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Perfidie di Stefano Torossi
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Messaggi di Maggio 2012
IL CAVALIER SERPENTE
Perfidie di Stefano Torossi
28 maggio 2012
SANTA CECILIA SUPERSTAR
Organo. Nella rassegna di Santa Cecilia "Musica a Roma...per Roma" (chissà perché i puntini?) il 30 aprile è annunciato un concerto per strumenti a fiato e orchestra. Invece dell'evento previsto, oh sorpresa, in sala c'è un signore che suona il grand'organo dell'Accademia. Forse dovevamo ricontrollare giorno e ora. Il fatto è che quando un'istituzione come S. Cecilia ci manda il programma della stagione, perché non dovremmo prenderlo sul serio? Non siamo riusciti a sapere chi è il virtuoso. Questo imprevisto ci porta a una riflessione sull'organo, e la facciamo con il massimo rispetto, soprattutto per gli amici organisti. E' uno strumento che ti toglie il fiato, perché lui stesso non lo prende mai. Gli archi respirano a ogni su e giù del braccio, gli ottoni e i legni respirano per bocca dei loro suonatori, il suono delle percussioni non dura più di tanto, solo l'organo non ha bisogno di respirare. E così, con tutta la sua maestà, dolcezza e potenza, ci mette in affanno, forse per empatia fisiologica. E' un'osservazione da maniaco o è una sensazione che qualcuno condivide?
PS. Ci pare obbligatorio segnalare che, insieme a questo del 30 aprile, altri due concerti annunciati sul programma della stagione di S. Cecilia sono svaniti senza spiegazione: quello del 4 maggio per l'Orchestra del Conservatorio con il violoncellista Idlir Shyti, e quello dell'11 maggio con l'organista Alessandro Licata. Tre buche in meno di due settimane non ci pare una cosa seria per una grande istituzione. Alle nostre rimostranze il custode ci ha detto: "Eh, ma doveva andare a controllare sul sito". Abbiamo così scoperto che il rispetto per gli impegni con il proprio pubblico viene gestito all'italiana perfino da S. Cecilia, che evidentemente non è abbastanza santa da fare il miracolo di cambiarci le abitudini.
Saggio di fine corso. Il 13 maggio alla Sala Accademica del conservatorio di S. Cecilia, meritorio concerto di chiusura della sesta edizione di Percorsi in Jazz, coordinata da Paolo Damiani e Danilo Rea. Sul palco una big band di allievi esegue composizioni di docenti e di altri studenti ispirate a Zappa, Miller, Kenton, con assoli a volte buoni, a volte meno, ma sempre volenterosi. E' chiaro che non tutti sono star. Prima di questi, la classe di sax di Stefano Di Battista, 12 ance, più una ritmica pesantuccia, ha suonato brani del suo professore. Poi è salita Nicky Nicolai, una voce che non ci è mai piaciuta un gran che. Per fair play ci imponiamo di non infierire, ma non ci riesce di passare sotto silenzio la sua interpretazione, proprio brutta, di una bellissima canzone di qualche anno fa, "E se domani" incisa in modo superlativo nel '64 da Mina, che invece la Nicolai ha interpretato male, accompagnata malissimo dal pianista Alessandro Mariano che di tanto in tanto si tuffava in arpeggi alla Liberace. Una cosaccia che, prevedibilmente, ha provocato applausi tanto scroscianti quanto immotivati. Fatti i calcoli, abbiamo la quasi certezza che il pubblico fosse al centoventi per cento famiglie, amici, fidanzate.
Ancora Santa Cecilia. Scusate l'insistenza, ma avendo preso un'altra sòla ci sentiamo in dovere di riferirla. Il 17 maggio, alle 18 (attenzione all'orario) ci presentiamo alla Sala Accademica per il concerto del chitarrista Francisco Bernier, che inaugura il Guitfest, festival della chitarra, curato dall'amico Arturo Tallini. Beh, indovinate chi c'era invece? Una formidabile banda militare che suonava i suoi inni. Erano in alta tenuta e andavano benissimo, ma, certo, se uno si aspetta una chitarra...Siamo usciti stupefatti, e all'ingresso abbiamo letto su un foglietto appiccicato che in realtà il concerto di chitarra era quella sera alle 20,30. Allora ci siamo detti: aveva ragione il custode. Prima di passare a Via dei Greci avremmo dovuto controllare sul sito. Lo abbiamo fatto appena tornati a casa, e sul sito appariva, e ancora oggi (27/5/2012) appare la burocratica scritta: "Guitfest - apertura il 17 maggio alle ore 18,00 con il concerto di Francisco Bernier". Che altro aggiungere?
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IL CAVALIER SERPENTE
Perfidie di Stefano Torossi
21 maggio 2012
L'ENNESIMA SIGARETTA
L'ennesima sigaretta. Il freddo fuori stagione (siamo al 16 maggio) non ci ha impedito di fare una passeggiata fino alla Basilica di Massenzio per la prima serata del Festival Internazionale di "Roma Letterature - Semplice/complesso". E invece avremmo fatto bene a restarcene a casa al calduccio. Il posto, si sa, è eccezionalmente bello e anche bene illuminato. La suggestione delle immense volte a cassettoni è irresistibile. Una musica di sottofondo un po' alla Goblin, ma più iettatoria, precede la lettura piuttosto malriuscita di un testo poetico da parte di Ambra Angiolini. Poi appare Alessandro Piperno, che, pur essendo uno scrittore quarantenne di grande successo, come abbiamo letto nel catalogo del festival ben fatto e lussuoso, si presenta come un malconcio bidello in pensione. Ma come, sali su un palco per quella che è a tutti gli effetti una cerimonia pubblica, e non ti metti almeno uno straccio di vestito e una cravatta? No. Bragoni di velluto sformati e casacca scolorita. In più, nel suo caso, e questo non è certo colpa sua, il fisico non lo aiuta. Allora è l'uomo intelligente che dovrebbe aiutare il proprio fisico. Comunque, a parte il look, ha letto un suo testo divertente, ben costruito e ben scritto.
Segue una collega che legge se stessa, Silvia Avallone, e con il suo racconto ci affonda in una storiella fra il trasgressivo e il cronachistico, in realtà un cesto così pieno di luoghi comuni da stupire, proprio perché confezionato da una presunta professionista. Da questo contenitore abbiamo pescato la banalità che usiamo per il titolo. Uno dei personaggi a un certo punto del racconto si accende "l'ennesima sigaretta"! (serio, intendiamoci, non ironico). Non la leggevamo dai tempi di Yanez. Ve lo ricordate il portoghese di Salgari?
Seconda lettura insignificante di Ambra; strano, perché è brava. Poi ad accompagnare dal vivo al pianoforte la proiezione di certi suoi video noiosissimi farciti di sequenzine ripetute e altre furbizie da cinefilo si presenta nientedimeno che il musicista minimalista Michael Nyman, autore, come sappiamo, di una quantità di colonne sonore inglesi e australiane. Si piazza al piano e contribuisce ad accentuare il disagio del pubblico, già prostrato dalla temperatura in calo, con una serie di brani forse minimalisti, certo molto basici e soprattutto noiosi. Perché l'idea di sottrarre tutti gli ornamenti dalla struttura costruttiva della musica per arrivare al nocciolo essenziale può anche essere giusta, ma a un certo punto bisogna sapersi fermare, sennò è come il risotto. Se gli levi il brodo, il burro, il parmigiano, il pepe, rimane il riso bollito, che è comunque commestibile, e ci campano svariati milioni di persone nel mondo, ma il sapore ce lo scordiamo.
Non sappiamo come è finita la serata. Il freddo e la noia hanno avuto la meglio e ci siamo uniti a quello che, cominciato come uno sgattaiolare via di pochi coraggiosi, è poi diventato un esodo biblico di tutto il pubblico.
Valorizzazione del patrimonio culturale. E' il titolo dell'incontro avvenuto il giorno dopo la nostra fuga da Massenzio, cioè il 17, all'auditorium dell'Ara Pacis. Per la nostra esperienza, un evento del genere è spesso una tragedia di noia. Invece l'accorta organizzazione dell'amico Stefano Micocci e la brillante prestazione del moderatore non moderato Philippe Daverio hanno trasformato la faccenda in un frizzante pomeriggio intellettual-spettacolare. Che vi andiamo a raccontare. L'auditorium è un ambiente di estrema sobrietà, tutto in legno chiaro e intonaco bianco. Non grande, con una pedana per i relatori. Di solito lì sopra ci sono tante sedie in fila dietro un lungo tavolo con gli obbligatori cartoncini recanti nomi e cognomi dei partecipanti. Stavolta no. Un podio e due tavolini che richiamano il legno delle pareti, e tre poltroncine di pelle chiara. Non una scritta o un logo. Sui tavolini pochi bicchieri di vetro. Sul pavimento bottiglie di minerale seminascoste dietro le gambe dei tavolini. Semplice, elegante e intelligente. Come tutto quello che è seguito. Presentazione di Ruberti, di Zètema, seguita da un chiaro e come sempre energetico intervento della presidente Polverini, a cui si aggancia un accorato appello dell'assessore alle politiche culturali D'Elia che ci fa sapere che l'Italia è l'unico paese europeo a tagliare su scuola e cultura.
Primo dibattito sulle industrie creative introdotto e condotto sornionamente ma non senza frecciate al ministro Ornaghi da Walter Santagata che guida Mario Resca, direttore per la valorizzazione del patrimonio culturale, il quale tende, probabilmente con ragione, al catastrofico; e Santo Versace, un po' troppo stizzoso, e mal servito da una voce afona e una dizione sdrucciolevole. Conclusione: le cose non vanno.
Passiamo al piatto forte: dibattito sulle prospettive del patrimonio e delle industrie creative. Un protagonista: Daverio. Due comprimari: il ministro Ornaghi e Francesco Rutelli. Brillantissima introduzione di Daverio che procede fra paradossi e iperboli scandendo bene ogni parola e qualunque cosa dice la fa interessante e divertente.
Sulle tre poltroncine abbiamo da sinistra il ministro arcigno, al centro l'intellettuale estroso, e a destra il bel guaglione della politica. Il primo parla in burocratese poco espressivo e spesso fumoso, il secondo, lo sappiamo, cita in tutte le lingue con pronuncia perfetta e ridacchia da sopra il papillon, il terzo parla moderno, spesso per slogan, e fa gli occhioni. Inutile entrare nel merito, sarebbe troppo lungo. La constatazione è che tutto va male perché mancano i soldi, manca l'attenzione, manca un'elite intellettuale e politica in grado di prendere le decisioni giuste. Mentre dicono questo, due dei tre sbirciano verso il ministro dei beni culturale. Che sia tutta colpa sua?
Riconosciuto a Daverio il primato della brillantezza, ci corre l'obbligo di riferire due felici battute di Rutelli. Apre rallegrandosi che l'incontro si è potuto tenere proprio lì, nella teca dell'Ara Pacis, solo perché il sindaco Alemanno non ha ancora fatto in tempo a demolirla (risate). E chiude riferendo che ogni anno quattro milioni di turisti visitano Pompei, e altri quattro milioni di turisti visitano Pompei, ma non lo sanno, perché i primi vanno agli scavi, gli altri al santuario. Non sarebbe male, aggiunge, se riuscissimo a farli incontrare e farli diventare otto.
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IL CAVALIER SERPENTE
Perfidie di Stefano Torossi
14 maggio 2012
ELETTRONICA E SAMBA
Emutif. Electroacoustic Music tra Italia e Francia. E' un festival in quattro episodi dal 7 al 10 maggio alla Sala Accademica del Conservatorio di S. Cecilia. Prima serata dedicata a Guido Baggiani. Atmosfera del tutto informale. Ingresso libero. Pubblico scarsetto, ma di amici e intenditori, e questo permette totale naturalezza quando per un impiccio a noi incomprensibile il brano per viola elettrica e live electronics non si può eseguire. Armeggiano un po' intorno ai computer, poi, come abbiamo detto, senza il minimo imbarazzo si passa all'esecuzione del brano successivo, promettendo che appena possibile ascolteremo la viola. Ci piace molto questo modo di fare e ascoltare musica che, attenzione, non è cialtrone, è familiare. I due brani di Baggiani sono davvero molto belli, specialmente il più vecchio (1985); dell'altra musica non ci siamo quasi accorti. Comunque in questi concerti c'è sempre qualcosa da apprezzare, se non l'ispirazione, almeno il trattamento degli strumenti e dei suoni. Buoni gli esecutori, quasi tutte ragazze. Assolutamente delizioso il direttore, Tonino Battista, il quale, dopo ogni brano fa corsette su e giù per il palco con mosse da Mr. Bean, e va a baciare la mano alle esecutrici. Altrettanto deliziosamente impacciato il maestro Baggiani quando gli consegnano un premio alla carriera. Tutto come in un film americano anni quaranta, rigorosamente in bianco e nero. Ma con buoni attori.
Errare è umano, perseverare è diabolico, e noi diabolicamente siamo andati anche alla seconda serata del festival, il giorno dopo. Ammettiamo subito che ci siamo accorti dell'errore a metà concerto, e abbiamo prontamente tagliato la corda. In ogni caso vi riferiamo, invece che le impressioni sulla musica, di scarso interesse, alcuni nostri rilievi sul programma di sala (quel foglietto che di solito ricorda pericolosamente le presentazioni delle mostre di pittura: aria fritta), che ci ha fatto divertire assai di più. Saremo assolutamente scorretti nelle citazioni, però non vi diremo gli autori. Intanto i titoli, spesso più pittoreschi della musica a cui si riferiscono. Brano numero uno: "Sedimenti". Il foglietto dice: "...giardino di suono, dove l'ascoltatore...può cedere a sensazioni che diventano uniche a ogni singola esecuzione e per ogni singolo spettatore". Nostro commento: E allora? E' quello che succede a qualsiasi ascolto, anche di Orietta Berti. Numero due: "Come occhi che videro deserti". Foglietto: "Dopo aver visto l'infinito degli abissi, gli occhi non riescono a credere più a nulla..." Commento: Da sempre pensavamo che a un concerto servissero principalmente le orecchie. Numero tre: "Umori - Rumori". Foglietto: "...dislocazione degli eventi impulsivi fra fronte e retro, spazializzazione degli eventi lunghi in movimento orario e antiorario". Commento: Mah?
Non sapremo mai cosa è successo dopo, né quel pomeriggio, né per tutto il resto del festival.
Optical. Mercoledì 9 maggio, in un luogo fra i più belli di Roma, il Chiostro del Bramante, il nostro ottico di fiducia, Giancarlo Mondello ha invitato tutti i suoi clienti (che spesso sono anche amici) a brindare e a gustare, fra un continuo lampeggiare di bifocali e antiriflesso, ottime fave e pecorino, nonché altre squisitezze di stagione e poi a portarsi a casa il catalogo delle sue vetrine. Bisogna sapere che Giancarlo è uno di quegli imprenditori illuminati che spendono parte dei loro guadagni non solo per intrattenere gli amici, ma anche per chiamare una serie di artisti a decorare la sua vetrina su Via del Pellegrino. Che infatti è sempre sorprendente e divertente, piena com'è di arte da definire obbligatoriamente Optical.
Preghiera in samba. Alle sette e mezza di venerdì 11 maggio entrando nella basilica di S. Giovanni in Laterano eravamo convinti di andare a sentire l'orchestra di Alfredo Santoloci in un programma non precisato. Con nostro stupore ci siamo trovati quasi al carnevale di Rio. L'occasione era il conferimento dello statuto da parte della Santa Sede alla comunità cattolica brasiliana Shalom (ci sfugge il perché di questo nome ebraico per una comunità cattolica, per di più brasiliana). Chiesa gremita, e ce n'entra di gente a S. Giovanni. Processione con ostensione di reliquie, e poi sono cominciate le loro canzoni; noi che vorremmo solo Bach. A questo punto ci è tornato in mente quello che diceva Vinicius de Moraes. Metti una canzone in bocca a un brasiliano, e diventa un samba. E infatti c'era samba nei canti che tutte quelle migliaia di persone cantavano battendo le mani a tempo (giusto), quasi ballando, e soprattutto appoggiandosi ai magnifici arrangiamenti di Santoloci. La gente ha bisogno, quando si raduna in chiesa o altrove, di fede e di appartenenza, ma se è gente brasiliana, ci aggiunge di sicuro una bella dose di ritmo. Alla fine ce ne siamo andati sorpresi e contenti (e sambando un po' anche noi , ma di nascosto).
P.S. Aggiustiamo il tiro, anzi, il tempo: La settimana scorsa, criticando la eccessiva lunghezza dei brani jazz odierni, abbiamo citato le durate di una volta (2'45", per esempio) e le abbiamo definite a misura d'uomo. Credevamo di aver trovato una denominazione sensata e anche un po' poetica. Per fortuna abbiamo un amico, Massimo Catalano, il quale, ancorché di poco più anziano di noi, è evidentemente meno rimbambito perché ci ha fatto notare che quella durata non era a misura d'uomo, ma a misura di 78 giri. Semplice, no? Averci pensato! Grazie, Massimo.
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IL CAVALIER SERPENTE
Perfidie di Stefano Torossi
7 maggio 2012
CALENDARIETTO DI PERFIDIE
Professionalità. Il 26 aprile su Sky Uno, il filmato di Tony Bennett in studio mentre registra il suo formidabile CD di duetti. Aretha Franklin grintosa, Amy Winehouse (Body and soul) commovente, Lady Gaga spiritosa, Bublé, un po' troppo sinatriforme, Nathalie Cole, Norah Jones, altri. Arrangiamenti strepitosi, archi scritti benissimo, e una sezione ritmica impeccabile. Pura magia. Veri professionisti. Swing, sempre e comunque. E poi c'è anche Bocelli. Non si può dire che non sia un professionista, ma in quanto a swing, zero totale. Fanno insieme "Stranger in paradise". Quando canta Bennett, lo swing c'è, con Bocelli invece, si sprofonda nella pummarola di 'o sole mio.
Gioco di parole. Il 2 maggio all'Auditorium Parco della Musica: "Forte Piano - Le forme del suono". Ovvio il bisticcio fra il nome dello strumento e quello di Renzo Piano, autore del bellissimo spazio che ospita quell'eccezionale tris di sale da concerto che viste dall'alto sembrano tre grossi scarafaggi. Ma belli e, malgrado quello che dicono in molti, anche funzionali.
Indifferenza e poco altro, tranne naturalmente la bellezza del posto, il tepore della giornata e la luminosità del tramonto. Questo ci ha lasciato addosso l'inaugurazione. E' vero che il pubblico romano è pigro e disincantato, ma bisogna ammettere che l'evento che vi stiamo raccontando era del tutto evanescente, inconsistente, inesistente. Si trattava della diffusione di frammenti sonori attraverso altoparlanti piazzati qua e là. Abbiamo captato Benigni con i Fratelli d'Italia da Sanremo, lo squillo di telefoni vari, campane, canti liturgici, e altra paccottiglia acustica. L'intento narrativo (o forse scandalistico, se c'era) ci è insistentemente sfuggito anche se siamo rimasti a girare un bel po'. C'è da aggiungere che, magari a causa della crisi, il buffet era scarso: qualche nocciolina, qualche patatina, un po' di prosecco. Ci sono arrivati bisbigli tipo: "...soldi buttati" oppure: "tanto vanno in tasca ai soliti amici", eccetera. Non sappiamo. Ma siamo dell'opinione che i quattrini usati per smuovere la gente e portarla verso la cultura sono sempre ben spesi. Magari talvolta può risultare difficile distinguere fra cultura e presa per i fondelli. Ma questa è un'altra faccenda.
European Jazz Contest. Il 3 maggio al Music Inn di Roma, seduti abusivamente al tavolo della giuria, fra gli amici che invece ne facevano legittimamente parte (Mazzoletti, Intra, Mastruzzi) abbiamo seguito la prima serata di questo concorso di giovani jazzisti europei organizzato dal Saint Louis Music School, benemeritissima organizzazione romana. I gruppi in concorso erano cinque, uno meglio dell'altro. Ci ha impressionato la preparazione strumentale dei musicisti. Roba che la nostra generazione neanche se la sognava. Sul gusto e la personalità delle formazioni naturalmente il giudizio può variare, ma due elementi sono emersi a fine serata. Uno buono, l'altro meno. Il primo è che i nuovi gestori dello storico Music Inn, locale che ha visto passare negli anni tutto il meglio del jazz mondiale, per poi essere chiuso, quasi dimenticato e quindi risuscitato, sono riusciti a eliminare quella che era la nota più caratteristica del locale: la puzza. Ce la ricordiamo. Tremenda: di fumo, di muffa, di stantio. Adesso l'aria è balsamica ed è scomparsa anche la claustrofobia che prima prendeva allo stomaco. L'altro problema è la durata biblica delle esecuzioni. La più corta fra quelle ascoltate era quasi sette minuti, la più lunga venti. E' impossibile stare sereni e attenti tutto questo tempo, anche se il brano è bello e ben suonato. Vi ricordate quei simpatici pezzi a misura umana di una volta? Due minuti e quarantacinque, e via.
Direttrici d'orchestra. Il 4 maggio siamo andati alla Sala Accademica di S. Cecilia per un concerto diretto da Silvia Massarelli. Arrivati sul posto, il concerto era stato annullato. Pazienza, c'è rimasta la curiosità di ascoltarla. Continua a stupirci il bassissimo numero di donne sul podio. In compenso ci affiora insopprimibile un sorriso se pensiamo che una di loro, che ha raggiunto una certa notorietà proprio come direttrice femmina, si chiama Elisabetta Maschio! Scherzi dell'anagrafe, o il destino in un nome?
Scale alla Scala. Ci scrive un amico di Milano. Riferiamo la sua indignazione e manteniamo le sue maiuscole e i suoi punti esclamativi (non abbiamo aggiunto niente di nostro).
L'altro giorno ho portato la famiglia (nonni compresi...come diceva il Quartetto CETRA) nel caro vecchio palco della SCALA per il CONCERTO Gershwin, Chailly & Bollani. Con altre persone arriviamo davanti alla porta (chiusa) dove normalmente si trova l'ascensore, senza nessun cartello o informazione esposta. Solo dopo nostre ripetute insistenze arriva una maschera a dirci che L'ASCENSORE E' ROTTO! .....siamo alla SCALA di MILANO E L'UNICO ASCENSORE E' (a loro dire) MOMENTANEAMENTE INTERROTTO X MANUTENZIONE! Tutte le persone anziane che avevano prenotato i PALCHI del primo e secondo settore..... e ancor di più chi aveva prenotato le BALCONATE hanno dovuto FARSELA A PIEDI SULLE SCALE! Inutile dire i commenti degli SPETTATORI ITALIANI e ancor di più dei TURISTI STRANIERI riguardo allo stato delle strutture del Teatro nell'anno 2012!...... Ciao. Andrea
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