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Perfidie di Stefano Torossi

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Messaggi di Febbraio 2013

Pausa elettorale

Post n°208 pubblicato il 25 Febbraio 2013 da torossis

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

    25 febbraio 2013

 PAUSA ELETTORALE

 

     Per evitare di essere calpestato dagli zoccoli di tutte quelle pecore che ondeggiano alla ricerca del pastore che grida più forte, il Cavalier Serpente si vede costretto a rimandare la deposizione del suo uovo avvelenato alla settimana prossima.

     E nel frattempo rifugiarsi nella sicurezza (?) della cabina elettorale.

 

 

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Sanremo 2013, il diario

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

   18 febbraio 2013

   SANREMO 2013, IL DIARIO


MARTEDI'

Dunque: le facce quasi spaventate dei coristi di Verdi, e più tardi quelle terrorizzate dei coristi dell'Armata Rossa, anche perché, per loro, una stonatura e il viaggio di ritorno diventa probabilmente un nonstop Sanremo-Siberia.

Gli occhioni sgranati di Mengoni, subito seguiti da quelli di gazzella di Marco Alemanno, con l'inevitabile applauso al fu Lucio Dalla, che fa il patetico paio con il "Ciao Mimmo!" strappacuore di Cotugno.

Gualazzi coraggiosamente offre il proprio cognome alle rime minacciate poco prima dalla Littizzetto, discola per contratto. Che quella rima non l'ha ancora usata, ma di trombare ha già parlato, come della cacca dei cavalli del suo cocchio.

Ci siamo sentiti molto solidali con il povero Crozza, il quale, malgrado tutta la sua esperienza, a un certo punto è stato colpito dalla salivazione azzerata spesso evocata da Fantozzi, mentre i rompiscatole dal pubblico lo importunavano. Bravo Fazio con il suo bonario ma efficace intervento.

Maria Nazionale ci ha portati dritti dritti alla festa del boss, vibrato napoletano, abito rosso ed espressioni di intenso patetismo comprese. Niente di male: la canzone napoletana è anche così.

E per finire la malinconica, e soprattutto noiosa esibizione di quei due tristissimi signori venuti ad annunciare al mondo, attraverso dei cartelli, che per sposarsi dovevano andare fino a New York. Va bene la difesa dei diritti gay, ma, visto che tutta questa faccenda, troppo lunga, e con l'aggravante di un pianoforte moscissimo in sottofondo, si è svolta in scena, tanto valeva lasciarglielo dare lo sbandierato e poi rientrato bacio coniugale. Anzi, a noi non sarebbe dispiaciuto vederli fornicare sul palcoscenico dell'Ariston. Un po' di horror, no?


MERCOLEDI'

Guardando questa seconda puntata siamo arrivati a una ponderata conclusione: la vera protagonista del Festival è la scala. Quella meravigliosa scala nera, giù per la quale scendono le belle ragazze e gli ospiti; che poi si scompone: i gradini si snodano a destra e a manca e si divincolano in alto. E il tutto diventa una grande mascella di squalo dalla quale vengono sputati i concorrenti. Una bella macchina e una bellissima scenografia.

Apre Beppe Fiorello, che è un bravo attore, e canta pure bene, ma esagera con una troppo lunga serie di cover di Modugno, con addosso la giacca di Mimmo, che poi restituisce insieme a una lacrimuccia alla vedova. E' chiaramente un traino alla fiction in programmazione a giorni.

La Littizzetto è sempre discola, ma più simpatica e scorrevole di ieri accanto a un Fazio sempre uguale, che le fa da camomilla. La coppia perfetta.

I lettori più anziani ricorderanno i compagni dei giochi in campagna: conigli e gatti d'angora, riconoscibili per gli occhi rosa. Cristicchi, spesso inquadrato in primissimi piani con due occhi proprio così, ha stonato e sfiatato in un pezzo noiosissimo.

Stesso tipo di emozione regalataci da una signora molto più piacente ed elegante, venuta subito dopo a bisbigliare in francese un brano di sconcertante sciocchezza, aggravato da un accompagnamento alla chitarra tanto minimalista da risultare inesistente. Una certa Bruni Carla in Sarkozy.

Ciliegina gay con la canzone (ok) di Renzo Rubino.

Bellissima voce e orribile taglio di capelli dell'israeliano Asaf Avidan.

Gran finale con lo stesso Fiorello dell'inizio, e ancora una cover dello stesso Modugno.

Il pericolo di queste serate è che uno le segue da casa, in comode poltrone, con accanto un bicchiere sempre vuoto, ma anche sempre pieno. In quattro ore se ne vanno bottiglie intere.


GIOVEDI'

Mitridatizzazione: da Mitridate, re del Ponto, il quale, per immunizzarsi contro possibili avvelenamenti, prendeva ogni giorno una piccola dose di tossico, fino ad abituarsi e renderlo innocuo.

E' la terapia a cui ci hanno sottoposto i due sciagurati in apertura di serata cantando insieme Trottolino Amoroso. E bisogna dire che ha funzionato perché, veramente, dopo quell'ascolto non poteva capitarci niente di peggio.

Anche se:

1.      La telecamera oggi, ieri e l'altro ieri ha troppo insistito sui primi piani del chitarrista in orchestra, un bravo musicista, ma di aspetto, portamento ed espressioni funeree, e senza mai il sospetto di un sorriso.

2.      Elio, in disaccordo con la critica e i giornali, continua a non sembrarci quel genio della musica che tutti dicono, ma solo un divertente furbacchione.

3.      Durante il monologo della Littizzetto, invece di normali risate o reazioni umane, dal pubblico parte spesso il solito applauso televisivo, ben freddo, che gela il ritmo del discorso. A noi è piaciuto come è riuscita a eliminare ogni venatura equivoca, lasciando intatto il suo semplice significato letterale alla parola "stronzo" (un uomo che picchia una donna è solo uno stronzo).

Bella la faccia di Baggio, funestata da una di quelle schifose barbette (per intenderci, alla Ascanio Celestini, ma più scarsa), che fanno pensare, più che a un mento, a un pube spelacchiato. E carino lui con il suo impegno sociale. Il problema? La lettera troppo lunga e patetica, letta senza un minimo di distacco. In fondo siamo a un festival, non a una riunione di lupetti.

E poi quel grosso frolloccone in poncho: Anthony and the Johnsons (ma chi sono, e soprattutto, dove stavano nascosti questi Johnsons?), presentato come la voce del secolo. Mah. Dopo il suo banale pippone ecologico-femminista, durante il quale abbiamo intravisto Fazio piuttosto insofferente, ci è sembrato solo un gran maleducato, che se ne è pure andato senza salutare.

In chiusura, bis dell'inizio: di nuovo il Trottolino, e buonanotte.


VENERDI'

Ci siamo arrivati finalmente, al cimitero degli elefanti.

Lo si capisce dal frequente applauso funebre ogni volta che si nomina un illustre dipartito. Lo diciamo naturalmente con tutto l'affetto per le persone (molti vecchi amici). E' un po' come all'uscita di chiesa della bara. Un'abitudine che non ci piace un gran che. Nell'ordine, sono stati omaggiati: Dalla, Pavarotti, Tenco, Buongiorno, Bardotti e Mia Martini. R.I.P.

Se fossimo nei panni di Pippo Baudo, che all'apparizione (da vivo) ha ricevuto una standing ovation, cominceremmo a preoccuparci. Ne riparliamo dopo.

Nuovi primi piani sul chitarrista funereo, solo che stavolta era alla mandola.

Delle riesumazioni ci ha colpito positivamente "Tua" per il bell'arrangiamento e la chitarra di Franco Cerri, uno dei tanti vecchietti della serata, un po' vacillante sulle gambe ma sempre swingarolo. Alla fine del pezzo, Fazio, lo ha riconsegnato al duo Molinari-Cincotti con un: "Prendetelo ...anzi, accompagnatelo voi, il maestro Cerri" Un pacco, ecco cosa si diventa a un certo punto.

All'inaugurazione della statua di Mike, troppi, inutili e sgarbati i primissimi piani su un devastato panorama che sarebbe stato meglio nascosto da una veletta. Parliamo del volto alieno della vedova Buongiorno.

Torniamo a Pippo. Finalmente bianco e ingrassato. Lui non è un vecchietto. E' un vecchione, addirittura ingombrante con la sua presenza monumentale. Non ha dato spazio a nessuno. Certo, al dittatore giubilato non competono né ironia né leggerezza. Forse sottolineare la sua pesantezza è esagerato, e magari snob, ma c'era, e si è sentita.

Quanto è invece simpatico, spiritoso, leggero e intelligente alla tastiera Stefano Bollani! Se fosse anche bello, saremmo tutti schiantati dall'invidia.

E per finire, un altro nonnino, delicatino, fragilino, con tutto il suo mito. Caetano Veloso ha cantato con un filino di vocina, sufficiente finché è rimasto nel genere brasiliano. Quando ha attaccato Volare, questo filino ci è sembrato davvero troppo striminzito.

Poi, presto tutti a dormire, che la casa di riposo chiude.


SABATO

Si apre con cavalcata delle Walkirie e marcia dell'Aida. Daniel Harding dirige guardando in cima al muraglione, dove sono appesi i suonatori. Fazio lo ringrazia più volte con deferenza per la sua presenza a Sanremo, neanche fosse il dio della musica colta (anzi d'arte, come la chiama lui) sceso in mezzo alla spazzatura. Come mai tanta umiltà? Non sarà mica venuto gratis?

Di nuovo ci siamo sentiti in imbarazzo per un comico. Stavolta Bisio. Stentato, tutto in salita, molto qualunquista, faticoso da seguire, spesso volgare, giustamente ignorato dal pubblico e comunque troppo lungo. Bocciato.

E poi Bocelli, un caso estremo di disperata mancanza di swing. Ha massacrato, di sicuro senza rendersene conto, "Love me tender" e "Quizàs, quizàs, quizàs". Questo dello swing è un ostacolo capace di far finire qualunque musicista in un vicolo cieco.

Oops!



                                          

 

 
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Parole, parole, parole

 

 IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

      11 febbraio 2013

   PAROLE, PAROLE, PAROLE


Il Teatro Argentina è costruito sopra le rovine del Teatro di Pompeo, uno dei più sontuosi edifici dell'antichità. Qui a Roma, negli ultimi duemila anni si è andati avanti così. Teatri sopra i teatri, ponti nuovi sopra quelli vecchi, chiese sopra i templi. S. Nicola sopra Giano, la Madonna sopra Minerva, e via sostituendo.

Il 5, nel pomeriggio, eravamo alla Sala Squarzina dell'Argentina per la presentazione del bel libro su Regina Bianchi di Maricla Boggio.

Ancora una sbirciatina all'architettura prima di procedere. La Sala Squarzina è uno dei più orripilanti esempi del gusto anni '70. Sgraziatissima nelle proporzioni (come un altro ambiente di cui vi parleremo fra un attimo), perché troppo lunga, stretta e alta, è stata notevolmente peggiorata con la ristrutturazione. Ha un pavimento mortuario di marmo biancastro lucido, quattro enormi e incombenti grappoli di palle luminose, lampadari esagerati, tutto un lato aggravato da tre ballatoi sempre più sporgenti verso l'alto, con ringhiere di spirali metalliche che fanno pensare a un penitenziario, e l'altra parete infilzata da frammenti di mascheroni recuperati dal sottostante teatro romano, di bellissimo marmo di Carrara, che in tutto quell'orrore sembra polistirolo di Cinecittà.

L'altro ambiente, sopra citato, che aveva in partenza gli stessi squilibri di dimensione (troppo lungo, stretto e alto) è la Cappella Sistina, ma abbiamo la sensazione che, certo grazie all'impiego di maestranze più qualificate, il problema sia stato risolto meglio.

Torniamo alla presentazione. In tavola una portata di bei nomi: Ugo Gregoretti, Gabriele Lavia, Italo Moscati, che ha moderato e condotto efficacemente (qualche volta costretto a richiamare alla brevità un chiacchierone fuori controllo) l'incontro, e Mariano Riggillo. Oltre all'autrice, naturalmente, la più sobria di tutti nel parlare.

Ugo Gregoretti ha fatto ancora una volta sfoggio della sua arguzia infinita, dell'inesauribile aneddotica, di un uso di accenti e articolazione da vero attore, e di una sempre crescente civetteria nel portare l'età a scusante di qualche dimenticanza. Ha innescato un serpeggiare di risate quando ha ammesso il proprio rincoglionimento (testuale) di ultraottantenne. E' uno dei pochi in circolazione che riesce a non essere mai noioso.

Altri interventi hanno aperto uno spiraglio su ciò che si scatena quando si dà il microfono a qualcuno del mondo dello spettacolo: il soggetto puntualmente apre con parole di lode per il collega o per l'opera in corso di celebrazione, per scivolare più o meno abilmente, ma implacabilmente, nel tema sul quale più di ogni altro è preparato: sé stesso.

Si è anche manifestata, appena camuffata, qualche forte spruzzata di insofferenza verso la vicenda ormai decotta del Valle occupato da più di un anno. Quando la rivoluzione mette le pantofole comincia a fare la muffa.

E poi c'è stato l'assolo di Gabriele Lavia. Un parlare pomposissimo con pause di esagerata estensione e di incongrua collocazione, usate, ci sembra, solo per creare un'aura di intellettuale compiacimento. Un'amica attrice, dalla sedia accanto ci ha bisbigliato che nell'ambiente le chiamano, per quanto sono vuote, le pause in cui si sentono passare i treni.

A noi invece hanno fatto venire in mente un famoso personaggio di Verdone: quel ragazzone mezzo suonato che ogni tanto si ferma a metà del discorso, rovescia gli occhi verso l'alto e annaspa in silenzio per riacchiapparne il filo.

Il libro su Regina Bianchi? La presentazione è stata interessante. Adesso lo leggiamo, e poi ve ne parleremo. Naturalmente dopo Sanremo, l'evento che sta per invadere le nostre vite per quasi una settimana.

Speriamo di farcela. A sopravvivere.


P.S. Appena in tempo. Stamattina, domenica 10, insieme al cappuccino ci arriva il paginone di Repubblica con una grande intervista a Gregoretti, di Antonio Gnoli, da dove vengono fuori ancora meglio tutte le sue arguzie, le ironie, e le spudorate verità a cui abbiamo accennato alcune righe fa. Ci è piaciuta. Un po' meno il ritratto firmato da Mannelli, di solito eccellente illustratore e captatore dello spirito dei suoi soggetti, che questa volta, forse con l'intenzione di evidenziare la malizia di Gregoretti, deve aver sbagliato qualche linea, perché (guardate bene il disegno) le sopracciglia e gli occhi dietro le lenti anziché arguti a noi sembrano cattivi. Forse ci sbagliamo, ma ci pare di no.

 

 

 

 

 
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A volte ritornano...

 

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

 4 febbraio 2013

   A VOLTE RITORNANO...


Cominciamo con il cinema. Lunedì 28 gennaio, all'Associazione Autori Cinematografici si proietta "I delfini" di Citto Maselli, un film di cinquantatre anni fa. E' una perfida storia di provincia con finale amaro, molto ben scritta e girata. Ma anche datata nella recitazione, nelle teste cotonate delle ragazze, Claudia Cardinale e Antonella Interlenghi, tanto belle quanto cagne, nell'esagerazione antipatica di Tomas Milian, nella liscia inespressività di Sergio Fantoni.

Per noi l'evento nell'evento è la presenza in sala dell'amico Domenico Colarossi, il quale, proprio in quell'epoca fece il botto con il pezzo "What a sky", inserito nella colonna sonora, e diventò Nico Fidenco. Ci ha raccontato il decollo, immediatamente dopo l'uscita del film, del suo 45 giri, che aveva sul lato A la versione inglese della canzone e sul B quella italiana. E l'atterraggio in cima alla classifica distaccando di un centinaio di migliaia di copie "Banana boat" dell'allora superfamoso Harry Belafonte.

Brivido d'orgoglio, e uno a zero per l'Italia.

E bella sorpresa per lo stesso Citto Maselli, firmatario del testo italiano, che ancora adesso gongola quando ricorda l'assegno arrivatogli dalla SIAE a fine semestre.


Passiamo alla musica. Ventiquattrore dopo, martedì 29, alla Sala Petrassi del Parco della Musica, altro appuntamento, sempre con un occhio al passato, e in ballo un altro nome famoso: Domenico Modugno. Spettacolo sponsorizzato dall'Avis e condotto da Gianni Davoli, durante il quale, il Cavalier Serpente se avesse avuto le mani non avrebbe smesso un momento si fregarsele.

Andiamo a cominciare. Annunciati sul comunicato stampa, una sfilza di ben quarantadue eccezionali ospiti d'onore. Presenti, ne abbiamo contati sei in tutto.

Apre la serata un rappresentante dell'Avis e degli altri promotori, che in poche iettatorie battute ci rallegra con storie di cimiteri, cuori che smettono di pulsare e bambini che si spengono lentamente; accompagnato, per la consolazione dei nostri occhi, da Miss Fair Play 2011 in una minigonna, come dire, così artistica che una voce (femminile) dietro di noi non riesce a trattenere un "Troppo fiiiiga, con tutti questi bambini morti!"

In scena abbiamo, oltre a Davoli, una dozzina di musicisti e tre belle coriste, tutti correttamente in nero; e poi un attore in camiciazza bianca, jeans e scarponcini che rappresenterebbe lo sgangherato filo del racconto. Con dialoghi tipo:

Attore: "To', eccomi qui in cantina. Guarda guarda, un vecchio baule. Cosa ci sarà dentro?"

Davoli, che recita da interlocutore con la stessa verve di un cavolfiore bollito: "Sta a vedere che ci trovi una sveglietta..."

Attore: "Ma guarda, è proprio una sveglietta!"

Davoli canta "La sveglietta".

E così via per un paio d'ore, lungo tutto il repertorio di Modugno, in un crescendo di alta drammaturgia, accompagnato da audacissime invenzioni coreografiche. Durante l'esecuzione di "Musetto", una ballerina con maschera da carnevale di Mestre (non di Venezia, eh!) si trascina avanti e indietro sul palco, per finire accasciata sulla spalla di Davoli. Anche " Lu pisci spada" è impersonato da un mimo, che avremmo preferito vedere arpionato al posto della povera bestia.

Sullo schermo dietro l'orchestra si alternano immagini da vecchio campionario di effetti visivi: cieli con stelline disneyane, nuvole di panna, fiorellini, e simili baggianate. Tutto sul filo di un coerente, attento, rigorosissimo cattivo gusto.

Ciliegina. La canzone di Davoli, dedicata a "Un angelo coi baffi" che sono naturalmente quelli di Modugno, con un furbo testo, praticamente un elenco dei titoli di tutte le sue canzoni, e una musica molto, ma molto patetica.

Non vogliamo esagerare con il massacro, ma all'uscita ci è venuto in mente che forse ci sarebbe piaciuta di più, e sarebbe stata certamente più utile dato il tipo di serata, una bella trasfusione di sangue.



P.S. Se vogliamo rimanere sul passato che ritorna, tanto vale lasciare un po' di spazio anche all'architettura. Su Via Parco del Celio, una stradina con vista sul Colosseo riservata ai tram, dove, rischiando un po', si può anche passeggiare, si affaccia un bell'edificio in stile razionalista appena restaurato. Sulla facciata, una scritta cancellata anni fa sta riaffiorando: Opera Nazionale Balilla. La faccenda curiosa è che la vecchia scritta è coperta da una più nuova, fresca di vernice e perfettamente leggibile (sembra fatta ieri) che dice: Gioventù Italiana del Littorio.

Pensavamo di essere nel 2013. O no?


 

                                       


 

 
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