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Perfidie di Stefano Torossi

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Messaggi di Dicembre 2013

Regalino di Natale

 

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

   23 dicembre 2013

REGALINO DI NATALE

 

Traffico natalizio. Per evitare code, ingorghi e stress da parcheggio, si va col bus. E si chiacchiera alle fermate e a bordo. E invariabilmente si incontra l'ultrasessantenne un po' new age, di solito donna, all'inizio arrabbiata: "Così non si può andare avanti, i mezzi non passano, la gente spende i soldi che non ha, l'aria è inquinata..." e subito dopo romantica: "Se potessi me ne andrei a vivere in campagna, a fare passeggiate, coltivare l'orto, sedermi davanti al caminetto acceso..." e altri sogni (i quali, assolutamente, devono rimanere tali, altrimenti ve li immaginate questi poveri vecchi, diventati campagnoli per illusione, in contatto con la realtà vera: il duecento per cento di umidità, sentieri ripidi e fango alle caviglie, l'orto morto per sei mesi all'anno, e il caminetto che ti arrostisce davanti e ti gela di dietro).

A questo proposito, ci siamo appuntati qualche tempo fa una notizia apparsa su Facebook, che ci ha fatto sorridere per il richiamo ai desideri fantastici di cui sopra, e sghignazzare per la realtà che, con il nostro collaudato scetticismo, intravvediamo chiarissima dietro il racconto; eccola.

Marco, descritto in un articolo di Corriere.it come una specie di eroe new age, è un ex manager di successo della Yamaha. Il quale, una decina di anni fa ha mollato l'ufficio di Manhattan (uno dei luoghi più stimolanti del mondo) per ritirarsi a vivere in una catapecchia a Valle Pezzata  sull'Appennino, senza luce, senz'acqua e in compenso, ci immaginiamo, con una bella percentuale dell'umidità di cui sopra.

Si tratta, è ovvio, di quel tipo di persona che non sa gestire le cose della vita, e finisce col farsi gestire da loro. "Quella del manager - dice - era un'esperienza totalizzante. Al di là delle otto ore di ufficio, il lavoro assorbiva completamente la mia vita. Era difficile staccare la spina quando tornavo a casa. (Staccare la spina è una delle prime pratiche da imparare appena si entra nel mondo professionale. A meno che il lavoro ti piaccia talmente tanto da non avere nessun bisogno e nessun desiderio di tempo libero). Ero pieno di cose che non mi servivano". 

E allora esagera. "E' stato facile rendermi autonomo rispetto ai bisogni primari legati alla sopravvivenza, al cibo, ai vestiti e a un riparo sopra la testa. Coltivo l'orto, seguendo i consigli degli anziani contadini, e l'acqua la prendo dal torrente".  Niente più elettricità, scaldabagno, frigorifero, termosifoni (e magari un bel Negroni verso le diciotto e trenta): conquiste per cui l'umanità lotta da secoli. E' la semplicistica filosofia new age che spinge un grullo col cervello bollito a perdere la propria libertà (credendo di averla riconquistata) e a diventare schiavo del momento in cui maturano gli zucchini nell'orto, della legna bagnata che non brucia nel focolare, di dovere aspettare il tramonto per dormire e l'alba per svegliarsi. Per non parlare di reumatismi e altri acciacchi. E l'igiene?


Merita il posto d'onore, in chiusura (quello che in ogni serata spetta alla star), la seguente chicca che vi regaliamo per Natale: Il Servizio Giardini di Roma ha presentato al nuovo sindaco Marino un omaggio che ora vi andiamo a raccontare.

Gambe in spalla e arrampichiamoci su per la magnifica cordonata del Campidoglio (Michelangelo). Arrivati nella magnifica piazza (sempre Michelangelo), si può ammirare la magnifica statua di Marcaurelio (copia del capolavoro romano, ora nelle sale dei Musei Capitolini) e girare intorno lo sguardo rapito dai magnifici palazzi gemelli sede dei musei succitati.

Poi, però, basta buttare l'occhio verso sinistra, e qui comincia il rapimento vero, purtroppo molto simile al raccapriccio, perché immediatamente ci appare, intrufolato sotto il portico del Palazzo Nuovo, un presepio realizzato dalla Cooperativa Sociale Cantina delle Idee di Palermo, con la collaborazione (citiamo alla lettera il cartiglio di presentazione) di soci disabili e normodotati, consistente principalmente in scene di crapula con odalische ancheggianti e gruppi di avvinazzati indegnamente sbracati sui triclini in mezzo ad architetture e rovine classiche. Il tipico banchetto di Trimalcione. Francamente incomprensibile in relazione al Natale, a meno di non ipotecare qualche corto circuito nella comunicazione proprio fra i soci disabili e quelli normodotati.

 Tiriamo innanzi ignorando anche l'alberello di Natale annidato nello stesso angolo e puntato da tre o quattro biciclette su cavalletto, le cui pedalate mettono in azione una dinamo che accende le lucine. Ignoriamo anche un paio di stendardi, che invocano "Salviamo i marò" e "Libertà per la Timoshenko" relegati giustamente in castigo, trattandosi di fatti ormai decotti; sorpassiamo l'ingresso laterale della magnifica chiesa dell'Aracoeli, ed eccoci in uno spazio, in cui ci accolgono un magnifico capitello corinzio, e sullo sfondo, al di là del quale si intravede l'immensità del Foro Romano, i resti delle magnifiche Mura Serviane (VI secolo avanti Cristo).

Siamo finalmente arrivati al regalino del sindaco. Noi crediamo sinceramente, che neanche nel giardinetto della Pensione Bellavista di Casteltirolo avrebbero avuto il coraggio di esporre una faccenda del genere. Vedere per credere, e vi consigliamo la passeggiata, che comunque è salutare, istruttiva e artistica.

Piazzata in una cassetta di legno in puro stile Alto Adige, si erge una lupa capitolina ritagliata con approssimativa, bisogna dirlo, arte topiaria (tecnica di sagomare fronde e rami in forme geometriche o di animali) in una siepe di bosso, mentre allatta i due proverbiali gemelli, anche loro di una qualche materia vegetale, i quali, essendo più piccoli e quindi di sicuro più difficili da scolpire, risultano in tutto e per tutto uguali a un paio di cavolfiori. La lupa e i gemelli! Opera di sublime fattura etrusco romana con in più il tocco del Pollaiolo, rifatti di verdura. Mah! Naturalmente fotografatissimi da frotte di turisti che così neanche si accorgono della storia, vera, che li circonda.

E non finisce qui. Lì vicino, adagiata su un letto di ciottoli sbiancati alla varechina, ci appare, sempre ritagliata in una miseranda siepetta di bosso la scritta S.P.Q.R. E' un'immagine che ci riporta a quando, da piccoli, andavamo per le vacanze a Gabicce Mare o a Ladispoli e alla stazioncina ci accoglieva immancabilmente il nome della località disegnato, come questo, con erba o fiorellini.

Che dire? E' ovvio che il buon gusto non lo possiamo pretendere da tutti, ma la salvaguardia dei luoghi della storia, sì, specialmente se si tratta di impedire che una casereccia, imbarazzante lupa di erba rubi la scena a quella vera e nobile, di bronzo.


PS. Avvertenza. L'uso continuato dell'aggettivo "magnifico" che potrebbe apparire eccessivo a uno sprovveduto lettore, è in realtà voluto per dar vita a un esemplare contrasto con la miseria della vicenda.



                                       


 

 

 
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Metti, un pomeriggio di pioggia

 

 IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

  16 dicembre 2013

    METTI, UN POMERIGGIO DI PIOGGIA


 Metti, un pomeriggio di pioggia. Dicembre. E' già buio e sono ore che cammini. Sei stanco, scocciato, e anche un po' confuso dalla gente, dai negozi, dalla città, e ti vuoi riposare. Magari anche riflettere in un posto tranquillo e, perché no, perfino dire una preghiera.

Che fai? Entri in una chiesa. A Roma ce ne sono tante, e belle. Diciamo che spingi la porta di San Lorenzo in Damaso, a Piazza della Cancelleria. Per essere tranquilla, la chiesa è tranquilla, e silenziosa, e soprattutto vuota. E che succede? Perché ti prende quello smarrimento infinito? Semplice, perché la chiesa è così desolatamente buia che sembra un'orrida spelonca. C'è da immaginare grappoli di pipistrelli appesi là in alto, dove l'oscurità nasconde ogni cosa.

E allora via di qua. Andiamocene alla Chiesa Nuova: grande, barocca e piena di quadri e statue. Qui la spelonca è più ampia e più sontuosa, ma sempre disperatamente buia. Si sa che ha anche un soffitto splendidamente affrescato, ma saperlo è un conto, vederlo un altro. C'è qualche lampada accesa, ma è stupidamente puntata verso il basso, contro gli occhi dei fedeli, che ne restano smarriti e abbagliati.

La soluzione ci sarebbe, semplice ed economica. Dov'è Dio? In alto. E dove sta l'umile fedele in preghiera, o anche il visitatore solo curioso? In basso. E allora basta illuminare colonne e volte con luci nascoste (e nelle chiese i cornicioni per coprirle non mancano davvero) e lasciare nella penombra banchi e confessionali.

Nel centro storico, in un raggio di pochi passi, ci sono tre chiese che questa problema l'hanno risolto: Santa Maria di Monserrato, San Luigi dei Francesi, e Santa Maria dell'Anima. Nessuna italiana, chissà come mai. La prima è spagnola, la seconda ovviamente francese, e l'ultima tedesca. Bene, entriamo in una di queste; preferibilmente in Santa Maria dell'Anima, e sbalordiamoci. Gli ori abbagliano, i marmi splendono, gli affreschi raccontano, e non si vede una lampada. Una diffusa luce calda riempie tutto lo spazio, e dà un senso di familiare conforto.

Non è che la bellezza impedisca la preghiera, anzi. Una bella casa suggerisce che il padrone ci ospiterà con stile. Basta un po' di cera per lucidare e qualche lampadina. Niente di più.

E naturalmente un briciolo di buon gusto.


Restiamo in chiesa, ma parliamo di musica. Domenica 8 a Sant'Apollinare, per il RomaFestivalBarocco, l'Accademia Bizantina dedica un'intera serata a Corelli. Ora, bisogna sapere che per Corelli il violino è tutto; il resto molto meno. E allora gli altri possono essere bravi (arciliuto, violone, cembalo, organo), come stasera, ma il violino dev'essere superlativo. Stefano Montanari è acrobatico ma anche morbido, autorevole e commovente, insomma perfetto. E' come osservare una piattaforma che avanza sicura sostenuta da solidi portatori, e in cima un leggiadrissimo funambolo fa ogni genere di acrobazie, eleganti e mai gratuite. E bisogna vedere sul programma di sala la foto di questo mago: un muscoloso supermacho che tiene il suo violino per il collo come per impedirgli di scappare (ci hanno detto che è anche uno scatenato Harleysta). Tante volte, dove va a nascondersi il talento! E credeteci, mentre lui suonava c'erano dei ragazzi in sala con le lacrime agli occhi.


Indietro di due giorni, venerdì 6, con tutti gli amici a commemorare Paolo Renosto alla Filarmonica. Sono passati più di vent'anni dalla sua morte. Un musicista bivalente: funzionale realizzatore di brani di commento per le immagini, TV e cinema; sperimentatore audace dell'avanguardia in Nuova Consonanza. Si è parlato della sua musica, si sono ascoltate alcune sue composizioni, e si è brindato alla sua memoria con dell'ottimo prosecco, che, se non ricordiamo male, avrebbe gradito lui stesso, buona forchetta e ancor migliore bicchiere.


Venerdì 13 al Museo Boncompagni Ludovisi, una mostra intitolata "Vittorio Zecchin, Duilio Cambellotti e Le Mille e una Notte", una faccenda assolutamente trascurabile: qualche pannello dipinto (di Zecchin - brutti), qualche illustrazione a tempera, appunto per le Mille e una notte (di Cambellotti - mediocri) e qualche vetro soffiato (ancora di Zecchin - belli), ma soprattutto un polveroso raduno di vecchie signore.

Perché citare l'evento, allora? Per non dimenticare il nome esecrabile dei principi Boncompagni Ludovisi, proprietari fin dal '500 di una magnifica villa nello spazio fra Porta Pia, Porta Pinciana e Piazza Barberini. Buon per loro che ci hanno fatto una montagna di soldi, e male per Roma che ci ha rimesso un insostituibile giardino; subito dopo il 1870, aiuole, viali e fontane sono stati prontamente trasformati in terreno edificabile, e così è nato un quartiere senza più neanche un filo d'erba. La stessa identica fine che ha fatto tutta la cintura di ville e parchi, di proprietà di altrettanto esecrandi conti, duchi, cardinali e papi, che, sempre entro le mura, girava intorno al piccolo nucleo abitato della città dell'ottocento. Roma doveva essere un sogno, magari un po' tarlato, ma sempre un sogno. Andato.



                                     


 

 
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Il minestrone di Bruckner

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

    9 dicembre 2013

   IL MINESTRONE DI BRUCKNER


 Lunedì 2 dicembre ore 12, Palazzo delle Esposizioni. Presentazione dell'interessante e ben costruita mostra "Il cibo immaginario 1950 - 1970". Un'antologia di pubblicità e rappresentazioni dell'alimentazione italiana, per noi fonte di due sorprese e una constatazione. La constatazione (amara) è stata accorgerci che riconoscevamo, con pochissime eccezioni, tutti i marchi, i nomi e le confezioni di prodotti di mezzo secolo fa; il che la dice lunga sulla nostra collocazione anagrafica. Le sorprese: scoprire che la Coca Cola, che noi (probabilmente come voi) eravamo convinti fosse arrivata con le truppe americane dopo la guerra, era invece già imbottigliata e venduta in Italia fin dal 1927. E renderci conto che Aldo Grasso, uno dei testimoni della mostra nonché scrittore e giornalista, che noi abbiamo sempre letto con grande piacere e divertimento, appena presa la parola si è rivelato oratore soporifero dal timbro monotono e dalle pause estenuanti. Abbiamo fatto fatica a rimanere svegli benché i contenuti fossero come sempre intelligenti e piacevoli. E' chiaro: non tutti quelli che scrivono bene possono aspettarsi lo stesso risultato quando parlano.

Ah già. Non vogliamo dimenticare un altro difettuccio piuttosto diffuso. Il rappresentante della Coca Cola, sponsor della manifestazione, ha preso il microfono e naturalmente, dato che parlava del suo prodotto, ha detto "Coca Cola" qualche dozzina di volte, ma sempre scivolando sulla prima delle due parole, e pronunciando "Coa Cola". Capita anche a voi?


Lunedì sera, sala Santa Cecilia. Kent Nagano dirige Bruckner, la terza sinfonia. Da sempre ci accompagna la inconfessabile convinzione che Bruckner sia uno di quei cuochi che confezionano minestroni troppo pieni di troppi ingredienti, dove tutti i sapori si confondono e, malgrado ogni tanto esca qualche aroma accattivante, alla fine il piatto risulta di difficile digestione. Nagano comunque riesce a tirar fuori il meglio. L'orchestra, ottimamente preparata, ha fornito un'esecuzione superba (il piatto rimane indigesto, ma almeno la presentazione è piacevole). Professori impeccabili in frak (così vorremmo sempre vedere le orchestre), e lui che, chioma molto mossa e abbondante e scarpini di vernice, ci ha riempito gli occhi con la suprema eleganza delle sue movenze, nello stesso tempo da geisha e da samurai: samurai nel gesto da direttore, e nella corsetta dal podio alle quinte e viceversa per gli applausi, decisamente geisha, e anche molto aggraziata.


Martedì. Aria nuova al conservatorio. Nella Sala Accademica di Via dei Greci, serata per la consegna del Premio Via Vittoria ai migliori diplomati, e soprattutto alla star Sir Anthony Pappano. Mondanità e presenze illustri. Apre Stefano Mhanna, uno dei vincitori del 2007, con la toccata e fuga in re minore di Bach al grande organo della sala; magnifico suono, anche se il non stare in chiesa priva lo strumento del suggestivo eco naturale delle grandi volte. Consegna di altri premi, poi breve pittoresco discorsetto del presidente Cagli e altrettanto breve ma meno pittoresco e molto più concreto intervento di Alfredo Santoloci, da pochi giorni nuovo direttore del conservatorio, che è uno che parla poco, ma fa molto. Come si comincia a vedere già da stasera.

Finalmente arriva il momento di Pappano, a cui il premio speciale sarà consegnato da Gianni Letta. Collaudato protagonista cultural politico, cravatta perfetta, giacca dal taglio impeccabile, Letta comincia a servirci una bella pappardella, lirica, alata e soprattutto generica, con parecchie cadute nell'ovvio: tipo la universalità del linguaggio della musica, la simpatia e la comunicativa italiana in giro per il mondo, e così via banaleggiando. Dopo quasi mezz'ora ci rendiamo conto che, a meno di tagliare la corda subito, non ne usciamo vivi. Anche perché lo zio Gianni, esibendo ogni tot minuti il normale calo del tono e della tensione narrativa che precedono la fine dello sproloquio, ci illude di essere arrivato alla conclusione. Macché. Invece del tanto atteso punto fermo, ecco un ma... un però...un allora...e il discorso si riapre senza pietà con un altro carico di aneddoti e notiziole superflue. A proposito di protagonismo...


Riagganciamoci a questo "a proposito", però non di protagonismo, ma di eco naturale. Con una galoppata ci catapultiamo alla basilica dei Santi Apostoli, dove suona e canta, immerso nella bellissima sonorità delle alte navate, l'ensemble vocale e strumentale Festina Lente diretto dall'amico Michele Gasbarro. Seconda serata del RomaFestivalBarocco con due messe di Frescobaldi. Niente mondanità, ma un pubblico sorprendentemente numeroso e attento. Chiesa grande, misteriosa, in cui si cominciano a intravvedere, nascosti nelle cappelle laterali, i primi segni dell'imminente presepio: pecorelle, personaggi col turbante, cammelli. Esecuzione fortemente partecipata con momenti di commozione non comuni in partiture ormai così lontane da noi. Siamo convinti che, oltre alla qualità degli esecutori, conti proprio l'atmosfera davvero unica di questa intensa, sonora penombra.



                                         

 

 
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Drammatiche letture

 

  IL CAVALIER SERPENTE

 Perfidie di Stefano Torossi

  2 dicembre 2013

   DRAMMATICHE LETTURE

 

In realtà l'invito diceva "Letture drammatiche - Voci contro la violenza sulle donne", ma la qualità dell'evento ci autorizza, semplicemente invertendo i termini, a capovolgere il significato del titolo e nello stesso tempo esprimere il nostro giudizio. Momento e scena del crimine: pomeriggio del 25 novembre all'Università ECampus di Roma in Via del Tritone. Con tutto il corollario (sembra fatto apposta, ma non c'è niente di esagerato) di questo tipo di eventi casarecci. Previsto all'inizio il trailer del film "Christine/Cristina"; non c'è stato verso di far partire il DVD. I microfoni: fischi, scrocchi, e buchi muti. C'era anche un fonico che per imperizia propria o per inefficienza del misero impiantino a disposizione, è riuscito solo ad aggravare la situazione. Stendiamo il proverbiale velo pietoso sulle performance di alcuni allievi/e dell'Istituto. Unico momento di rispetto e divertimento: Miranda Martino che ha letto un testo, cantato una canzone e intrattenuto il pubblico da grande diva quale è sempre stata. Adesso, con l'età, ha raggiunto vette sublimi: "Mi versi un po' d'acqua (che poi non ha bevuto), cara" all'organizzatrice; "Mi raccogli il foglio, caro", al fonico, che stava per farle cadere in testa l'asta del microfono, e via raccontando di sé con maestosa padronanza di tempi, pause e attenzione del pubblico. Una gran dama.

Poco prima eravamo passati al Teatro Argentina per una commemorazione di Aldo Giuffré, ma non avendo avuto il tempo di fermarci possiamo solo accennare alla folta presenza di anziani (c'era da aspettarselo) e alla bruttezza dell'ambiente. Alleghiamo, autocitandoci, un nostro passato accenno sul tema: "La Sala Squarzina è uno dei più tristi esempi del gusto anni '70. Sgraziatissima nelle proporzioni perché troppo lunga, stretta e alta, è stata notevolmente peggiorata con la ristrutturazione. Ha un pavimento di mortuario marmo biancastro, quattro enormi e incombenti lampadari a grappoli di palle luminose, tutto un lato appesantito da tre ballatoi d'acciaio che richiamano un penitenziario, e l'altra parete infilzata da frammenti di mascheroni recuperati dal sottostante teatro romano (quello di Pompeo), di bellissimo marmo di Carrara, che in quel contesto sembra polistirolo di Cinecittà". In più, abbondante e ubiquo, il consueto strato di muffa.


Altro livello, giovedì 28 alla Sala Sinopoli del Parco della Musica. "Ballet Mecanique", omaggio a Fernand Leger. Al lavoro per noi gli ottimi strumentisti del Parco della Musica Contemporanea Ensemble e la Cantoria di S. Cecilia, magistralmente, come sempre, diretti da Tonino Battista; e perfino un pilota con il suo aereo sul palco (un superleggero con le ali ripiegate, naturalmente, ma col motore acceso o spento secondo la partitura). L'occasione era la proiezione del film muto di Fernand Leger (1924), nato per essere accompagnato della musica di George Antheil, che abbiamo ascoltata dal vivo, bella, ben suonata e soprattutto moderna anche se ha novant'anni. Lo stesso film è stato riproiettato, stavolta con il commento di Michael Nyman, molto più recente ma molto meno moderno, meno bello, e molto, troppo furbo. Antheil vince, Nyman perde. Colpisce l'ingenuità del filmato, naturalmente giustificatissima dalla data. Semplici (ma probabilmente strabilianti per l'epoca) moltiplicazioni delle immagini in bianco e nero con effetto caleidoscopio, primi piani di occhi e bocche molto truccati, una graziosa ragazza in altalena e una corpulenta contadina carica di fagotti; l'industria nascente rappresentata da modeste bielle e piccoli stantuffi in movimento con gran sbuffi di vapore.

Il programma era pieno di altri interessanti pezzi, fra cui un "Living room music" per coro e quattro strumenti a percussione guidati da un rosso pianofortino giocattolo. Ancora una divertente dimostrazione della capacità di Cage nel prendere per i fondelli il pubblico, ma così abilmente da non offendere nessuno, anzi, addirittura da passare per serio. Grande.

Ci sembra opportuno aggiungere che ogni volta che andiamo a un concerto di questo genere, ci facciamo premura di passare al bar dell'auditorio, dove preparano un ottimo Negroni, propedeutico alla creazione di una buona ed euforica disposizione all'ascolto. Mai smetteremo di lodare la gioiosa atmosfera del Parco della Musica, un misto fra un vivace e soprattutto giovane campus universitario americano, e, specialmente d'estate, un glorioso parco di divertimenti.


Chiusura di settimana come meglio non si potrebbe con l'inaugurazione del nuovo spazio dell'Associazione ERA DEA, da sabato a mezzogiorno saldamente impiantata (per rimanerci) nel centro del Centro Storico di Roma, fra Panteon, Senato e Argentina, in un vecchio magazzino con cantina, che, visto prima dei lavori, ci aveva fatto inorridire per la sua aria di decrepita topaia. Dal bruco alla farfalla: ora è confortevolissimo, bellissimo e molto razionale. Ci si fa del teatro, della musica, del cinema. E sabato anche eccellenti tramezzini e squisito prosecco.

Ottima breve performance di Rosa Balivo su un testo di Rosa Di Brigida, che è anche presidente, e proiezione del promo di una singolare iniziativa dell'Associazione: una serie di videointerviste da parte del venticinquenne regista Francesco D'Ascenzo a grandi vecchi del mondo dell'arte che si raccontano sull'orlo della fossa. Primo a molte lunghezze, fra i testimoni, il critico d'arte Gillo Dorfles, centotre anni. Gli altri: un cinicissimo Paolo Villaggio, un pessimista Paolo Poli, un rassegnato Franco Cerri, più Lina Wertmuller, Dudù La Capria, Enrico Intra, Carlo Loffredo, Giampiero Boneschi, eccetera eccetera; tutti sopra gli ottanta e molti pericolosamente vicini ai novanta. Soprattutto campioni di umanità beffarda, dolente, amara, ma anche (e non sembri un paradosso visto che stanno, come già detto, con un piede nella fossa) viva.



                                          



 

 
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