3. Trascrizione

Post N° 39


Questo è davvero interessante, e va conservato.Dal Corriere della Sera, rilanciato su Dagospia.«Salutavano a pugno chiuso, ma nella vita privata agivano a occhi bene aperti. Più che scegliere la sinistra, è stata la sinistra a scegliere loro; che si sono trovati a proprio agio. Tranne De Gregori, i cantautori italiani erano e sono rossi immaginari. Talora con qualche vigliaccheria. Quando gli autonomi contestarono De Gregori, lui non cantò più per dieci anni. Quando fu contestato Venditti, al teatro Diana di Napoli, lui rispose che stava suonando gratis; chi guadagnava era il produttore. Io. Quella notte rischiai l’incolumità fisica. Poi, come ogni sera della tournée, sotto la porta dell’albergo trovai la ricevuta della cena per due con champagne di Antonello, che non solo era ovviamente pagato, ma pure rimborsato a pie’ di lista». David Zard, 63 anni, il più importante produttore italiano, l’uomo dei concerti di Madonna, Dylan e Rolling Stones, parla dei suoi artisti con sincerità, ma anche con simpatia. Pure di Venditti. «Mi ha chiesto scusa mille volte per quell’episodio. Si era preso paura, lo capisco. Resta un dato di fatto: la scelta a sinistra di molti artisti italiani è legata a un momento storico di impazzimento generale, gli Anni Settanta, in cui la pressione della piazza era fortissima, e l’ignoranza politica al massimo livello. Gli estremisti pretendevano di entrare ai concerti senza pagare, i giornali "borghesi" badavano a non contraddirli, la polizia non li fermava, anzi: a lungo, sino agli anni più sanguinosi delle Br, in Italia si sono usati anche gli autoriduttori per creare tensione. Gli artisti si sono adeguati, hanno cavalcato l’onda, in bilico tra l’urto degli extraparlamentari e la forza del Pci. Tutto il mondo dell’arte e della creatività è stato cooptato; e a chi ne faceva parte è andata bene così, anche se le idee e il ragionamento li conducevano altrove. Da qui le rendite di posizione, gli appoggi che durano ancora adesso, i condizionamenti: quante volte mi sono sentito dire che quel cantante andava preso perché "è dei nostri". A De Gregori non ho mai sentito dire: "Io sono comunista". Essere, per lui e per me, è comportarsi». Ne ha conosciuti tanti, quasi tutti, italiani e stranieri. Qualcuno l’ha lanciato. «Branduardi, ad esempio. Una bandiera che va dove va il vento. È un complimento: Angelo è uno di centro, uno che ragiona, può condividere quel che fa la sinistra o quel che fa la destra. Baglioni è un grande artista che non si è mai perdonato di aver scritto "Questo piccolo grande amore": avrebbe voluto essere De Gregori, in cambio avrebbe rinunciato a una parte di successo e di denaro. Invece al denaro, col tempo, ci si affeziona; infatti con Claudio siamo andati in causa. Cocciante è apolitico. Ma la politica non era la cifra neppure di De André, che le preferiva la letteratura e le religioni, aveva una vasta cultura anche dell’ebraismo. Vasco Rossi è un extraterrestre, un fenomeno unico al mondo, ma con la politica non c’entra: ha vissuto la sua giovinezza nei bar dell’Emilia in cui l’unico giornale era l’Unità , ma è una persona aperta, non si identifica con una parte. Jovanotti è un gradino sotto: è molto bravo ed è un ragazzo di cuore; certo che il debito del Terzo mondo è un cavallo su cui sono saliti un po’ in troppi. Quando Bob Geldof mi chiese una mano per il primo Live Aid, gli artisti si defilarono tutti: uno fece rispondere all’agente che aveva una serata allo stadio di Cosenza, l’altro che il disco non era ancora pronto». E gli stranieri? «Jagger è una macchina promozionale, il manager di se stesso. Questo condiziona gran parte della sua volontà. Essere un rocker lo costringe a vivere dentro l’immagine del cattivo. Fa molto per gli altri, nonostante quel che gli costano i divorzi, ma di nascosto. Madonna è una costruzione. Una bella costruzione, certo. All’inizio era un fenomeno, ora è un’artista. Come donna però resta irrimediabilmente cheap ; non bastano i vestiti su misura di Dolce&Gabbana per fare una signora. Michael Jackson invece è un eterno bambino. Gli hanno rubato l’infanzia, a sei anni lavorava già con i fratelli nel gruppo Jackson Five, facevano tre concerti al giorno in tre città diverse, "purché non distassero tra loro più di cento miglia"; e quando obiettai che era pazzesco, l’organizzatore rispose che in fondo erano stati schiavi sino a qualche anno prima. Per questo non credo all’accusa di pedofilia: i suoi erano i giochi che fanno tutti i bambini. Colpevoli sono semmai le famiglie dei ragazzi, che seguivano in tournée Michael e i loro figli con carte di credito illimitate in dotazione. Dylan è il più vicino ai cantautori italiani, li conosce e li segue, quando nell’84 gli presentai De Gregori non capivo chi tra i due fosse più emozionato. Così come stima Lucio Dalla, grande artista e uomo con una sua profonda moralità». Di Dalla Zard ripropone ora la Tosca, agli Arcimboldi di Milano. La prossima produzione però sta per partire al Gran Teatro di Roma, il Dracula, «la più costosa della mia vita». Ma lei, Zard, come la pensa? «Non sono mai stato di destra. Come poteva esserlo un ebreo in Italia? Però quando passavo davanti alle Botteghe Oscure avvertivo come un timore, un presagio triste, un senso d’oppressione. Erano le stanze in cui arrivavano le istruzioni da Mosca per il Pci, mi appariva davvero un luogo oscuro. Oggi resto turbato di fronte a Bertinotti, Cossutta, Diliberto che ancora esaltano una figura come quella di Arafat. A sinistra molti sono antisemiti. Possono nascondersi dietro l’ideologia, ma il loro è puro antisionismo e antisemitismo. Eppure il sionismo è la più avanzata forma di socialismo, l’unica che non nega la libertà. Vorrebbero dare la terra a chi lavora, purché non sia ebreo. Per me, che negli Anni ’70 ho conosciuto l’antisemitismo della destra, è stata una sorpresa vedere che alcuni di quella generazione hanno letto, sono maturati, talora simpatizzano per Israele. Di Gasparri si sente spesso parlare male. Però a Gerusalemme lui c’è andato, non una, ma sette volte. Berlusconi? Preferisco Casini». David Zard è italiano e israeliano, libico e biondo con gli occhi azzurri. Parla ebraico e arabo oltre alla nostra lingua, che pronuncia lentamente con un indefinibile accento esotico. Indefinibile è l’origine del suo nome: «Gli ebrei arrivarono a Tripoli in età preromana. La mia famiglia viene dall’Italia, credo; e comunque dopo il 1911 siamo diventati tutti italiani». A Tripoli avevano una tipografia dove vendevano anche libri e giornali. «Ogni dieci giorni, quando arrivava la nave "Argentina", avevo il compito di aprire i pacchi. La collana Medusa della Mondadori: verdi i romanzi, arancioni i classici. Ricordo l’assalto quando uscì Lolita di Nabokov. I libri Einaudi erano oggetti magnifici, ma per pochi. Poi cominciai a commerciare in francobolli e a organizzare feste e concerti. Registravo le canzoni di Sanremo alla radio e le facevo imparare ai nostri gruppi musicali, che la settimana dopo erano pronti per replicare il festival sul lungomare di Tripoli. Portai Peppino Di Capri, Ricky Gianco, Little Tony; Celentano invece aveva paura dell’aereo. In Israele invitai tutti, ma non venne nessuno». «Da Tripoli sono fuggito nel 1967, due giorni prima che scoppiasse la guerra dei sei giorni. Ero un ribelle, rifiutavo la sottomissione agli arabi, che covavano rancore e invidia per la nostra posizione economica. I vecchi si comportavano da amici ma erano pieni d’odio; i giovani erano arroganti, siccome le loro donne non uscivano disturbavano le ragazze ebree e italiane. Giocavo a pallacanestro nel Maccabi di Tripoli, gli arabi mi aspettavano negli spogliatoi per picchiarmi. Di fronte a casa c’era il posteggio delle carrozzelle, io giocavo a dama con i cocchieri. Una sera, alla vigilia della guerra, avemmo una discussione: loro mi dissero che Nasser avrebbe ributtato a mare gli ebrei, io non stetti zitto. Mio zio si preoccupò: "Qui tutti dicono che hai insultato Nasser, ti sei messo nei guai, devi partire subito". In Italia avevo già due sorelle, le raggiunsi, forzando il blocco grazie a un telegramma falso. Il pogrom iniziò 48 ore dopo». Da Roma Zard passò in Israele. «Alla visita militare mi scoprirono una pleurite perforante umida e mi mandarono in sanatorio a Sfad. Un posto bellissimo, tra il Golan e il lago di Tiberiade. Un giorno terroristi arabi fecero saltare due scuolabus. Cinquanta morti. Bambini sfigurati. Mi ci volle parecchio tempo per recuperare la ragione».