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Perfidie di Stefano Torossi

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Messaggi del 16/04/2013

Un fatto generazionale

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

   15 aprile 2013

 UN FATTO GENERAZIONALE

 

Si chiama Woodkid, alias Yoann Lemoine. Giovedì 11 alla Sala Sinopoli ci siamo trovati in un certo senso spiazzati dall'inizio alla fine del concerto di questo signore che non avevamo mai sentito nominare. Mentre non lo erano affatto lo sterminato numero di fan che gremivano la sala urlando, saltando e facendo capire che il repertorio di questo artista non aveva segreti per loro.

Il personaggio, barba fitta da rabbino in erba, berrettino a visiera, bassa statura, canta con la stessa identica inflessione una serie di canzoni che suonano gemelle una dell'altra, su giri armonici di sconcertante banalità, con testi che non possiamo giudicare perché non si sentiva una parola, accompagnato da un trio di ottoni che gli suonano sotto armonie molto naif, una specie di fanfara di genere medievale (de noantri) e anche vagamente celtico, nonché da una tastiera, anch'essa rozza nelle scelte armoniche; ma poi tira fuori un indiscutibile colpo di genio. Addetti a due set di percussioni, identici e collocati in una bella scenografia speculare, due energumeni si agitano come automi meccanici, e con una precisione disumana battono gran mazzate sui tamburi collegati a una pirotecnica serie di fari, luci stroboscopiche e lampi che, a ogni colpo si accendono, fremono, esplodono. Bellissimo per gli occhi. Per le orecchie un po' meno.

Detto ciò, rimane la ripetitività dei brani che definire spettacolari è senz'altro giusto. Musicali, crediamo proprio di no. Per tutto il (fortunatamente breve) concerto siamo andati avanti sul filo di una noia fragorosa. Ci è tornata in mente una certa sensazione che ci accompagna da sempre ogni volta che guardiamo uno spettacolo di fuochi artificiali. All'inizio: oh! di meraviglia alle esplosioni colorate, poi esclamazioni sempre più fiacche, finché comincia il senso di indigestione, fatto che dev'essere ben noto anche gli organizzatori, perché, ci avete fatto caso? ogni spettacolo di fuochi finisce con un'accelerata di scoppi sempre più ravvicinati per terminare con il bombone. Evidentemente la grande abbuffata è l'unico modo di concludere il banchetto.

Qui esce il fatto generazionale. Forse non abbiamo capito niente perché siamo vecchi. Tutti gli spettatori erano nostri nipotini. E' chiaro che qualunque considerazione sulla qualità musicale del prodotto può risultare ridicola e magari anche un po' pedante. Non era come ai concerti di Allevi, dove la gente è convinta di ascoltare il nuovo Mozart, e non si chiede, magari perché non ci arriva, se è musica buona o no. Cioè il pubblico non giudica, crede al miracolo. Qui invece: tutti tosti, preparati, documentati e per niente sprovveduti. Quindi hanno ragione loro. O no?


Recupero dell'equilibrio, con l'aiuto di un filo di snobismo (nostro e indomabile), domenica 14 alla Sala Accademica di Santa Cecilia, ore 18. Benjamin Britten, uno dei principali autori del '900. Una serenata e un notturno per corno, tenore, sette strumenti obbligati e archi. Ottima esecuzione. Finalmente musica vera, nel senso che comunque è una cosa ricca, articolata, di livello superiore. Non è facile, può anche non piacere e risultare noiosa, ma rimane comunque cultura.

Va bene che è la prima calda giornata di primavera, ma in sala siamo cinquantasette (contati) mentre sul palco sono in trentadue a suonare, e in più l'ingresso è gratuito. E' una cosa leggermente vergognosa. Naturalmente nessun nipotino fra il pubblico. Tutti abbondantemente adulti.  Ci fosse almeno qualche studente del conservatorio. Non ne abbiamo visti.

La sala è bella, l'acustica buona, ma c'è un problema. I leggii dei musicisti non hanno illuminazione autonoma. E allora cos'hanno pensato? Sulle pareti ai due lati del palcoscenico hanno piazzato due minacciose batterie di nove fari ciascuna, le quali, sì, illuminano perfettamente le partiture, ma nello stesso tempo sparano dritti nelle pupille degli spettatori i loro raggi mortali, almeno fino alla quinta fila. Una sofferenza vera per gli occhi. Ecco che ne esce il parallelo alla rovescia con lo spettacolo di Woodkid. Anche lì la luce è usata a fini spettacolari, ma bene e con intelligenza. Qui a S. Cecilia invece è probabilmente e semplicemente il risultato casuale del lavoro di qualche elettricista non abbastanza appassionato da pensare a quello che faceva.

Usciamo che il pomeriggio non è ancora finito, c'è un dolce tramonto e Via del Corso brulica di gente. Molti giovani che probabilmente non sapevano niente del concerto. O, se lo avessero saputo, se ne sarebbero infischiati.

Hanno ragione loro anche stavolta. O no?



                                        

 

 
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