faria

riflessioni sul commento pubblicato il 16.4 alle 22.08


Allora eccomi qui a ringraziare ancora profondamente l'autrice della recensione di cui al msg n. 4, per il tempo e l'intelligenza che mi ha dedicato.Dove dice dei personaggi del libro definendoli stereotipi, io apporterei una lieve variazione, prima di tutto dicendo che quasi immancabilmente il protagonista di una fiaba è sempre il medesimo, cioè un essere umano che cresce ed affronta le meravigliose e terribili esperienze di cambiamento dall'infanzia all'adolescenza e poi alla maturità. Ciò fa parte della natura stessa del tipo di racconto, si parla sempre della stessa cosa ed io penso che l'argomento meriti di ritornarci sù infinite volte, perché per ognuno di noi si tratta di esperienze affatto singolari. Altrimenti sarebbe come dire che non si devono più scrivere poesie d'amore perché ne sono già state scritte così tante! Inoltre, piuttosto che di stereotipi, io darei una definizione di elementi di un certo tipo di linguaggio, riconoscibili ed icastici proprio perché nella nostra cultura hanno sedimentato tutta una serie di significati che immediatamente riaffiorano quando l'emblema che li rappresenta entra in scena. Chi direbbe infatti che le parole sono degli stereotipi? Le parole, soprattutto i nomi, servono ad evocare in chi li assume, sentendoli o leggendoli, tutto un mondo che fa parte già da prima della sua esperienza. Così i personaggi di una fiaba, e da questo punto di vista avrei voluto che i miei potessero essere molto più stereotipati, portano con sè tutta una miriade di immagini di cui abbiamo fatto esperienza, se abbiamo avuto abbastanza fortuna, durante la nostra vita.Sono perfettamente d'accordo sul fatto che il libro non sia espressamente rivolto ai bambini, o almeno lo è, ma in modo indiretto. Esso infatti nacque da un'idea ben precisa, cioè quella di stuzzicare i genitori o nonni o fratelli maggiori o quanti hanno a che fare con dei bambini, perché tornassero ad appassionarsi al mondo della fiaba e magari trovassero le risorse per raccontare (e intendo proprio raccontare, non leggere) delle fiabe ai propri bambini. Tutto nell'intento che ho sinteticamente spiegato nel msg n. 1 di questo forum e allo speed read di Milano del 29 febbraio. Come ho più volte detto e in tante occasioni, secondo quanto sostiene il mio genio ispiratore Bruno Bettelheim nel suo libro, l'effetto di infondere fiducia a livello inconscio della fiaba è tanto maggiore quanto più sono coinvolti il narratore e l'ascoltatore e questo coinvolgimento si realizza al massimo grado quando la fiaba è direttamente narrata.Per quanto riguarda i bambini ed il dizionario, mi sembra un connubio perfetto, da interpolare semmai con la risposta in prima battuta del genitore o chi per esso alla domanda del bambino rispetto ad una parola sconosciuta o dal significato ancora nebuloso. Sfruttate l'occasione per far intuire ai bambini quale oggetto meraviglioso, magico come gli oggetti fatati delle fiabe possa essere un vocabolario. Partecipate alla loro scoperta del linguaggio, trasmettete loro il vostro entusiasmo per il gioco della narrazione. Non fermatevi a considerare le cose dal punto di vista della cosiddetta modernità (questa sì uno stereotipo affatto vano di significato, come la moda di bassa lega, che quasi mai inventa nulla di nuovo, ma ripropone le stesse minestre riscaldate, ad intervalli di tempo ritenuti sufficienti perchè sia dimenticata quella del ciclo precedente).Chiedo venia per il linguaggio, attribuito ad una "scelta lessicale talvolta così minuziosa da risultare esagerata", oppure definito "desueto". Mi rendo conto di aver agito come un collezionista che costringe l'ospite ad ammirare tutti gli elementi della sua sterminata collezione; spero solo di averli presentati con garbo ed un po' di gusto, come fanno quelle pasticcerie che d'autunno mettono in vetrina i loro squisiti marron glacé in un'ambientazione di foglie di castagno e ricci.Da ultimo, ringraziando ancora sinceramente e di cuore il mio recensore per gli spunti critici che mi ha fornito, voglio lanciarle io una bonaria e spero simpatica provocazione: provare a riscrivere gli stessi concetti evitando le parole target, frame e happy ending.