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Perfidie di Stefano Torossi

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Messaggi del 02/06/2013

Il parcheggio facile

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

  3 giugno 2013

  IL PARCHEGGIO FACILE


Mercoledì 29 alla Mondadori di Via Ferrari si presenta il libro di Mirella Panfili "Settimo livello". Non avendolo letto, nulla possiamo dirne, quindi ci limiteremo a riferire le nostre esperienze sensoriali dell'evento mondano. Sbrighiamo prima la parte gastronomica: buon prosecco, ottimi fragoloni ricoperti di cioccolata. Per il resto si è vagato in quella specie di limbo irrazionale e superstizioso in cui svolazzano parole come: bilocazione, visione remota, settimo livello (quello, appunto, della massima perfezione) e coincidenze prese per premonizioni. Con tutto l'affetto che nutriamo da anni per l'autrice, il nostro invincibile, e crediamo anche sano, scetticismo ci fa sorridere di avvenimenti riferiti con la più granitica sicurezza (storie di cui però non esiste mai una testimonianza, anche banale, come una fotografia). Tipo l'episodio dell'amica che, dimenticate le chiavi di casa, per rientrare, semplicemente infila il braccio attraverso la porta aprendo la maniglia dall'interno. Fra l'altro ci risulta difficile capire come la signora sia riuscita in un primo tempo a smaterializzare il legno e forse anche il ferro della porta (blindata?) attraversandolo col braccio, e poi abbia fatto il contrario con la maniglia interna che logicamente avrebbe dovuto essere impalpabile come il resto della porta. Come diavolo sarà riuscita ad acchiapparla e girarla?

Comunque, non sottilizziamo. Si tratta dei poteri dell'energia. Quello che invece risulta un vero e proprio miracolo, specialmente qui a Roma è il parcheggio facile attraverso la visione remota. Quando uno esce di casa, ci è stato riferito, basta che vada con la mente al luogo di destinazione, cerchi, appunto attraverso la visione remota, un parcheggio per la macchina, e, zac! quando arriva, ecco che lo trova subito. Libero.


Venerdì 31. Conferenza stampa del festival "Armonie della Sera", sala Pietro da Cortona, in Campidoglio. Che è uno dei sette colli di Roma dove si arriva in auto solo a condizione di sposarsi negli uffici del comune. Ci sembrava esagerato contrarre il vincolo coniugale unicamente per andare a una conferenza stampa. Quindi, gambe in spalla e sprezzo del pericolo perché tutta la zona che circonda il colle fatale è più pericolosa di un campo minato. Niente semafori. Traffico frenetico e ignaro dei diritti del pedone. Attraversare è sfidare il destino.  

Comunque, anche stavolta ci è andata bene. E dopo la faticosa ascesa del ripido pendio ci siamo trovati alle undici precise nel salone tappezzato di enormi quadri, di Pietro da Cortona, appunto, come si evince dal nome. Gli eventi romani sono riconoscibili da due elementi, uno negativo e l'altro positivo. Il primo è la spiacevole certezza che tutto, sempre, comincia in ritardo; il secondo è invece la altrettanto piacevole sicurezza che l'appuntamento è in sale meravigliose, su terrazze superpanoramiche, dentro ruderi pittoreschi, per cui uno può, fino a che regge la pazienza, impiegare il tempo a riempirsi gli occhi di arte.

Che è quello che abbiamo fatto noi per la prima mezz'ora. Arrivati al trentunesimo minuto di contemplazione di quadri, soffitti e architravi, e mentre l'annunciata conferenza stampa continuava a non manifestarsi, abbiamo tagliato la corda, per cui niente sapremo mai di questo festival forse prestigioso, forse innovativo, se non che è geograficamente collocato nelle Marche.

Ne abbiamo approfittato per andarcene a zonzo per i Musei Capitolini, la più antica e fra le più ricche collezioni di scultura romana. Nella grande esedra del Marco Aurelio abbiamo visto esposto in anteprima, appena recuperato, restaurato e magnifico, il gruppo marmoreo del leone che azzanna il cavallo. E naturalmente, centinaia di altri capolavori arcinoti, che è sempre un piacere ritrovare.

Ogni volta che posiamo l'occhio su una raccolta di pezzi antichi, ecco lo stupore forse fanciullesco che ci cattura nel vedere tutti i diversi tipi di marmi, alcuni gelidi, altri caldi, altri addirittura appetitosi che gli scultori, anzi, meglio, i ricercatori dell'antichità classica riuscivano a trovare in giro per il mondo, a tirarli fuori dalla terra, e soprattutto a riconoscerli. Perché, certo è facile farsi incantare da un marmo levigato, scolpito, lucidato, ma basta guardarlo nei punti in cui si è spezzato, ed è ritornato a essere un sasso qualsiasi, rozzo e privo di colore, e la domanda si ripresenta.

Come facevano a capire?



              

 
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