Tempo determinatoIl contratto a tempo determinato, disciplinato dal D.Lgs. 368/2001, è un contratto di lavoro subordinato dove è indicata la durata dello stesso e quindi la data di fine del rapporto. Perché sia valido, nel contratto (ovviamente in forma scritta) deve essere esplicitato la motivazione della durata limitata; nel nostro ordinamento, infatti, tale contratto costituisce un’eccezione, in quanto “il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro” (art. 1 comma 1 del D.Lgs. 368/2001, come modificato dalla Riforma). Normalmente la definizione del termine di fine rapporto di lavoro è consentita solo a fronte di ragioni (causale) di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, da specificare nel contratto.La Riforma del mercato del lavoro (L. 92/2012) ha introdotto la possibilità chel’azienda, la prima volta che stipula un contratto di lavoro a tempo determinato con un lavoratore, possa farlo senza l’obbligo di indicare la causale. Questo primo contratto a-causale ha una durata massima di 12 mesi e può essere concluso per qualsiasi tipo di mansione, tra un lavoratore e un datore di lavoro, sia come primo contratto a termine che come prima missione di lavoro in somministrazione a tempo determinato. Secondo quanto disposto dalla Legge n. 99/2013, di conversione del Decreto Legge n.76/2013, tale contratto è prorogabile, nei limiti comunque della durata massima prevista. I contratti collettivi, anche aziendali, oltre a poter stabilire ulteriori ipotesi di a-causalità, possono prevedere una durata maggiore dei dodici mesi oppure che il contratto si possa stipulare anche con lavoratori che abbiano già avuto un precedente rapporto di lavoro subordinato.Per evitare un’eccessiva reiterazione di rapporti di lavoro a termine tra le stesse parti è stato confermato sia il limite di durata complessiva pari a 36 mesi, sia l’intervallo che deve intercorrere tra un contratto e quello successivo.Nei 36 mesi rientrano anche gli eventuali periodi di lavoro svolti in somministrazione aventi ad oggetto mansioni; equivalenti ai sensi dell’art. 20, comma 4 del D.Lgs. 276/03. Tuttavia, raggiunti i 36 mesi cumulativi di tutti i periodi di lavoro a termine, è possibile stipulare un ulteriore contratto secondo una procedura innanzi alla Direzione territoriale competente e con l'assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. L’intervallo da rispettare tra la stipula di un contratto a termine e un altro è di 10 giorni nel caso di un primo contratto di durata inferiore a 6 mesi e 20 nel caso di un contratto di durata superiore. Altrimenti il secondo contratto si trasforma a tempo indeterminato. La Legge n.99/2013 ha previsto che tale limitazione non si applica nei confronti dei lavoratori impiegati nelle attività stagionali e nelle ipotesi individuate dalla contrattazione collettiva, anche aziendale. La circolare n.35/2013, tra le altre cose, ha chiarito che la nuova disciplina degli intervalli trova applicazione per tutti i contratti stipulati dopo il 28 giugno 2013 (data di entrata in vigore del Decreto legge n.76/2013), anche se il precedente contratto è sorto prima di tale data. I rapporti di lavoro a termine instaurati con i lavoratori in mobilità sono esclusi dal campo di applicazione della disciplina del D.lgs. 368/2001, fermo restando il rispetto del principio di non discriminazione e dei criteri di computo del personale a termine ai fini dell'applicazione dello Statuto dei lavoratori. Per venire incontro alle esigenze delle imprese, è stato ampliato il numero di giorni in cui il contratto, anche a-causale, può proseguire di fatto oltre la scadenza, retribuendo in misura maggiore il lavoratore, con il 20% della retribuzione fino al decimo giorno e con il 40% per ogni giorno ulteriore.La prosecuzione oltre i 30 giorni per contratti di durata inferiore ai 6 mesi e i 50 giorni per quelli di durata superiore comporta la trasformazione a tempo indeterminato.La Riforma Fornero (Legge 92/2012) ha introdotto un aumento dell’aliquota contributiva pari all’1,4% per finanziare l’Assicurazione sociale per l’impiego (Aspi), che verrà restituita al datore di lavoro in caso di trasformazione del contratto a tempo indeterminato (nei limiti delle ultime 6 mensilità).L'impugnazione stragiudiziale con la quale si intende far valere la nullità del termine va presentata entro 120 giorni dalla cessazione del contratto, mentre il ricorso al Giudice del lavoro va proposto entro i successivi 180 giorni.Secondo le nuove norme, in caso di illegittimità del contratto a termine, l'indennità risarcitoria e la conversione del rapporto di lavoro in uno a tempo indeterminato, è da considerarsi onnicomprensiva di tutti i danni e pregiudizi retributivi e contributivi subiti dal lavoratore. L’indennità è pari a un importo che va dalle 2,5 alle 12 mensilità.
Tempo daterminato
Tempo determinatoIl contratto a tempo determinato, disciplinato dal D.Lgs. 368/2001, è un contratto di lavoro subordinato dove è indicata la durata dello stesso e quindi la data di fine del rapporto. Perché sia valido, nel contratto (ovviamente in forma scritta) deve essere esplicitato la motivazione della durata limitata; nel nostro ordinamento, infatti, tale contratto costituisce un’eccezione, in quanto “il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro” (art. 1 comma 1 del D.Lgs. 368/2001, come modificato dalla Riforma). Normalmente la definizione del termine di fine rapporto di lavoro è consentita solo a fronte di ragioni (causale) di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, da specificare nel contratto.La Riforma del mercato del lavoro (L. 92/2012) ha introdotto la possibilità chel’azienda, la prima volta che stipula un contratto di lavoro a tempo determinato con un lavoratore, possa farlo senza l’obbligo di indicare la causale. Questo primo contratto a-causale ha una durata massima di 12 mesi e può essere concluso per qualsiasi tipo di mansione, tra un lavoratore e un datore di lavoro, sia come primo contratto a termine che come prima missione di lavoro in somministrazione a tempo determinato. Secondo quanto disposto dalla Legge n. 99/2013, di conversione del Decreto Legge n.76/2013, tale contratto è prorogabile, nei limiti comunque della durata massima prevista. I contratti collettivi, anche aziendali, oltre a poter stabilire ulteriori ipotesi di a-causalità, possono prevedere una durata maggiore dei dodici mesi oppure che il contratto si possa stipulare anche con lavoratori che abbiano già avuto un precedente rapporto di lavoro subordinato.Per evitare un’eccessiva reiterazione di rapporti di lavoro a termine tra le stesse parti è stato confermato sia il limite di durata complessiva pari a 36 mesi, sia l’intervallo che deve intercorrere tra un contratto e quello successivo.Nei 36 mesi rientrano anche gli eventuali periodi di lavoro svolti in somministrazione aventi ad oggetto mansioni; equivalenti ai sensi dell’art. 20, comma 4 del D.Lgs. 276/03. Tuttavia, raggiunti i 36 mesi cumulativi di tutti i periodi di lavoro a termine, è possibile stipulare un ulteriore contratto secondo una procedura innanzi alla Direzione territoriale competente e con l'assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. L’intervallo da rispettare tra la stipula di un contratto a termine e un altro è di 10 giorni nel caso di un primo contratto di durata inferiore a 6 mesi e 20 nel caso di un contratto di durata superiore. Altrimenti il secondo contratto si trasforma a tempo indeterminato. La Legge n.99/2013 ha previsto che tale limitazione non si applica nei confronti dei lavoratori impiegati nelle attività stagionali e nelle ipotesi individuate dalla contrattazione collettiva, anche aziendale. La circolare n.35/2013, tra le altre cose, ha chiarito che la nuova disciplina degli intervalli trova applicazione per tutti i contratti stipulati dopo il 28 giugno 2013 (data di entrata in vigore del Decreto legge n.76/2013), anche se il precedente contratto è sorto prima di tale data. I rapporti di lavoro a termine instaurati con i lavoratori in mobilità sono esclusi dal campo di applicazione della disciplina del D.lgs. 368/2001, fermo restando il rispetto del principio di non discriminazione e dei criteri di computo del personale a termine ai fini dell'applicazione dello Statuto dei lavoratori. Per venire incontro alle esigenze delle imprese, è stato ampliato il numero di giorni in cui il contratto, anche a-causale, può proseguire di fatto oltre la scadenza, retribuendo in misura maggiore il lavoratore, con il 20% della retribuzione fino al decimo giorno e con il 40% per ogni giorno ulteriore.La prosecuzione oltre i 30 giorni per contratti di durata inferiore ai 6 mesi e i 50 giorni per quelli di durata superiore comporta la trasformazione a tempo indeterminato.La Riforma Fornero (Legge 92/2012) ha introdotto un aumento dell’aliquota contributiva pari all’1,4% per finanziare l’Assicurazione sociale per l’impiego (Aspi), che verrà restituita al datore di lavoro in caso di trasformazione del contratto a tempo indeterminato (nei limiti delle ultime 6 mensilità).L'impugnazione stragiudiziale con la quale si intende far valere la nullità del termine va presentata entro 120 giorni dalla cessazione del contratto, mentre il ricorso al Giudice del lavoro va proposto entro i successivi 180 giorni.Secondo le nuove norme, in caso di illegittimità del contratto a termine, l'indennità risarcitoria e la conversione del rapporto di lavoro in uno a tempo indeterminato, è da considerarsi onnicomprensiva di tutti i danni e pregiudizi retributivi e contributivi subiti dal lavoratore. L’indennità è pari a un importo che va dalle 2,5 alle 12 mensilità.