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Perfidie di Stefano Torossi

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Messaggi di Febbraio 2012

Dimenticare Sanremo

IL CAVALIER SERPENTE

Perfidie di Stefano Torossi

1 marzo 2012

  DIMENTICARE SANREMO


     Non si può negarlo: siamo orfani di Sanremo. Ci mancano le impressioni forti e le antipatie immediate che il Festival ci ha regalato. Non sappiamo bene come sostituirle. Vediamo se ci riesce di trovare qualcosa di così potente fra i fatti di questa settimana. Assaggiamone qualcuno.

     Siamo stati informati delle dimissioni dell'immortale, classe 1921, dalla presidenza della Festa del Cinema di Roma. L'arzillo (?) novantunenne rimane a capo dell'Ente David di Donatello, e continua come commissario straordinario della SIAE. Funzione in cui ha firmato la sciagurata decisione di sopprimere l'assegno di professionalità ai soci. Forse un'altra dimissione, più tempestiva, avrebbe giovato a tutti noi.

     Apprendiamo che la Filarmonica di Roma mette in scena un'opera breve di Vieri Tosatti, "La Partita a Pugni". Secondo alcuni, capolavoro dimenticato di un grande del Novecento. Grande forse, bizzarro di sicuro, tanto è vero che a un certo punto della sua carriera, quando stava per diventare famoso, Tosatti decise di proibire a tutti l'esecuzione teatrale delle sue opere. E ci si meraviglia se è dimenticato!

     Gossip kamasutrico dal Corriere della Sera del 27 febbraio (riportiamo i titoli alla lettera). "Baciai Schettino prima dell'impatto" dice la mitica moldava, e sembra la descrizione di un preliminare erotico, una preparazione al gran finale. E ce lo conferma il seguito. La fanciulla conclude: "Prima o poi saremmo finiti a letto". Viaggiate sicuri con la Costa Crociere.

     Ci hanno invitato al Settembrini Libri e Cucina, una libreria-sala da pranzo-degustazione di ottimo livello nel quartiere Prati di Roma, per un pomeriggio in cui Massimo d'Alema, come presidente dell'associazione Italianieuropei, partecipa a un incontro dal titolo non proprio originalissimo: "Riprendiamoci il futuro". Potrebbe essere il brivido che ci manca per dimenticare Sanremo. L'ascolto, anche se squisitamente lubrificato da un calice di ottimo vino dell'Etna ben freddo e lievemente zolfato (lo abbiamo detto che la libreria è anche enoteca) ci lascia stremati dopo un'ora di birignao, relazioni di incontri importanti di D'Alema (Monti, Clinton), citazioni snobissime dello stesso, in inglese senza traduzione ma con pronuncia piuttosto casereccia, emesse con voce moscia e sempre uguale.

     Per rinfrancare lo spirito (santo) andiamo di filato a sentire i Vespri gregoriani nella chiesa di Sant'Alessio, sull'Aventino, una costruzione fine ottocento, finto romanico, non bella, ma dove una cinquantina di frati celebrano tutte le sere i vespri col canto gregoriano. Niente di snob, di intellettuale, di artificiale. Magari un po' di sopore, ma tranquilli e sereni.


     Spostamenti veloci realizzabili a Roma solo in un modo. Ve ne parliamo nel PS.


     PS. Capricci di questa città. Fino a pochi giorni fa un gelo polare ci ha cotto tutte le piante in terrazza, e oggi è quasi primavera. Questo significa anche tirare fuori le due ruote dal garage. A proposito delle due ruote, oltre alle ovvie considerazioni che si risparmia un sacco di tempo nel traffico, che ci si diverte a fare gli scemi ai semafori anche se non si hanno più sedici anni, che se aumentano i reumi diminuisce il mal di fegato, e la puntualità è garantita, vogliamo spartire con voi  un'altra delle nostre sensazioni.

     Dunque, tutti abbiamo visto i documentari naturalistici in cui ci sono questi grossi uccelli, cigni, pellicani, papere, che galleggiano pesantemente sullo stagno, poi decidono di spostarsi. Li si vede piuttosto goffi che sbattono le ali e fanno una gran fatica a sollevarsi scalciando sull'acqua. A un certo punto, miracolo. Eccoli in volo, le zampe ripiegate, improvvisamente leggeri ed eleganti.

      Bene, immaginate di essere su una moto ferma, con un piede appoggiato a terra, il rischio sempre presente di scivolare, anche appena appena, sul brecciolino. Quanto basta per fare quella ingloriosa figura temuta da tutti i motociclisti che si chiama caduta da fermo, perché oltre una certa inclinazione la moto non la tieni più su. Ecco che la moto parte, acquista velocità ed equilibrio per una misteriosa legge della fisica che si chiama effetto giroscopio, e voi, ancora con la gamba estesa caso mai capitasse qualche emergenza (alcuni la tengono in fuori più del necessario, perché così il decollo è ancora più pittoresco), finalmente posate il piede ben saldo sul pedale, e a questo punto moto e pilota insieme diventano un elegante centauro, mezzo macchina mezzo uomo, che abbandona la polvere e spicca il volo.

     Libertà, potenza, leggerezza.



                                         

 
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Sanremo Cinque, Il Riscatto

IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

    18 febbraio 2012

                                             SANREMO CINQUE, IL RISCATTO


     Mancano alcune ore all'inizio dell'ultima serata ma già avvertiamo da echi sotterranei il passo pesante del Grande Qualunquista che si sta avvicinando come neanche Godzilla. La minaccia è annunciata dalla stampa tutta, e francamente ci sentiamo in pericolo.

     Fateci distrarre in questi ultimi attimi prima della catastrofe con un innocuo e saccentino ripasso scolastico. Fin da quando studiavamo Italiano, ci divertivano le figure retoriche. Che si possono benissimo applicare questa sera a Sanremo. Anzi ecco la prima, la metonimia (una parte per il tutto): Sanremo, invece di "Il Festival della Canzone Italiana che si svolge a San Remo". L'antonomasia (un nome proprio usato come aggettivo): Papaleo fa il dongiovanni con tutte le presentatrici, anzi, con tutte le ragazze dei dintorni. L'ossimoro (uso di termini contrari uniti artificiosamente): I silenzi eloquenti di Celentano. L'epifonema (la morale della favola): esausti alla fine del festival "Ve l'avevo detto che cinque serate erano troppe". Ce ne sarebbero altre ma non vogliamo strafare, perciò chiudiamo con queste due. L'iperbole (esagerazione): il Festival è un grande spettacolo, e l'ironia (finzione): il Festival è un BELLO spettacolo.


     Ecco che si comincia. Una specie di balletto su "All you need is love" in cui tutti si baciano, ma baci veri, lingua, annessi e connessi. Con gli amici ci chiediamo se sono comparse scelte fra fidanzati, o temerari che hanno deciso di osare il tutto per tutto. Ezralow, il coreografo, ci appare in un primo piano in cui è sorpreso a seguire la musica in battere. E' mai possibile?

     Altri momenti umani, o disumani, a scelta, sono l'applauso di sostegno terapeutico che saluta Papaleo quando si definisce l'Al Pacino della Basilicata, e il primo sorriso non equino di Ivanka,  quando, dopo essere apparsa in un inverosimile abito a squame (o a petali, non si capisce bene), parla di casa sua.

     Geppi Cucciari, di battuta veloce, scende le scale con le scarpe in mano e costringe Morandi a terra a infilargliele. Lei è brava e spiritosa, ma chi ne esce meglio è Morandi, che conferma il suo vero grande pregio: essere semplice. Che è davvero un talento, perché quando lo si ha non c'è bisogno di altro; non deve essere spiritoso, colto, aggressivo. Non ha bisogno neanche di essere bello, perché è comunque elegante, proprio grazie alla semplicità.

     Impagabile esempio da una parte di cialtroneria, dall'altra di prontezza, la gag del panino. Papaleo arriva con un panino incartato. E' il mitico panino alla frittata di casa sua. Ah, la frittata di casa! Confusione macchiettistica per scartarlo, Morandi finalmente ci riesce. Primo piano del panino, che però è al prosciutto. Sorpresa di Morandi: "Ma è al prosciutto!" (attentato dietro le quinte?). Fulmineo riscatto di Papaleo che senza fare una piega: "Si, ma la frittata è dentro". Bravo, qui viene fuori l'animale da palcoscenico. Rimane l'imperdonabile inefficienza dello scambio. A meno che fosse voluto per migliorare la gag cogliendo di sorpresa i due. Non crediamo. Troppo audace.

     Un elevato momento letterario ci arriva con la (evitabile) battuta "Ivanka è molto portata a fare la foca", un elegante riferimento alla canzone di Papaleo. Poi ci cospargiamo il capo di cenere durante la ormai troppo ripetuta lezione di catechismo di Finardi, e finalmente alle 22,35, arriva Lui.

     Televendita di Gesù, chiusura dei giornali cattolici, mania di persecuzione, invettive dal pubblico, tutto come da aspettativa. Ma poi, giù il cappello, amici! Il pezzo cantato con Morandi è un momento di spettacolo a grande livello. Il migliore di tutto il festival. Un vero riscatto. E pensare che aspettavamo questa occasione fin dalla prima serata per dargli addosso e farlo a pezzi. Impossibile. E' un grande artista e basta. E lo stesso Morandi ne esce visibilmente commosso.

     Il seguito della serata, come da copione. Luca e Paolo con la loro preghiera del clown provvedono a rifornirci di quella dose di noia di cui Celentano ci aveva privato. Il balletto anni '80 con Ivanka in stivali ci conferma che la ragazzona deve fare ancora molta strada. Le tre attrici della fiction su Walter Chiari dimostrano che non basta essere belle per essere interessanti. La canzone di Papaleo non dimostra niente. La lista dei destini letta dalla Cucciari ci convince che comicità dovrebbe sempre far rima con brevità. E per concludere, lo spazio meritato in chiusura da Sabiu, ottimo direttore e arrangiatore della Sanremo Orchestra è riempito da un brano dello stesso Sabiu, "Limitless", ahimè molto, troppo pericolosamente vicino alla musica di Allevi.

     Quiz: quante metonimie, iperboli e ossimori avete contato finora?



                                       

 
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Sanremo Quattro, Sbrinatura Frigo

 CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

   17 febbraio 2012

           SANREMO QUATTRO, SBRINATURA FRIGO


     Uno scapolo, si sa, paga la sua libertà con altre schiavitù di tipo domestico: il bucato, la spesa, un po' di pulizie di casa. Bene, oggi siamo in arretrato con la sbrinatura del frigo. Lo abbiamo capito fin dall'inizio che era la serata giusta e ci siamo organizzati staccando subito la spina. Le canzoni ormai sentite tutte più di una volta. Le solite quattro ore previste: il tempo perfetto per l'operazione.

    Meno male perché, lo abbiamo constatato in seguito, lo spettacolo si è srotolato stancamente con molti guizzi di noia, e un filo conduttore improntato, oltre che alle consuete volgarità, questa volta più moderate quindi ancora più noiose, a un diffuso banale patetismo di parole e di immagini. Per fortuna avevamo le faccende, perché mentre il frigo si sbrina, uno fa anche altro, no?


    Si apre con un violinista alto, biondo e bello, un vero principe azzurro che suona mentre la piccola fiammiferaia, Simona Atzori, ballerina senza braccia, danza da sola, anche bene, ma certo il suo handicap salta agli occhi e ci fa perfidamente pensare a una strumentalizzazione un po' così da parte del festival.

    Forse siamo troppo maligni, via. Passiamo al maestro Sabiu, da noi lodato per la sua eleganza ieri, oggi ci delude con una discutibile maglietta sotto lo spolverino di lamé.

    La prima risata risuona forzata alle 21,03 alla parola "minchiata" di Papaleo. Ci risiamo. Poi però non succede niente, tranne nostre frequenti visite di controllo in cucina, o zapping sulle altre reti (su MTV, vediamo i Soliti Idioti, ben più divertenti nella loro dimensione che è lo sketch rigorosamente scritto, recitato e altrettanto rigorosamente farcito di volgarità, di come li abbiamo visti in scena l'altra sera). L'intervista con la Ferilli cattura la nostra attenzione per l'impostazione nazionalpopolare del discorso. C'è uno strano momento in cui lei e Morandi se ne stanno tranquilli a chiacchierare mentre il pubblico, completamente scollato, rumoreggia per conto suo. Noi non abbiamo capito il perché di questa sensazione, e a quanto pare neanche loro due, ma erano a disagio. La Ferilli parla molto di Italia e di tette, ma è disinvolta. Morandi accenna a Louis Armstrong, da tutti conosciuto come Satchmo, e lei non perde l'occasione per ammiccare, ingenua: "Ma non è una parolaccia bolognese?"

    Canzoni. In una appare come spalla Paolo Rossi con la sua solita aria poco lavata, fa le facce, canticchia qualche parola e se ne va senza salutare. Però poi ci gustiamo lo straordinario trombettista jazz Fabrizio Bosso che arricchisce l'interpretazione della Zilli, acconciata con un covone di capelli in testa in memoria di Amy Winehouse.

    E poi arriva colui che con la sua semplice presenza, riesce a deviare per un po' la nostra attenzione da Papaleo. E' un belloccio che all'inizio abbiamo preso per un calciatore. Invece sarebbe un comico, Alessandro Siani. Costui inizia un pericolosissimo monologo che durerà un buon quarto d'ora, tempo micidiale per uno che a mala pena ce la fa, con una battuta indirizzata alla soubrettona dell'est, che ha appena finito di presentarlo, secondo lei ridendo, ma a noi la sua risata sembra il sussulto di un cervo colpito da una fucilata, "Attenti all'anca quando sale Ivanka". Siani appartiene a quella categoria di comici che fa la battuta, e poi ride, prima ancora che il pubblico l'abbia capita. Oppure dice una frase magari un po' forte, per smentirla subito dopo con un "scherzavo". Micidiale e anticomico. Se la prende con un orchestrale, uno spettatore e lo fa oggetto di sberleffi chiamando la gente alla complicità. Insomma il peggio del troppo facile aggravato dal ricorso al dialetto.

    Applausi (di sollievo?) lo salutano quando fa per andarsene. Invece si siede su una barca in secco sul palco e ci spara un ulteriore monologhino intenso, sentimentale e patriottico culminante in un trionfale "siamo italiani". E due per il patetico. Ivanka, sussultando ammette che non ha capito niente. Mentiremmo dichiarandoci sorpresi.

    La terza sbrodolata patetica è di Papaleo il quale, dopo aver tradotto il titolo "Stormy wheather" in "tempo di merda", canta il pezzo e conclude dichiarando che il suono che preferisce è la risata di suo figlio. E tre. Mo' basta col patetismo.


    Sono le 00,35, il frigo è sbrinato a puntino e la serata si conclude con il racconto, responsabilità di Papaleo, di come il pomeriggio durante le prove i due si sono incontrati casualmente in bagno, le loro pipì si sono incrociate (testuale) e questo ha creato fra loro un legame ancora più forte. Morandi, dissociatosi in partenza, dichiara che come aneddoto non gli sembra un gran che. Noi siamo d'accordo.

    All'urina non ci eravamo ancora arrivati. Se continua così siamo preoccupati per quello che ci aspetta domani sera.


                                       

 
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Sanremo Tre, L'Implacabile Guitto

  IL CAVALIER SERPENTE

    Perfidie di Stefano Torossi

      16 febbraio 2012

          SANREMO TRE, L'IMPLACABILE GUITTO



     Paola, un'amica attenta e fantasiosa ci suggerisce una chiave della seconda serata che non ci aveva nemmeno sfiorato, ma che se fosse vera, diventerebbe un lapsus psicanalitico agghiacciante. O un colpo di genio degli autori. Dunque, (parliamo sempre della seconda serata) avete presente quando il Solito Idiota porta al Morandi scamiciato una giacca da indossare in mancanza di quella dello smoking? Bene, è senza dubbio la giacca di una divisa da comandante di marina. La nostra amica suggerisce la seguente interpretazione. La nave di Sanremo ha rischiato di naufragare durante la prima serata per colpa di un grosso scoglio chiamato Celentano. Serve un comandante in gamba per tirarla fuori dalle secche. Quell'uomo è Morandi, e la giacca che gli portano è quella di capitan Schettino. Ironia al contrario? Fantasia malata? Colpo di genio degli autori?


     La terza serata comincia con la velata minaccia di cantare da parte di Papaleo. Bisogna stare attenti. Chi canta davvero è invece Morandi che lo fa ancora benissimo. Sembra un po' stanco, e nella presentazione si impappina più volte. Ma non importa. Ci ricorda il pianista Rubinstein che, molto avanti con gli anni, suonava malissimo, ma con un tale spirito che gli errori non contavano.

     Papaleo, implacabile, interviene ad abbassare il livello con un bel "non mi cagano" e qui, come in altre occasioni successive con lo stesso interlocutore, la faccia di Morandi è quella di un cittadino beneducato, talmente sopraffatto dall'incontro con un pulcinella sguaiato e forzatamente spiritoso da fare la figura dello stupido. Perché è chiaro che i loro sono due mondi che si scontrano ma non si incontrano. Il pulcinella insiste nel suo stile raffinato con uno sketchetto in cui si fruga la patta, non abbiamo capito bene se per riabbottonarla o che altro (naturalmente è presente la soubrettona tutta denti, tanto per finezza). Forse ci siamo sbagliati a considerarlo in via di miglioramento.

     Siamo costretti a una pignoleria. Ma quanto sono lunghe e imbarazzanti le pause di silenzio, finita la presentazione dei cantanti, prima che parta l'orchestra. E a proposito di orchestra, ribadiamo la nostra perplessità ogni volta che ascoltiamo Bregovich. Per noi è un furbacchione che ha trovato il modo di gabbarci con la sua scalcinata banda di ottoni obsoleti e stonati, e un paio di sguattere iugoslave che aprono bocca ed emettono. E invece a quanto pare tutti lo prendono per un intellettuale etnomusicale.

     Come un guitto verace, con i cantanti stranieri Papaleo parla quell'inglese inventato, da poveracci, che però suscita risate. Dobbiamo notare che anche Morandi non è un grande poliglotta, ma comunque non lo è con più stile. Per la verità abbiamo anche acchiappato Emma che, rivolta al suo sbigottito partner Gary Go, ovviamente digiuno di italiano, per chiedere conferma sulla scelta di un titolo gli butta lì: "Che disci, 'o famo?"

     Papaleo (ormai non gliene perdoniamo più neanche una) nel citare il lavoro indefesso dei tecnici dietro le quinte ci regala un bel "si fanno un culo così" accompagnato dal gesto descrittivo che tutti conosciamo.

     Pausa pubblicità, sbirciatina al TG da cui apprendiamo che anche la Chiesa pagherà l'ICI. Gioia sfrenata. Ma sarà vero?

     Finalmente la minaccia adombrata all'inizio si avvera. Papaleo canta. Con piglio da animatore di villaggio vacanze riesce a coinvolgere tutto il pubblico, fra cui c'è il suo datore di lavoro, cioè il Direttore Artistico della Rai. E quelli, docili, a fare didì e dadà. Sappiamo che non ci vorrete stare, che penserete a un nostro falso solo perché Papaleo ci è antipatico, a un tentativo di influenzarvi negativamente. Invece è tutto vero. Intendiamo il titolo della canzone. Siamo imbarazzati a dirvelo, perché sembra un'esagerazione. Insomma, facciamola finita. Il titolo della canzone che Papaleo canta accompagnato da tutto il pubblico dell'Ariston è: "LA FOCA"!


     Passati i pochi minuti necessari a digerire il disagio, non ci crederete, non ci credevamo neanche noi, ci siamo inaspettatamente e profondamente commossi (commossi a Sanremo!) a sentire quella disperata salamandra della Bertè cantare una meravigliosa canzone d'amore, poesia magica di Bruno Lauzi, tema struggente di Maurizio Fabrizio: "Almeno tu nell'universo". Forse c'entra anche il ricordo di come ci strappava il cuore sua sorella Mia. Fatto sta, ci è scappata la lacrimuccia.

     Comunque non vogliamo mica volare troppo alti. A rimettere le cose a posto ci pensa sempre lui, Papaleo, che da quattro ore saltella da tutte le parti con quella sua patetica ansia di esserci. Pronuncia la parola afflato, e la dice anche a proposito, ma poi proprio non resiste e aggiunge "quando ti puzza l'afflato".

     Inutile sperare di crescere. Qui siamo ancora all'oratorio. E pare proprio che ci resteremo.

     Si è fatta mezzanotte e cinquanta. Non ce la facciamo più.



                                        

 
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Sanremo Due, Il Pentimento

IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

 15 febbraio 2012

  SANREMO DUE, IL PENTIMENTO


     Il TG prima dell'inizio ci informa che il pentimento da cui il titolo non è nostro ma della Rai che pare abbia calato le braghe chiedendo scusa per conto di quel ragazzaccio cattivo di ieri sera a Famiglia Cristiana e all'Avvenire.

     Ci preoccupiamo di avere davanti a noi una puntata noiosa, ingessata e priva di quelle saporite volgarità che ieri hanno condito così bene i nostri interventi. Infatti la prima apparizione dei Soliti Idioti passa liscia, appena arricchita da una doppietta pernacchione-gesto dell'ombrello. Troppo poco. Speriamo bene.

     Tutto sembra funzionare. I microfoni ci fanno finalmente capire i testi, che ieri ci arrivavano come bisbigli da confessionale. Il primo balletto di Ezralow ci colpisce per la sua bella, compatta e acrobatica costruzione. Il Maestro Sabiu, direttore dell'orchestra stabile del Festival, è lì, garbato ed elegante; senza cravatta, ma elegante. Accidenti! Di cosa ci lamenteremo se tutto va avanti così?

     Un po' di conforto ce lo dà la bella sfocatura da filmino delle vacanze che caratterizza  il primo piano di Ivan Pierri, light designer, presentato al pubblico, come si usa fare negli spettacoli brillanti. I presentatori e gli attori sono sempre in scena? allora ogni tanto facciamo vedere anche i tecnici.

    Partono le canzoni di cui anche questa sera non ci occuperemo. Appare Papaleo in loden ed elmetto da cantiere. E la sua faccia, la stessa in ogni momento, comincia a farcelo vedere come un Buster Keaton de noantri. E' un po' antipatico, ma meglio di ieri. Bei tempi comici. Comincia a funzionare.

     I labbroni e la mascella della Bertè che canta con Gigi D'Alessio scatenano fra le amiche che stasera ci sostengono nel nostro compito di osservatore sanremese un'accesa discussione sulle responsabilità del chirurgo estetico nella odierna società dello spettacolo. Dovrebbe impedire, come professionista, ma anche come confessore e guida, la trasformazione di facce magari segnate ma ancora umane in orride salamandre, oppure limitarsi a eseguire senza discutere le richieste della clientela?

     Non si trova risposta, anche perché le amiche di cui sopra sono istantaneamente conquistate dal bel pupo di Dalla, Carone, giovane, garbato, bella vocina e saluto d'ordinanza con le manine giunte. Il cucciolo, si sa, risveglia l'istinto materno. Ma non, lo sapremo più tardi, quello delle giurie.

     Secondo intervento dei Soliti Idioti, e qui, dài e dài, alla fine almeno un "dài, cazzo!" lo dobbiamo incassare. E' la loro firma, vi pare che ce lo risparmiavano. Togliamoceli dallo stomaco. Di grande finezza ci è parso lo sketch con il bovero negro, anzi, il diversamente colorato, concluso dalla battuta: "se lui è diverso, vuol dire che noi siamo normali". E poi finalone sull'elegante osservazione che se Morandi ha le mani grandi (fatto ormai acquisito all'iconografia popolare) avrà grande anche il coso. E con questo speriamo di non doverne parlare più.

     Un passo indietro per arrivare (commentata da indovinate che musica? ma la Moldava di Smetana, naturalmente!) all'apparizione della terza donna, una gigantessa dell'Est tutta tacchi e gengive, ancora più alta delle altre due che già torreggiano su Morandi e Papaleo. Ivana Mrazova. Vale anche per le donne che altezza è mezza bellezza?

     Un brivido, ma leggero ce lo ha fornito il riapparire dello stesso direttore d'orchestra di ieri sera, con sotto la camicia la stessa maglietta di salute, leggermente più ombrata.

     E poi la suspense sulle mutande di Belen. Consapevole della nostra inquietudine, ha confermato a tutta l'Italia che le porta, ma cucite sotto il vestito. Cosa vorrà dire non lo sappiamo, ma ci siamo sentiti rassicurati.

     Alla quarta ora di una serata stanca, durante la malriuscita esibizione del DJ accompagnato dalle due ballerine tenniste siamo dolcemente scivolati nell'oblio di un meritato pisolo. Buona notte.



                                         

 
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Sanremo Uno, L'Incoscienza

Post n°152 pubblicato il 15 Febbraio 2012 da torossis

IL CAVALIER SERPENTE

 Perfidie di Stefano Torossi

 14 febbraio 2012

   SANREMO UNO - L'INCOSCIENZA


      14 febbraio. E' la prima volta che ipotechiamo in partenza venti ore della nostra vita in un'impresa che potrebbe anche essere esiziale: la visione integrale delle cinque serate del Festival di Sanremo. Speriamo di farcela. Una manifestazione, da parte nostra, di vera incoscienza.

     Ore 20,40: secchiello del ghiaccio con bottiglia di Soave e accanto tagliere di lardo di Colonnata e patè. La decisione è: se dobbiamo rischiare, tanto vale metterci anche il colesterolo.

     Allora, la faccenda comincia prima di tutto con una specie di psicodramma con Morandi in camerino che ci esterna i suoi spaventi prima di cominciare il Festival. Morandi è tutto tranne un buon attore, e si vede. Transit.

     Poi ci toccano venti minuti buoni di Luca e Paolo. Un'esperienza di tipo parrocchiale-adolescenziale-parolacciara. Si tratta di una canzone (satirico-sociale?) che ci fa rimpiangere il Bagaglino, in cui abbiano contato diversi sputtanare, sputtanerò, Luttazzi che rima con cazzi, sticazzi, coglioni, passera, pisello, cacca, il tutto arricchito da occhioni sgranati alla Macario, espressioni finte deficienti alla De Rege e tentativi malriusciti di imitazione di Benigni o Celentano, perchè Benigni e Celentano reggono  mezz'ora in scena: loro, no. Il tutto crolla con una battuta, sempre citando Celentano "caro Adriano, avevi torto, la foca ha rovinato il paese", con qualcuno nel pubblico che, fra le risate che comunque accompagnano qualunque parolaccia, alla fine capisce il riferimento e grida a gran voce "Adriano!"

     Finalmente arriva un professionista che per il solo esserci con la sua semplicità e l'intuito per la misura rialza il livello: Morandi, che attore non è, ma presentatore sì, e di gran classe.

     E qui abbiamo un momento di spettacolo quasi americano. Il palco minimalista e volutamente squallido si trasforma in una fantasmagorica macchina futuristica e affascinante. Qualcosa di professionale, era ora. Dall'avanspettacolo delle pagliette a Broadway.

     Naturalmente non dura. Coll'inizio delle canzoni in gara cominciamo a vedere gli imbarazzanti direttori d'orchestra. Uno di cui non ci ricordiamo il nome, ma era quello che accompagnava Bersani, vestito come un garzone del droghiere: camicia aperta con sotto intravista una maglietta di salute anche un po' ombrata, e senza avere il fisico (Bacharach avrebbe fatto meglio). Ma perché? In fondo una giacca e una cravatta non costano poi tanto. E siamo a Sanremo.

     A un certo punto, problema tecnico. Morandi minimizza benissimo. Stiamo cominciando a volergli bene. E a risalire la china. Ma, ahimé arriva Papaleo. Per quanto sia evidente che il suo look penoso è studiato, rimane il fatto che ha una faccia che proprio non funziona. Se non immaginando che sia un pupo siciliano. Allora sì, va bene, ma allora dovrebbe fare il pupo veramente ingenuo, di legno, e non dire anche lui volgarità, tipo lo "sverginami" che ha pronunciato, non ci ricordiamo neanche più a che proposito. Comunque qualcosa ci fa immaginare che non sia così fesso come tenta di apparire, e aspettiamo di vedere cosa farà dopo.

     Si succedono le ragazze canterine tutte con tacchi troppo alti; non sanno usarli per scendere le scale e sembrano papere. Tranne la Fornaciari, finora l'unica che sa stare sul palco. Papaleo continua con l'avanspettacolo. Non ha stile, non c'è niente da fare. Mentre Morandi è come una donna sexy, che è sexy soprattutto quando non sa di esserlo, e lo è per grazia naturale. Morandi è naturale e sexy (nel senso del presentatore, naturalmente). Eppure anche a lui scappa un "ma che cazzo!". Evidentemente è l'atmosfera della serata che glielo fa dire, ma in ogni caso con leggerezza.

     Finalmente arriva il grande qualunquista, di cui non è necessario fare il nome. Anche a lui esce di bocca un "che cazzo". Chissà quale magia trascina tutti per la china. E naturalmente tutte le sue solite baggianate, e pause, e facce. Ma, e qui ritorniamo alla grande classe, quando canta è fantastico. Non importa la musica o il testo. E' lui che canta, e basta. C'è.

     Il resto è di nuovo avanspettacolo, con l'intervento finto spontaneo di Pupo, anche qui con faccette e sbuffi da parrocchia, battutine sulla statura dello stesso Pupo, rigurgiti di ecumenismo del grande qualunquista ecumenico che conclude il suo spazio con la dichiarazione che "La morte è l'ultimo gradino prima del grande inizio". Boh? Baggianate di cui crediamo di poter fare a meno.

     La cosa va avanti con apparizioni di belle vallette. Ancora una volta dobbiamo rammaricarci del fatto che la Canalis che ci piace moltissimo risulta più scema di Belen che ci piace pochissimo.

     Alle 00,03 mentre parla della figlia del suo pianista, dalla bocca di Papaleo prorompe trionfante un irreprimibile vaffanculo. Certo non è colpa sua, ma ha una faccia davvero non da palcoscenico, con quegli occhi ipertiroidei e fissi. Ma non dev'essere uno sciocco, perché poi ci regala un monologhino piuttosto intelligente.

     Eppure alla fine sbraca di nuovo perché questa prima serata, arrivata alle quattro ore, chiude con una sua battuta, sul cui livello preferiamo non esprimerci. Eccola: "C'è un campo di girasoli a Cortona d'Arezzo; e c'è un campo di paraculi a Cortina d'Ampezzo".

     Che ne dite? La professione è un'altra cosa, no?



                                       

 
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Titoli e risate

  IL CAVALIER SERPENTE

    Perfidie di Stefano Torossi

11 febbraio 2012

 TITOLI E RISATE


     Ci chiedevamo quando sarebbe successo. Finalmente qualcuno apre bocca per dire qualcosa di moderno con sobria ironia e non con il solito clamore da farsa a cui ci avevano abituati (ci riferiamo ovviamente a Monti e alla sua battuta sulla noia del posto fisso), ed ecco che tutti i ranocchi dello stagno si mettono a gracidare il vecchio perbenismo della lagna, del patetico, del siamo figli di mamma. A noi è piaciuta anche l'aggiunta della ministra Cancellieri che ci ha messo il cosiddetto carico da undici insinuando che i bamboccioni, non solo vogliono il posto fisso, ma lo vogliono anche vicino a mammà. L'idea che la vita adulta sia anche competizione, educativa e sportiva, evidentemente è anch'essa troppo moderna.

     Per continuare a ridere basta aprire un giornale qualsiasi. Intanto, tutti questi morti d'infarto spalando la neve. Non è difficile, quando si legge l'età, immaginare che questi simpatici anziani, magari sarebbero morti nello stesso modo pigiando l'uva verso fine ottobre. Ma non avrebbero fatto notizia. La neve è calamità, il vino no.

     E il panico per Roma ridotta a una lastra di ghiaccio? Quando siamo arrivati da Venezia (dove per le osterie gira questa battuta salata (capito il doppio senso?): "Prima la Marina Italiana era fatta da uomini di ferro su navi di legno, poi da uomini di legno su navi di ferro, adesso da uomini di merda su navi di plastica") eravamo pronti a montare le catene alle rotelline del trolley.

     In Abruzzo "...ora temiamo l'arrivo dei lupi". Il plurale, oltre che allarmistico, ci sembra anche ottimistico. I lupi dell'Appennino sono quattro gatti. Ce li immaginiamo che fanno i turni, a spese dell'EPT, per spaventare i poveri villeggianti innevati.

     E gli Ayatollah? Eterna gratitudine per le risate che ci regalano. Adesso hanno proibito i Simpson, dopo aver messo fuorilegge la Barbie. Sono elementi che traviano i giovani, perbacco! Ah, la saggezza delle dittature.

     Abbiamo anche gli omogeneizzati che anticipano la pubertà e fanno venire le tette alle bambine di sei anni. Letto, eh, non inventato.

     9 febbraio, tutto su Repubblica: Fantascienza: titolo "Monti: basta con i convegni, restituire i regali", fantascienza, appunto. Petulanza: titolo "All'aeroporto di Fiumicino i passeggeri si lamentano perché dalle porte scorrevoli entra aria fredda quando si aprono", che fare? riscaldare la pianura Pontina? Pagliacciata: titolo "Battisti sfila al carnevale di Rio", no comment.

     Merita il podio di questa settimana la pagina 20, sempre di Repubblica, del 3 febbraio, per un titolo strepitoso: "La mega truffa della falsa acqua di Lourdes - Ancona, poche gocce di rubinetto vendute a 200 euro". Va bene, continua a esistere un esercito di bricconi capaci di vendere merce inverosimile a un esercito altrettanto numeroso di babbei. E questo lo sapevamo. Ma diamo un'occhiata insieme a questo titolo. Chiunque, anche uno scemo, capisce leggendolo che se qualcuno truffa qualcun altro vendendogli una merce falsa, vuol dire che dall'altra parte della barricata, cioè dalla parte degli onesti, questa stessa merce la si trova, ma autentica. Colpo di scena: allora la vera acqua di Lourdes esiste! E magari costa anche meno.


     PS. Mercoledì otto febbraio, Sala S. Cecilia, Parco della Musica di Roma, serata unica. L'Orchestra di Piazza Vittorio suona il Flauto Magico di Mozart. Ecco, dopo tutte le cialtronate fin qui elencate, possiamo finalmente raccontarvi qualcosa di serio. Che poi ci arriva da un gruppo che per assortimento di facce, costumi, colori e movimenti, serio non lo sembrerebbe davvero. E invece c'è dietro un sacco di lavoro. E si vede. E un sacco di pensiero. Sui costumi, per esempio. Nessuno è vestito come capita, fatto fin troppo frequente sulla scena musicale, e su cui abbiamo sempre espresso le più fiere riserve. Il pazzariello narratore con la sua immensa feluca piena di patacche di latta. Il servo di scena in frak nero. Il maestro concertatore e coelaboratore con Mario Tronco delle musiche (splendide, e non solo grazie a Mozart), il nostro amico Leandro Piccioni, seduto al piano in un impeccabile frak bianco che, quando si alza, esibisce un paio di incongrui pantaloni neri. Il gangster, la cow girl con crestina in testa, tutti gli altri, molto etnici. E poi la bravura degli interpreti. Uno meglio dell'altro, e collegati da una bella struttura di racconto. E molto rilassati. Nessuno se la tira, e lo si vede nei ringraziamenti. Era un bel po' che non ci divertivamo così tanto in una poltrona di teatro (e non vedevamo gli attori/musicisti divertirsi così tanto sulla scena).

     La critica profonda del progetto è già apparsa da tutte le parti, scritta da qualcuno più competente di noi, quindi neanche ci proviamo. Come spesso abbiamo fatto in passato, anche questa volta ci limitiamo alle bollicine che vengono a galla.



                                   


 

 
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