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Perfidie di Stefano Torossi

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Messaggi di Ottobre 2015

Controsensi

Post n°350 pubblicato il 26 Ottobre 2015 da torossis

 

   

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

  26 ottobre 2015

  CONTROSENSI


 

Controsenso ecclesiastico

Santa Maria dell'Anima, la chiesa dei tedeschi a Roma. Vi abbiamo annoiati per anni, lo sappiamo, con le nostre lodi per come è tenuta. Pulita, i marmi lucidi di cera (qui ci si rende conto che un pezzo di marmo, che è solo un sasso, con un po' di cura diventa un sasso prezioso), anche quelli lontani in cima ai pilastri, illuminazione perfetta, non c'è un faretto che va negli occhi, niente angoli bui, tutto si vede ben chiaro, i quadri mirabili nel loro restauro; e le lapidi...

Ah, le lapidi funebri: ce ne sono a dozzine, per commemorare il tal ricco mercante sassone, o il talaltro nobile prelato prussiano presso la corte pontificia. E tutte ornate dai loro bravi teschi, multicolori di bei marmi pregiati, talvolta arricchiti da espressioni (involontarie, immaginiamo; o forse no) bizzarre o sfrontate. Questi due ghignano sulla tomba di Lucas Holstein, amburghese.

Un italiano che ci entra va a finire che si stupisce che un luogo pubblico, come in fondo è una chiesa, possa essere anche pulito e ben tenuto. Reazione tristemente inevitabile.

Tutto questo per sottolineare  il controsenso fra queste immagini di morte e la viva gioventù del Mädchenchor Hannover (Coro di ragazze di Hannover): cinquanta fanciulle, tutte con la giacchetta rossa, quasi tutte bionde (ovvio, sono tedesche), molte carine, che sono arrivate per fare musica, e l'hanno fatta benissimo e in più con l'aria di divertirsi, in un concerto che saltava dal rinascimento al contemporaneo, accompagnate da un organista, unico maschio, aria timida e probabilmente spaventato di trovarsi in quel gineceo (Abbiamo saputo che il gruppo viaggia in pullman, e l'unico altro maschio è l'autista). Spesso cantando a cappella, per approfittare della magia di come le voci sotto le volte di una chiesa si spandono e si mescolano con i propri echi in un rimbalzo davvero suggestivo.

Immersi in quel magico riverbero ci è tornata in mente la teoria che attribuisce la scoperta dell'armonia proprio all'uso, nei canti medievali, di intonare una seconda nota, e poi una terza, mentre la prima ancora echeggia sotto le volte. Di sicuro un monaco sveglio si sarà accorto, nel bel mezzo di qualche vespro, che in questo modo nasceva un accordo. Da qui il passaggio dalla monodia all'armonia...Sembra fantasioso, ma potrebbe anche essere vero.


Controsenso artistico

Mostra a Palazzo Altemps. Questo è il cartello che accoglie i visitatori. Sfidiamo chiunque non abbia lavorato almeno tre anni in uno studio grafico a capire cosa c'è scritto. Un gratuito giochetto.

Come è piuttosto gratuita la mostra: una raccolta di vecchie foto, stampe e quadri a olio che documentano i ritrovamenti delle sculture e lo stato dei ruderi sommersi dalla vegetazione nei secoli scorsi, appesi qua e la fra le statue, loro sì, una più bella dell'altra. Insomma, una di quelle toppe che sembrano cucite per capriccio a coprire uno strappo che non c'è.

Tanto per non tenere troppo in sospeso i nostri lettori, il titolo della mostra è "Rovine". Adesso si legge, vero?

Secondo noi tutti i musei dovrebbe essere come l'Altemps. Un magnifico palazzo rinascimentale, poche sale con pochi pezzi insostituibili e la certezza per il visitatore di consumare il suo spuntino artistico senza paura dell'indigestione che inevitabilmente ti blocca, per esempio ai Musei Vaticani, dove, arrivato alla terza sala, gremita come le altre di troppa roba, ti piglia un coccolone da bulimia e cominci a non capire più niente.

Sotto lo stesso tetto, e mascherata da seconda mostra, titolo "Evan Gorga, il collezionista", c'è la cartella clinica di uno stato morboso che colpì a suo tempo il personaggio di cui parleremo: la sindrome dell'accumulatore seriale.

Spesso in TV vediamo filmati di case piene fino al soffitto di immondezza che i loro proprietari, appunto accumulatori seriali, hanno ammucchiato negli anni senza mai riuscire a buttare via niente. Si tratta di qualcosa di molto simile. Ecco la storia.

C'era una volta un giovane tenore di belle speranze a cui, in un certo momento della vita, dopo aver cantato con grande successo nel ruolo di Rodolfo alla prima mondiale della Boheme, partì, come si suol dire, la brocca. Mollò la musica e diventò collezionista. Secondo noi una condizione di assoluto squilibrio: prima mentale, e poi, inevitabilmente, finanziario.

Si chiamava Evangelista Gorga e quando morì nel 1957 a più di novant'anni, braccato dai creditori, aveva raccolto centocinquantamila pezzi che teneva stipati in dieci appartamenti affittati in Via Cola di Rienzo. Accumulatore seriale, la diagnosi. Per fortuna non di immondezza, ma di arte. Però la sindrome rimane la stessa. Abbiamo già espresso il nostro stupore di fronte a chiunque collezioni qualunque cosa, perché da quel momento imbocca una strada senza uscita. Inutile illudersi, l'ultimo pezzo che completa la raccolta non è mai l'ultimo davvero; e non si finisce più.

In mostra ci sono milleottocento oggetti che riempiono maniacalmente due grandi sale, solo l'uno per cento del totale raccolto dal povero Gorga: intonaci dipinti, stucchi, marmi, avori, bronzetti, giocattoli, ceramica, lucerne, specchi, armi, vetri, monete; si rimane senza fiato. E in più si perde completamente la capacità, il gusto, di capire l'eventuale bellezza o rarità dei pezzi.

E' proprio una malattia.



                                     

 
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Trasferta gastro-culturale

Post n°349 pubblicato il 18 Ottobre 2015 da torossis

 

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

   19 ottobre 2015

     TRASFERTA GASTRO-CULTURALE



Risarcimento

Venerdì 9 ottobre, partenza per Ascoli Piceno dove si inaugura il 36° Festival Nuovi Spazi Musicali di Ada Gentile.

Evviva! La Via Salaria passa a pochi chilometri da Amatrice, dove è nato un piatto che ci piace molto: pomodoro, guanciale e pecorino, che, sparsi in abbondanza sulla pasta, diventano i famosi "bucatini all'amatriciana".  Basta calibrare la partenza in modo che l'ora di pranzo ci sorprenda da quelle parti, e la festa è in tavola.

Ci sentiamo un po' in colpa per questo nostro subdolo stratagemma di unire l'utile al dilettevole. Vorremmo avere un direttore spirituale, o meglio, esistenziale, per dirci cosa è l'uno e cosa è l'altro: la musica o i bucatini?

Ore 13, stop in una trattoria con un'aria abbastanza ruspante da provocarci illusorie acquoline di bontà e spontaneità culinaria. Fregatura! Piatto da refettorio scolastico e vino in carattere. Ingenui e anche sfortunati. Ripartiamo delusi.

Per fortuna il risarcimento ce lo fornisce il Festival.

La città è, lo sanno tutti, una meraviglia di coerenza architettonica. Un misto di medioevo, rinascimento e barocco unificati dall'uso omogeneo del travertino. Con, e guai se fosse mancato, un bel pugno nell'occhio: la poderosa ex Casa del Fascio, violento esempio di stile razionalista.

Nel foyer del Teatro Ventidio Basso, per la serata inaugurale del festival, si ride. E si ride in un'occasione in cui normalmente, se proprio non si piange, almeno si sta seri: un concerto di musica contemporanea.

Ecco il perché: il programma è un melologo comico (parlano e cantano gli animali, ma che animali!) articolato in vari momenti, su testi di Stefano Benni e musica di autori (in buona parte presenti) contemporaneissimi e, va da sé, spiritosissimi.

Fra i protagonisti delle esilaranti scenette musicali siamo stati deliziati da un Cantango di Fausto Sebastiani, una Gallina Intelligente di Sbordoni, un Pavarotto di Piacentini, una Simmukkental di Stefano Cucci (della quale non possiamo non citare il lamento: "Oggi siam qui, domani scaloppine") e finalmente dal Topo Cagone di Ada Gentile.

L'associazione fra quest'ultimo personaggio e lo strumento che appare in foto è immaginabile: nel racconto il topo fa di tutto per tener fede alla sua fama; lo strumento, un inconsueto sassofono basso, ne commenta le evacu-azioni in maniera ovviamente onomatopeica.

Si sono prestati senza pudore, contribuendo alla riuscita della burla, la soprano Susanne Bungaard, il basso Stefano Stella, il direttore, narratore, compositore Stefano Cucci e naturalmente gli strumentisti (all'onomatopeico sax basso Michele Bianchini).

Grandissimo successo. Presenti tutte le autorità cittadine, che ridono, applaudono e congratulano l'amica Ada, la quale, trasferendo il suo festival da Roma ad Ascoli, è riuscita a riossigenarlo robustamente salvandolo dall'infida Palude Capitolina in cui, dopo anni di perigliosa navigazione, stava per affondare.

Abbiamo anche fatto conoscenza con il maestro Allevi senior, padre del novello Mozart, per trent'anni direttore della banda di Porto San Giorgio e uomo dalla presenza energica e muscolare. Tutt'altra figura da quella del figlioletto Giovanni, con il suo look new age, i riccioloni e le manine svolazzanti sulla tastiera o lancianti baci al pubblico.

Del quale leggiamo che chiuderà il 4 novembre nella basilica di S. Ignazio a Roma il Festival Internazionale di Musica e Arte Sacra con la sua composizione "Toccata, canzone e fuga in re maggiore per organo a canne" (notiamo che a proposito di questo strumento si parla spesso di canne ma non si cita mai il pusher).

A questo punto non sappiamo decidere se abbiamo a che fare con l'ingenuità del cronista o con la sapienza autopromozionale del nostro genietto, mentre l'articolo prosegue definendo l'opera "uno dei brani più importanti della sua carriera che lo porta a confrontarsi con maestri come Bach e Strauss", e citando il momento magico dell'ispirazione del Maestro espresso dalle sue proprie parole: "La musica mi ha investito come un fiume in piena, e poi tutta la Fuga, nelle sue quattro voci, ha iniziato a girare da sola come un planetario".

Possiamo perdere siffatta manifestazione di sublime melensaggine? Caschi il mondo, il 4 novembre ci saremo.

Finalmente nel dopo spettacolo abbiamo ricevuto anche l'indennizzo gastronomico al quale pensavamo di avere diritto: squisite olive ascolane, fritti vegetali, ciauscolo e altre leccornie. E vino all'altezza. Più la mitica anisetta.

Le papille ringraziano, il fegato, mica tanto. Ma resisteremo.



Publio Ventidio Basso

Per completezza d'informazione, questo signore seminudo ritratto mentre difende le insegne di Roma in un immenso dipinto ottocentesco che copre tutta una parete del foyer del teatro Ventidio Basso, dove ha avuto luogo il concerto, è, per l'appunto, il console Publio Ventidio Basso, un illustre ascolano del primo secolo a.C., strenuo difensore dell'Impero Romano.

La ragione per cui gli eroi antichi, nell'espletamento delle loro funzioni militari, appaiono spesso nudi, con addosso al massimo una improbabile pelliccetta come questa (la quale, anche se striminzita riesce a coprire le parti sensibili) ci è sempre rimasta oscura.

Specie in un'allegoria del genere, in cui il console romano dovrebbe, per la nobiltà dell'atteggiamento e ancora di più per quella dell'abbigliamento, essere chiaramente distinguibile da quegli straccioni brutti sporchi e cattivi, come sempre sono rappresentati i barbari.

E poi, dato che, per essere diventato console avrà avuto i suoi anni, come faceva a essere così snello e muscoloso?



                                        

 

 
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Lo sbalsamatore

Post n°348 pubblicato il 12 Ottobre 2015 da torossis

 

  IL CAVALIER SERPENTE

 Perfidie di Stefano Torossi

  12 ottobre 2015

LO SBALSAMATORE



Lo sbalsamatore

No, perché imbalsamare cose o persone è relativamente facile, avendo gli ingredienti, ma per sbalsamarle ci vuole qualcuno di speciale.

Come si fa a non definire imbalsamato questo virtuoso, non proprio acconciato da piano bar, piazzato su una sedia Luigi XVI, sullo sfondo della boiserie del Circolo Ufficiali dell'Esercito, che ci ha dilettati con un inqualificabile (nel senso che è proprio difficile qualificarlo) medley di "Ta-pum", "La canzone del Piave" e "Il testamento del Capitano".

Caserma Pio IX, Roma, 6 ottobre. Il Circolo naturalmente è una meraviglia di archi e tendaggi; l'ambiente è formalissimo: signori incravattati, militari in divisa, mogli in tiro e temibili generalesse della CRI in camice bianco e velo.

"Inediti dal fronte - Dietro le quinte della Grande Guerra", titolo e sottotitolo dell'evento. L'audace che sfida la sorte con il suo testo e la sua persona è Michele D'Andrea, arguto esperto di cerimoniale, di onorificenze, di araldica militare e annessi e connessi, che si racconta in cartella stampa con una breve biografia ben bene inzuppata di ironia ("tiene seminari di protocollo, se ispirato presenta concerti bandistici e da giovanetto, giocando a basket, ha contribuito in maniera decisiva alla retrocessione della sua squadra") C'è chi, fra i presenti, ha chiesto ad alta voce il nome della squadra.

Ironia che naturalmente sfugge al presidente dell'Associazione Lagunari Truppe Anfibie (i padroni di casa) mentre lo presenta serio serio a noi del pubblico.

D'Andrea, consumata volpe del microfono e del palco, lascia dire, e poi, ecco il vero sbalsamatore (in certi momenti, secondo noi, a rischio corte marziale) che parte a intrattenerci, cantando senza vergogna, proiettando foto e documenti, discettando di pidocchi e topi di trincea e fornendoci sorprendenti notizie a denominazione di epoca controllata. Abbiamo così appreso che:

L'espressione "palle girate" deriva dal fatto che, per un maggiore effetto a distanza di trincea, i fanti toglievano i proiettili dai bossoli di fucile, li giravano e ce li rinfilavano al contrario. Provocando squarci da far paura negli elmetti nemici.

L'espressione "scemo di guerra" serviva a descrivere i soldati che perdevano la brocca per shell shock: scoppio ravvicinato di granata.

L'espressione, o meglio l'insulto "pezza da piedi" viene dall'uso di piccoli teli, molto efficaci per avvolgere le estremità, in sostituzione dei calzini.

E i bambini nati in quel periodo e chiamati "Firmato" devono gratitudine per questo bel nome ai bollettini di guerra, prima sottoscritti da Cadorna, poi da Diaz. (firmato Cadorna, firmato Diaz).

Chiude la festa un secondo discorsetto del presidente dell'ALTA, sempre coerente e sempre ignaro di una possibile ironia, e tutti a casa. Molte risate sotto i baffi e onore al merito all'eroico fante Michele D'Andrea.

Emufest

Tutto il contrario, l'Emufest, International Electroacustic Music Festival, inaugurato alla Sala Accademica di Santa Cecilia lunedì 5: atmosfera informale, nessuna cravatta, tantomeno divise; fra il pubblico molti futuri musicisti, per il momento ancora senza ruolo.

Serata interessante, affidata interamente al flautista Gianni Trovalusci (che qui vediamo impicciato fra cavi, cavetti e microfoni) e all'elettronica live.

Con diversi momenti di bassa pressione che noi crediamo di poter imputare alla mancanza di audacia delle composizioni. Gli autori, tutt'altro che vecchi, sembrano incapaci di osare e si limitano a ricucinare un po' il vecchio repertorio di sbuffi, sfiati, chiavi e cuscinetti chiusi e aperti senza suono, e simili piacevolezze anni '70.

        Trovalusci è bravissimo, ma certo, come non si può spremere sangue dalla proverbiale rapa, così è difficile fare scandalo con uno strumento melodico come un flauto, sia pure in sol e amplificato a volontà.

        Come è quasi impensabile ormai essere spiazzati dall'elettronica.

Quindi? Non abbiamo la risposta, naturalmente, ma avremmo preferito uscire da quella bellissima sala in stile ottocento sabaudo portandoci dentro qualcuna di quelle furie iconoclaste che tanto infiammavano i concerti della nostra gioventù.

O magari una nuova e più sottile inquietudine da terzo millennio.


                                          




 

 
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Comica finale

Post n°347 pubblicato il 05 Ottobre 2015 da torossis

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

  5 ottobre 2015

  COMICA FINALE



Salviamo la locanda

28 settembre, Centro Studi Americani. Il fatto è questo: uno studioso, Enzo Pinci, ha scoperto che quello rappresentato sullo sfondo del Sacrificio di Isacco di Caravaggio, esposto agli Uffizi, è il villaggio di Castel San Pietro in Sabina.

Bene, direbbe qualcuno, e allora? Ce lo siamo chiesto anche noi mentre ci accomodavamo sotto il bellissimo soffitto del Salone d'onore di Palazzo Mattei a Roma in occasione della conferenza: "Caravaggio e il paesaggio ritrovato".

Possibile che un noto esperto di restauro architettonico dedichi mesi del suo prezioso tempo a girare per le campagne all'unico scopo di individuare un paesetto che fa da sfondo a un quadro famoso, il cui valore, artistico o pecuniario, non cambia di un centesimo anche dopo la soluzione del mistero?

La risposta non c'è mai arrivata, neanche alla fine delle due ore e passa di dotte comunicazioni.

Però...però dobbiamo ammettere di esserci molto divertiti. Intanto per l'one man show del Prof. Pinci, il quale, da Indiana Jones nostrano, ci ha intrattenuti brillantemente, ricevendo alla fine applausi da red carpet, sul quando e sul come si è andata svolgendo l'avventura della sua ricerca. Ci ha informati sul fatto che Caravaggio, dopo averne combinata una delle sue, era dovuto scappare da Roma per rifugiarsi sotto l'ala dei Mattei, di cui Castel San Pietro era un feudo; sul fatto che proprio in quegli anni, i primi del '600, il castello era in via di ampliamento (si vedono le impalcature nel dipinto), e quindi le date coincidono; sull'altezza dei cipressi, alberi notoriamente longevi, che nel quadro sono ancora piccoli; oggi sono molto più alti, ma sono proprio gli stessi.

E ancora sull'apparizione, indicata nel dipinto da una linea immaginaria che parte dall'indice puntato dell'angelo, di una locanda ancora esistente, nella quale pare certo che il pittore sia andato ad alloggiare in quei giorni. Appassionante.

Successivo intervento di Claudio Strinati, come sempre brillantissimo e come sempre illuminante di particolari inediti. Con comica finale (lui stesso si definisce un virtuoso del ramo), quando, un attimo esatto dopo l'ultima parola pronunciata, è partito un cellulare, che ha innescato i microfoni con un disturbo che era la perfetta parodia dell'ouverture del Guglielmo Tell di Rossini (anche questa bizzarria rimarcata con eccellente senso dello spettacolo dal musicologo prof. Strinati).

Altri interventi, altrettanto gustosi, di un esperto di giardini, che ci ha eruditi sui cipressi, e di un'esperta di cantieri antichi da cui abbiamo saputo tutto sulle tele cerate che proteggevano le impalcature allora come adesso. Conclusione del presidente della Provincia di Rieti, Rinaldi, che si è impegnato a salvare, e magari a organizzarci una mostra, la Presunta Locanda di Caravaggio.

Bravi tutti, direbbe un critico. Si replichi, diremmo noi.

Illusione sicurezza

Anno 2015. Tutti viaggiamo continuamente su mezzi molto vulnerabili. Un aereo la butti giù con una limetta per le unghie: per un treno che va a trecento all'ora basta un sasso sul binario. Le armi sono alla portata di tutti (specialmente in un posto altrimenti civilissimo il cui nome comincia con U e finisce con A, con una S in mezzo) e con quelle di adesso non c'è neanche bisogno di avvicinarsi al bersaglio.

Questo significa una sola cosa: ogni azione anche minima richiede una protezione massima. E i costi vanno su.

"Eh, la tecnologia ha rovinato tutto. Ai miei tempi non era così. Allora sì che stavamo tranquilli!" Le voci dei bisnonni e le pagine di vecchi libri ci continuano a rimandare immagini di un sereno buon tempo andato.

Per niente affatto. Allora come oggi, se non peggio. Qualche giorno fa siamo passati dalle parti di Monteriggioni, un tipico borgo medievale fortificato molto pittoresco. Fatti quattro conti, tranne l'immancabile castellano e la guarnigione, ci abitavano non più di un centinaio di contadini, con le famiglie, i quali uscivano di casa al cinguettare degli uccellini (prima immagini idilliaca fasulla) per andare nei campi a raccogliere i prodotti della terra, sani e non contaminati dalla chimica che sarebbe venuta dopo: ecco perché erano così magri (seconda immagine idilliaca fasullissima). Però se erano un po' in ritardo al tramonto, trovavano le porte del borgo chiuse, e se ne rimanevano fuori al freddo e al vento in mezzo a fiere e malfattori.

Per difendersi dai quali, o da ipotetiche bande di brancaleoni che transitassero sulla vicina via Francigena, il borgo si era circondato di una bella cortina difensiva con una dozzina di torri. 570 metri di mura (più le torri) fa 5,7 metri a carico di ogni capofamiglia. D'accordo che quello era un caposaldo contro Firenze, quindi una gran parte dei lavori li pagava Siena, ma anche riducendo al dieci per cento, erano sempre cinquantasette centimetri di fortificazione (e cinquantasette centimetri di un muro alto sette metri e largo due dovevano costare un bel po' anche allora) che ogni maschio adulto doveva pagare, non avendo un fiorino, con giornate di lavoro, o grano, o porcellini da spiedo, o magari con la cessione dello ius primae noctis della figlia maggiore al castellano.

E tutto questo per continuare a vivere da straccioni, pagando, anche se indirettamente, una sicurezza che alla prima verifica si rivelava illusoria. Tutto quel denaro e quel tempo buttati avrebbero certamente contribuito a rendere migliore la vita di tutti. Compresa quella del castellano, che, a parte qualche fagiano in più (rischio gotta) e qualche fanciulla nel letto (rischio stiletto, prima o poi) tirava avanti più o meno come i suoi miseri sottoposti.

Che nessuno si azzardi a chiederci una soluzione. Evidentemente non c'è, altrimenti, dall'epoca dei Faraoni a oggi qualcuno ci sarebbe arrivato.



                                       

 

 
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