo stanzone sotterraneo in cui ha luogo il fatto, raggiungibile in modo labirintico e anche un po' claustrofobico, ve lo andiamo a raccontare: piastrelle granulari verdoline a terra, quadri indescrivibili, anzi, sarebbe meglio dimenticabili, alle pareti, tavolo dei relatori miserando, un cannone zincato di aereazione che squarcia il soffitto. Particolari migliorabili, certo, ma con qualche spesa. E va bene, si sa, i soldi sono finiti. E' che questa cronaca è lo specchio di tanti altri pomeriggi del nostro gironzolare letterario, uguali, in stanzoni uguali; e ogni volta ritroviamo un'uguale imperdonabile disattenzione a un fatto.

L'illuminazione! L'elemento meno costoso, più intuitivo, più semplice da manipolare, e di effetto garantito. Bastano due faretti puntati sul tavolo; magari due piccoli abat-jour che facciano emergere dalle tenebre libri e occhiali; basta illuminare chi parla e lasciare nella penombra chi ascolta. Tanto più che la merce in vendita non è un'orata di cui è saggio riconoscere la freschezza dall'occhio, o un tessuto la cui trama potrebbe essere fallata. Si tratta di idee, sensazioni, emozioni. Roba che non richiede la vista, ma orecchio, cuore e un po' di immaginazione. E in più, sviando l'attenzione in questo modo, si risparmia sull'arredamento.

Invece, niente: sempre bianco, livido neon. Che proprio non dona né agli autori né ai lettori né, ancora meno all'opera.

Come detto in testa: basterebbe pensarci.

Del libro nulla possiamo dire perché non l'abbiamo letto, anche se le abili e affettuose parole dei relatori ce ne hanno fatto venire voglia. Abbiamo solo notato quanto sia fotogenico il De Chirico (uno dei suoi magici panorami urbani) che illustra la copertina. Ma questa è una osservazione frivola, mentre forse avremmo dovuto parlare con profondità dei contenuti. Un'altra volta.



PS. Credevamo di avere chiuso con l'argomento. Invece, di ritorno, pochi minuti fa, da un'altra presentazione ci ritroviamo a dover ripetere le stesse cose. Stavolta niente da dire sull'ambiente, il magnifico Museo Ebraico sotto il Tempio Maggiore. Salone strapieno; alle pareti preziose stoffe rituali e testimonianze dell'antica comunità di Roma; fra il pubblico rappresentanti di mondanità e cultura. Eppure le due poltrone e il tavolino riservati al presentato e al presentatore, Fabio Benzi e Paolo Mieli, anche questa volta erano smarriti in una mezza luce indistinguibile dal resto della sala, con il risultato di rendere appena visibili le espressioni e di dirottare l'attenzione perfino del più vivace fra i presenti. Eppure, anche qui, una lampada a stelo, due spottini, mica tanto di più...



                                         

 

 
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Protagonisti scomodi

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

    3 febbraio 2014

  PROTAGONISTI SCOMODI

                              

Venerdì 24. Ci vuole sprezzo del pericolo per sedersi come tre formichine a un tavolo sotto il grandioso Ercole di Canova. Siamo alla presentazione, nel salone del Mito, Galleria Nazionale d'Arte Moderna, del libro di Fabio Benzi: "Arte in Italia tra le due guerre". I tre presentatori: la Signora Clarelli, direttrice della GNAM, il Filosofo Marramao, e il pericolo pubblico Claudio Strinati.

Chiamare pericolo pubblico un intellettuale garbato, posato e dalla sterminata cultura; perché? Spiegazione. Claudio Strinati è per sua (involontaria?) vocazione, un protagonista scomodo. Nel senso che quello che dice, come quello che scrive, è talmente bene articolato, esposto con così assoluta proprietà di termini, e soprattutto farcito di tanta limpida e naturale intelligenza che rischia di proiettare un'ombra annientatrice su chi gli sta intorno e sull'oggetto delle sue attenzioni. Lo abbiamo ascoltato analizzare il libro di Benzi in un'autopsia dei suoi flussi interni talmente colorita da rischiare alla fine di toglierci la voglia di leggerlo, questo libro, del quale ormai erano stati esposti scheletro, muscoli e linfa.

La signora Clarelli, che ha aperto l'incontro, ha schivato il confronto grazie a una presentazione tradizionale e cortese, da perfetta padrona di casa; il filosofo Marramao, che è venuto dopo, è invece rimasto, come un delfino spiaggiato, a boccheggiare senza ossigeno.

Insomma, un evento con tre protagonisti scomodi: la montagna di immenso, candido, vivo marmo sullo sfondo (vedi foto) e il sornione, seducente, vivo intelletto al tavolo.

Tranquilli. Il terzo protagonista, che poteva anche diventare la vittima del massacro: il libro, ce lo stiamo leggendo e possiamo assicurarvi che il confronto lo regge benissimo.


La sera stessa, al Parco della Musica, forte attesa per la talk opera "Conversazioni con Chomsky". Delusione, e protagonisti evanescenti. L'offerta comprendeva una serie di filmati muti e sonori, la presenza sul palco dello stesso Noam Chomsky, guru parlante in inglese tradotto in diretta, e l'esecuzione dal vivo della musica di Emanuele Casale. Solisti del Parco della Musica Contemporanea Ensemble diretti, come sempre benissimo, da Tonino Battista.

La faccenda è stata piuttosto noiosa. La musica (in prima assoluta, se non sbagliamo) ci è sembrata vecchiotta soprattutto per la scelta di sonorità provocatorie, sì, ma quarant'anni fa; oggi diventate di uso quotidiano, se non addirittura commemorativo (piripiri dei fiati, interminabili pedali degli archi, percussioni a scatafascio e fonemi sparati in (per noi) insensate raffiche da un soprano). Il povero Chomsky, presenza scenicamente poco carismatica, tutto il tempo sprofondato in una poltrona al buio, tranne quando veniva interrogato da un signore seduto lì accanto. A quel punto, occhio di bue sul filosofo, risposta alle domande, ovviamente in inglese; voce fioca sopraffatta da quella di una traduttrice simultanea. Con il risultato di ricreare quel fastidioso effetto delle interviste televisive in cui per i primi attimi ascoltiamo il vero personaggio, poi lo perdiamo nel sottofondo.

Non abbiamo la minima intenzione di contestare i concetti supercollaudati del nostro ospite. E' che se si mette su una serata, lo spettacolo si dovrebbe presentare con l'opportuno corredo di suoni, luci e ricchi cotillon, altrimenti, un buon libro a casa, e via. In sala, parecchie postazioni da bella addormentata, con quelle espressioni finte assorte che imparano a esibire anche nel sonno gli accorti frequentatori di questo tipo di eventi.

Ricapitolando: musica non protagonista per scadenza dei termini; spettacolo non protagonista per mancanza di vita; filosofo poco protagonista perché in ombra per troppa parte della serata.


All'uscita faceva un bel freddo, e questo ci ha offerto il pretesto per rimpiangere l'ormai perduto uso del cappello fra gli uomini. Perché quasi a tutti il cappello di taglio tradizionale dà un tono. Il che davvero non si può dire di quei bruttissimi berretti di lana a calza (vedi foto), molto amati dai ragazzi (i quali sono giovani e gli sta bene tutto, o comunque non importa come gli sta) e purtroppo anche dai vecchi (i quali sono vecchi e non gli sta bene quasi niente, a meno che non sia della più classica eleganza). Con l'aggravante che i colori di questo accessorio, non si sa perché, sono sempre mosci: sul grigiolino, marroncino o beigetto, e l'accostamento davvero non dona alle guance intirizzite, all'occhio lacrimoso e ai cernecchi che spuntano di là sotto. Saranno anche pratici, però...



                                           

 

 
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