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Perfidie di Stefano Torossi

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Messaggi di Giugno 2012

Il Festival di Musicultura

 

IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

   25 giugno 2012

 IL FESTIVAL DI MUSICULTURA


     Macerata, bella piccola città delle Marche; c'è un notevole museo di pittura del novecento. Patria di Matteo Ricci (1552-1610), missionario gesuita in Cina e di Sante Monachesi (1910-1991), pittore futurista. E' curioso il fatto che gli antichi romani, quando incontravano un dislivello non si spaventavano. Prima rendevano tutto piano con enormi terrapieni e contrafforti, poi ci costruivano sopra. Dal medioevo in poi, finiti i soldi e il materiale, il mondo ha fatto un passo indietro. Perciò, come le altre città nate in quel periodo, anche Macerata è tutta scale e salite.

     Ogni anno a metà giugno qui avviene un fatto importante: il Festival di Musicultura. Ma importante a livello nazionale, secondo solo a Sanremo per il lancio di nuovi cantanti, con in più l'attenzione alla poesia (Leopardi era di queste parti).

     Dunque, il festival è diviso in tre: la parte spettacolare-mondana con ospiti normali e super, la sera nello Sferisterio; quella più intellettuale e minimalista, che si chiama la controra, nel pomeriggio in assolati cortili dove fa di solito molto caldo, e si ha di solito molto sonno perché la sera prima si è fatto molto tardi; e la gara dei ragazzi. Una parola sul magnifico Sferisterio, grande semicerchio all'aperto con un immenso palcoscenico addossato a un alto muro di mattoni, e tre livelli di palchi che formano un ventaglio intorno a una vasta platea d'erba. Magnifico davvero.


     La controra. Arriviamo il venerdì pomeriggio, e ci precipitiamo al primo appuntamento nel cortile del municipio: una poetessa siriana che ora vive in Europa, Maram al-Masri. Belle poesie, ben recitate, ma la delizia di questa donna è quando racconta il suo primo gesto di libertà appena scappata dalla costrizione islamica. Si compra una bicicletta e ci va in giro. Nel suo paese una donna non può andare in bicicletta perché, ascoltate bene, il veicolo è innocente, ma sopra c'è il sellino, ed è lì che si nasconde il diavolo. Come mai? Ma è chiaro: il sellino è troppo vicino alle parti intime delle signore; e allora, niente bici per loro. No comment. Ma c'è un seguito, continua lei con la più grande innocenza. Nella città europea in cui vive ora, le hanno rubato una dozzina di sellini. La bici no, i sellini, sì...forse un integralista, forse un feticista, come va smaliziando Ennio Cavalli, poeta e curatore letterario della controra.

     Altro cortile, sempre caldo, dove, punzecchiato da Michela Pallonaro, un altro ospite si espone. Si tratta di un personaggio che ci è sempre stato antipatico per la sua goliardia toscana, per quel testone esagerato che ha. Invece, sorpresa; il mascherone è in realtà garbato, spiritoso, e soprattutto, cosa che da sempre ci attrae, leggero. Bene, abbiamo recuperato Alessandro Benvenuti al nostro archivio personale.

     Sabato. Mark Strand, poeta americano (e strafico alla Gary Cooper nella fotografia sul programma), in realtà, just an old man, come lui stesso riconosce, pur ammettendo la civetteria della foto di vent'anni prima. Ottimamente scortato dal suo traduttore Damiano Abeni e squisitamente accompagnato da Concia Lucente, madrina della manifestazione dall'inizio dei tempi, Strand legge le sue belle poesie grondanti sconsolazione e morte, però anche, e può sembrare insensato, humour.

     Domenica il pezzo forte: Paolo Villaggio. Molto pittoresco. Avvolto in un abbondante kaftano lungo fino ai piedi, con elegante giacca di lino bianco, fa il nonno un po' svanito, borbotta, finge di dimenticare le domande, o forse le dimentica davvero, cambia argomento cento volte e non arriva al punto, ma poi alla fine rimane quel bravo raccontatore che conosciamo. Anche se questa sua caratterizzazione da vecchio cinico un po' rinco comincia a essere ripetitiva.


     La gara. I ragazzi in concorso aprono le tre serate allo Sferisterio. Ci sembra che abbiano vinto quelli che hanno identificato meglio il bersaglio da centrare: il gruppo L'Orage. Ci sono stati momenti di tesa incertezza prima della finale, e dobbiamo confessare che avremmo preferito qualcun altro. Privi fortunatamente di ogni potere, non ci è riuscito di fare danni appoggiando proposte troppo ricercate o snob. Perché questa, come da sempre dimostra il voto, è una gara popolare.


     Gli ospiti. Via con la mondanità. Ore 21.30, seduti in prima fila nello spazio davvero speciale dello Sferisterio, con un Negroni ben ghiacciato che come per incanto ci troviamo in mano un attimo prima dell'inizio. Questa si chiama ospitalità.

     Prima serata: De Gregori con chitarra e armonica al collo. L'impressione, con tutto il rispetto per il personaggio che ormai è storico, è che quel sound (e quel cappello) siano ormai fuori tempo massimo.

     Seconda serata: molto pane per i nostri denti avvelenati. Un Pino Daniele, talmente superlativo alla chitarra che dovrebbe finalmente decidersi, per il nostro e il suo bene, a smettere di cantare e dedicarsi solo allo strumento. Poi arriva Pacifico, e qui il nostro vicino di poltrona, con inconfondibile accento marchigiano, sibila: "Quello non è pacifico, è moscio". E finalmente Fabio Concato. Concato, noi lo amiamo. E' bravo, raffinato, intelligente, canta e compone bene. Ma dovevate vederlo. Siamo tutti d'accordo, credo, sul fatto che salire in palcoscenico significa partecipare a una cerimonia. E quindi ci si deve vestire in modo appropriato. Anche esagerato, intendiamoci (Villaggio col kaftano), basta che sia il risultato di un progetto, e non del caso. Il nostro artista, che non è aiutato dalla gioventù, a cui tutto è permesso (basta un'occhiata ad alcuni dei ragazzi in concorso; zozzi e trasandati fanno comunque simpatia), o da un fisico particolarmente generoso, si presenta che neanche un pulitore di cantine. Un vecchio giubbottino che, siamo sicuri, era brutto anche da nuovo, una magliettaccia con esposizione di collo rugoso, un pantalone rossastro stinto e sbracalone, occhialetti scuri da cieco. E per concludere, una bottiglietta di acqua, aperta, che ha tenuto in mano tutto il tempo, tristissima coperta di Linus. Alla fine dell'esibizione un inappuntabile Frizzi in completo scuro e cravatta, gli restituisce garbatamente il tappo rimastogli in tasca (a Frizzi).

     Terza serata: niente da punzecchiare. Premiazione, baci e abbracci. E' andato tutto bene. Al prossimo anno.

     Non finiremo così bruscamente la nostra cronaca senza parlare delle cene dopofestival. Appuntamenti ben congegnati dentro un meccanismo di accoglienza impeccabile, che radunano in situazioni piacevolmente enogastronomiche tutti: artisti, organizzatori, sindaco e assessori. I quali, stanchi, qualcuno deluso, ma comunque con addosso quella sensazione di lavoro ben fatto che gratifica chi ha contribuito a creare lo spettacolo, si rilassano, si incontrano e si conoscono.  Che la cosa funziona è chiaro dalla durata degli eventi. Domenica sera, anzi lunedì mattina siamo tornati a casa all'alba.



                      

 

 

 
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Note dal sottosuolo

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

     18 giugno 2012

   NOTE DAL SOTTOSUOLO


       Note dal sottosuolo. Tre piani sottoterra a Via Fracassini c'è lo IALS (Istituto Addestramento Lavoratori dello Spettacolo). E' una discesa agli inferi. Si sprofonda lungo una rampa, e giù ci sono le sale in cui si esercitano a ballare, cantare e suonare dilettanti e professionisti. L'atmosfera è da "Saranno famosi". Bassi che rimbombano nell'aria, e passi che percuotono i pavimenti. Ragazze sudate, giovanotti eccitati e un'aria di lavoro e di vivacità che fa bene al cuore. Ti fa pensare che il mondo dello spettacolo è fatto non solo di sciacquette o vecchi tromboni, ma di gente che suda otto ore al giorno. Il padre di questo miracolo italiano, ormai più che maggiorenne (il miracolo; e anche lui, per la verità), è Mimmo del Prete, un ballerino, anzi, come ci tiene a definirsi sindacalmente, un tersicoreo, che ha fatto tutta la TV da Studio Uno in poi. La sera di martedì 5 giugno eravamo nella sala tonda, alle prove della IALS Big Band diretta da Gianni Oddi. Un porto di mare, la chiama lui, a cui attraccano quando sono in zona tutti i migliori solisti della scena. Sempre nella rigorosa formazione tradizionale di cinque ance, quattro trombe e quattro tromboni, più ritmica, e naturalmente lui, Oddi, virtuoso di soprano e contralto, nonché direttore e arrangiatore. In repertorio tutti gli standard dei musical americani, ma anche brani nostrani: Canfora, Ferrio, Trovaioli. Ci siamo riempiti le orecchie con il miele dei vecchi arrangiamenti anni quaranta e cinquanta, e degli altri più moderni, ma sempre puntati verso quello swing meraviglioso, così tipicamente americano, che noi nostalgici continuiamo a inseguire per indennizzarci di tutto il rock che ci è toccato ingollare da allora a oggi.


      Restauri. Mettiamo che finalmente, dopo aver passato tutta una calda giornata di un umido giugno in città, in giro per le strade in motorino, spesso fermo nel traffico, spesso in fila dietro un autobus fumoso, uno arriva a casa, sudato e ben coperto da quella speciale patina scura e unta che si accumula sulla pelle in queste circostanze. Cosa ci può essere di più bello di una bella doccia? Invece ecco che si fa avanti il comitato dei vicini: "Eh no, caro signore! La sua bella doccia cancellerebbe i segni del tempo, e della sua storia personale. Niente doccia!" Ecco, questa potrebbe essere (intendiamoci, è una parabola, anche un po' scema) la storia del restauro, oggi, dei capolavori di ieri. E' già successo con la Cappella Sistina. Ricordate? Anni di lavoro, miliardi di spesa, e quando, eliminati i fumi di quattro secoli di candele e altre porcherie atmosferiche (la famosa patina di chi gira in motorino), gli affreschi sono riapparsi con i loro colori originali, "Eh no! Cosa sono questi azzurri squillanti? Figuriamoci se Michelangelo dipingeva così". Adesso sta nascendo la stessa polemica su un progettato restauro, o più precisamente pulizia della Gioconda. Apriti cielo. Anche qui la stessa stupida storia. I segni del tempo vanno rispettati, eccetera, eccetera. Il nuovo fa paura a quasi tutti, lo sappiamo, ma un'iniziativa per togliere la muffa dei secoli, quella sì che provoca il panico!


     Cipolla architettonica. Ma perché ogni due pagine di cronaca torna fuori l'abbattimento del muretto che separa l'Ara Pacis dal lungotevere? L'accusa che sentiamo più spesso ci sembra anche la più stupida. Eccola: perché quel muretto impedisce agli automobilisti che sfrecciano sul lungotevere di vedere le facciate di due chiese: S. Gerolamo degli Schiavoni e S. Rocco. A questo punto noi ci chiediamo che importanza può avere per l'autista di un furgone in ritardo, o per un tassista incattivito dal traffico vedere due facciate barocche in velocità.  Se mai è una distrazione pericolosa. Mentre invece per chi sta tranquillo a passeggiare nella zona pedonale sottostante, o seduto sui gradini della fontana, quel muretto, fra l'altro formato da bellissimi conci grezzi di travertino, è una benedizione, perché permette per l'appunto di non vedere le auto che si affannano sul lungotevere, e in più, tiene lontano l'angoscioso rombo del traffico. Forse è ancora e sempre la paura del nuovo. A noi questa storia non sembra così scandalosa: un glorioso monumento romano, l'Ara Pacis, è da qualche anno protetto dentro un edificio semplice e moderno (a cui appartiene il famoso muretto), inserito in una piazza circondata da costruzioni del 1942 in stile razionalista, con al centro un rudere di duemila anni fa, che nel tempo era stato coperto, e poi ripulito, di sovrapposizioni medievali e rinascimentali. Insomma, una vera e propria cipolla architettonica. E adesso, per una sola sfoglia di questa cipolla, per un muretto, tutta questa gazzarra? Ridicolo.



                                        

 


 
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Santa Cecilia e poi basta

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

  11 giugno 2012

   SANTA CECILIA E POI BASTA


     Santa Cecilia e uno! Oggi, lunedì 4 giugno possiamo dichiarare che la realtà supera la fantasia, che non c'è mai fine allo stupore, ecc. E che il Cavalier Serpente potrebbe trasferire la sua redazione a Via dei Greci 18. Sì, la sede del Conservatorio di Santa Cecilia. Come mai insistiamo tanto, vi chiederete? Ecco. La lunga storia degli appuntamenti disdetti, che sembrava arrivata al top con l'annullamento del concerto di Tramoni il primo giugno (ne abbiamo parlato con un certo stupore la settimana scorsa) non è finita. Oggi, 4 giugno, gambe in spalla e via, implacabili e ostinati, con destinazione Sala Accademica per l'annunciato concerto di musiche da film, sempre per la rassegna "Musica a Roma...per Roma". Morricone, Piovani, Rota; Orchestra del Conservatorio.  A ogni passo un diavoletto ci importuna: "Vedrai che pure oggi non lo fanno. Troveranno un'altra buona scusa". Beh, siamo arrivati all'ingresso e ci siamo scontrati con una consistente folla di ragazzi dell'orchestra, strumenti in spalla, e di spettatori con la faccia scura che uscivano. Inevitabile richiesta di informazioni al custode, il quale, testuali parole: "Er concerto è annullato pe' le vittime della prima scossa. L'hanno tenute in frigo fino a ieri, e oggi je fanno er funerale". Aspettiamo con un brivido di curiosità, anche un po' morbosa, il prossimo appuntamento.


     Santa Cecilia e due! Mercoledì 6 giugno. Stavolta la Santa inadempiente ci ha fregato. Il programmato concerto ha avuto regolarmente luogo. Anzi, è pure cominciato puntuale e ci ha proposto un Brandemburghese bene eseguito dall'orchestra degli allievi diretta da Giuseppe Lanzetta, un doppio concerto di Bach con i due violini solisti un po' stonati, di cui non faremo i nomi, un Vivaldi con un violoncellista, di cui invece il nome lo facciamo perché sembra uscito dalle mille e una notte: Mehdi Baba-Ameur; e per finire, finalmente uno bravo, il pianista, Marco Clavorà, che ha ben suonato il Primo di Liszt, presentandosi in mezzo a tutti gli strumentisti correttamente vestiti di nero in una tenuta candida. Bell'effetto, visivo e acustico. Comunque l'impressione è positiva. Sono allievi, e i difetti possono essere corretti. La scuola funziona. Abbiamo ancora un appuntamento venerdì con Silvia Massarelli, una delle poche direttrici d'orchestra in circolazione. Per il buon nome dell'Istituzione, speriamo che tutto funzioni a puntino; per il nostro gusto velenoso non ci dispiacerebbe qualcosa di forte. Vedremo.


     Santa Cecilia e tre! Funziona tutto. Anche oggi, venerdì 6, niente sorprese. Ci sediamo. Una signora ci porta il programma del concerto ancora caldo di fotocopiatrice e un secondo dopo ecco il gesto imperioso di Silvia Massarelli che comanda l'attacco della Ouverture Egmont. Il brano fracassone è uno dei pezzi più brutti di Beethoven. Poca poesia e pesantezza germanica. Per fortuna, subito dopo passiamo alle luminose impressioni mediterranee dell'Adagio con variazioni per violoncello e orchestra di Respighi. L'orchestra fila bene, trillano i flauti, cantano gli oboi. Ma da qualche parte c'è un gatto che miagola. Ben presto scopriamo trattarsi del violoncello solista Idlir Shyti.  Era molto tempo, malgrado la nostra assidua frequentazione delle sale di tutti i livelli, che non sentivamo uno strumentista trattare con tanta disinvoltura l'equo temperamento. In alcuni momenti è riuscito a trascinare nel gorgo l'intera orchestra. Ci è sembrato che le uniche note giuste da lui prodotte, fossero un paio di armonici (con cui è davvero impossibile sbagliare). Ripetiamo, è una formazione di studenti, non si deve pretendere troppo, ma sull'intonazione, insomma... Il brano successivo (suite da l'Arlesiana) è esploso in tutti i suoi colori resi bene dalla Massarelli e dall'orchestra.

       Qui finisce il tormentone. Di Santa Cecilia non ne parliamo più.

                                   




 

 
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Ecclesiastiche riflessioni

 

 

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

4 giugno 2012

   ECCLESIASTICHE RIFLESSIONI


     Sant'Agostino. Nella chiesa di Sant'Agostino c'è una statua che esce dalla sua cornice. E' il barocco al massimo della sua spettacolarità. Transetto sinistro, cappella di S. Tommaso da Villanova. Il gruppo marmoreo, di Ercole Ferrata, esce dalla nicchia e scende sull'altare. Il Santo, mollemente avvolto nella sua sontuosa veste con la mitra in testa si sporge e si illanguidisce in una posa un po' da checca mentre lascia cadere una moneta nella mano tesa di una mendicante, bellissima e ben vestita, in piedi su una mensola più bassa e fuori della nicchia, con un bambino attaccato a un seno perfetto, anzi marmoreo, che neanche miss Italia. Sappiamo che all'epoca i poveri erano tutti una crosta e ricoperti di stracci. L'impressione è di un paternalismo (inconsapevolmente?) offensivo da parte della chiesa, committente dell'opera, non dimentichiamolo, che paga per un'esibizione della propria benevolenza. Insomma, propaganda di potere. Il risultato estetico è naturalmente sublime. Il resto non conta, è passato troppo tempo.


     San Luigi dei Francesi. Molto Disneyland ma efficace il recente restauro della chiesa di San Luigi dei Francesi, dove eravamo il 22 sera per il quarto concerto del festival "Le cinque perle del barocco" organizzato nelle chiese francesi di Roma. Una serata con la Simphonie du Marais. Musiche di Charpentier, Corelli e altri. Ottimi esecutori. Ottima resa acustica nello spazio delle navate che come sappiamo mortifica le grandi formazioni strumentali, ma ha esaltato, con una amplificazione naturale, le voci, i due oboi/flauti dolci, la viola da gamba e il clavicembalo dell'organico. 

     Tutto è ripulito e i marmi splendono. L'illuminazione, finalmente, e noi da sempre insistiamo sull'argomento, è studiata per non abbagliare, ma anzi per creare zone chiare in alto, un richiamo verso il supremo, lasciando nella penombra i fedeli che possono alzare gli occhi senza essere accecati da fari puntati stupidamente verso il basso, proprio contro chi guarda. La trovata da Oscar è l'altare maggiore, un trionfo di marmi, pitture e stucchi bianchissimi su cui è orientato un gioco di proiettori che cambiano colore morbidamente, dal viola al giallo al blu, creando quel tanto, come dicevamo all'inizio, di hollywoodiano, inedito dalle nostre parti, ma che ci è piaciuto. In fondo, perché non portare un po' di showbiz anche in chiesa? Con questa aumenta il numero delle illuminazioni ben riuscite a Roma. Che sono, oltre a San Luigi dei Francesi, Santa Maria dell'Anima, tedesca, Santa Maria di Monserrato, spagnola, e finalmente anche una chiesa italiana, Sant'Agnese in Agone. Ce l'abbiamo fatta pure noi. Meno male.

 

     Santi Andrea e Claudio dei Borgognoni. Giovedì 24 maggio, stesso festival. Serata finalmente tiepida. Prima siamo passati a corroborarci con un paio di ottimi cocktail Martini al Bar Stravinskij, poi, assai ben disposti, siamo entrati in questa bella piccola chiesa barocca per un concerto di musiche di Carissimi (1605 -1674) dell'Ensemble Energeia. Di nuovo lo stupore che sempre ci prende nel confrontare due manifestazioni artistiche contemporanee, eppure così sfalsate nel tempo. L'architettura della chiesa, un pieno barocco senza eccessi, ricco di tutti gli equilibri di un'arte matura e completa, a confronto con la musica, esattamente dello stesso periodo, che invece è ancora quasi nella sua preistoria. Certo ha in sé i germi di quello che succederà dopo, ma intanto è un balbettio di melodie elementari, di armonie scarne, di strumenti dal suono e l'intonazione incerti. L'architetto Bernini è in piena attività. Per avere il musicista Bach dobbiamo aspettare ancora mezzo secolo. In eventi del genere è doppia la sensazione che colpisce noi spettatori: la commovente ed entusiastica devozione con cui questi musicisti speciali (che mai diventeranno ricchi e famosi come rockstar) compiono il rito dell'esecuzione, e la stizzosa intolleranza dei frequentatori più duri e puri che non sopportano neanche un respiro dal vicino di sedia o di banco. Più piccola è la nicchia, più fanatici sono i talebani che la occupano, questo lo sappiamo, ma i musicofili normali talvolta perdonano, i cultori della "musica antiqua", mai.


     PS. Ultime notizie. Ancora santi! E' ufficiale. Per ridere non c'è più bisogno di andare al Circo Togni. Basta il Circo Santacecilia. Una spiegazione? Eccola. Per la sesta o settima volta, perché siamo testardi, ci facciamo una passeggiata fino al Conservatorio di Santa Cecilia, dove oggi, primo giugno è annunciato un concerto del pianista Piero Tramoni con un programma tutto di Liszt. Beh, non ci crederete, perché la faccenda supera il grottesco, anche oggi il concerto è annullato! E la motivazione? Solidarietà con gli emiliani terremotati. Il fatto è ufficializzato da un foglietto un po' polemico  sulla porta d'ingresso, evidentemente compilato dal solista offeso. Lo abbiamo copiato; eccolo: "Piero Tramoni, pur solidale con la triste situazione in Emilia, comunica che il proprio concerto di questa sera è stato annullato (e da qui in poi, scritto in maiuscolo) PER DECISIONE ESCLUSIVA DELLA DIREZIONE". Non capiamo in che modo questa decisione possa giovare ai terremotati. Magari sarebbe stata un'idea chiedere agli spettatori un'offerta da mandare a quei poveretti. Ci sono tornati in mente i nostri giorni lontani da studenti, quando ogni evento, politico o no, era un'ottima scusa per andarcene a spasso: Trieste da restituire all'Italia (parliamo degli anni '50), l'occupazione dell'Ungheria. Insomma: lutti, alluvioni, catastrofi, tutto era buono per saltare le lezioni. Evidentemente siamo rimasti gli stessi di allora. Immaturi.



                                        

 
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