“Vita da professionisti”: i risultati della ricerca CgilSi sentono e si identificano come professionisti, lavoratori autonomi nel 70% dei casi, interessati ad avere una maggiore continuità occupazionale, con più diritti e tutele, e compensi più elevati. Hanno poche o nessuna possibilità di contrattare condizioni e reddito, quest’ultimo per altro nel 45% dei casi sotto i 15 mila euro, e al sindacato, nel quale credono, chiedono un’azione contrattuale inclusiva e di poter contare. È in sintesi il quadro che emerge in “Vita da professionisti”, una ricerca rivolta ai professionisti non dipendenti, di qualsiasi settore, che operano come autonomi o con qualsiasi forma contrattuale a termine, discontinua o precaria, realizzata all’Associazione Bruno Trentin con il contributo e il supporto della Consulta delle Professioni della Cgil e della Filcams Cgil.La ricerca – che è stata presentata ieri pomeriggio nella sede nazionale della Cgil, con il coordinamento giornalistico di Dario Di Vico, e con gli interventi di Alessandro Laterza, vicepresidente di Confindustria e Filippo Taddei, responsabile economico del Pd – è stata condotta su un campione rappresentativo dell’universo dei circa 3,4 milioni di professionisti in Italia, ‘pesato’ rispetto ai dati Isfol, frutto di 2.210 questionari raccolti (per 1.620 validi) così suddivisi: il genere è stato composto per il 58,4% da uomini e il 41,6% da donne; l’età contesa tra pochi giovani e classi centrali, per il segmento tra i 30 e i 45 anni, pari al 42,9% del campione; con titolo di studio costituito per il 46% da diplomati e il 53% da laureati o più; distribuiti su tutto il territorio nazionale, con concentrazione nelle grandi città come Roma, Milano, Torino, Bologna e Napoli; infine diviso tra professioni regolamentate (35%) e non regolamentate (65%). Nella ricerca sono considerati tutti gli aspetti dei problemi concreti che si trovano ad affrontare i lavoratori autonomi nei diversi settori e in generale di coloro che svolgono attività professionali: dalla natura dei loro rapporti contrattuali (i vari regimi delle partite Iva), al rapporto con i committenti: Per quanto riguarda l’autodefinizione e la percezione di se stessi, il 68,5% degli intervistati si sente ‘un professionista/lavoratore autonomo con scarse tutele’ (il 13,6% ”un professionista/lavoratore non regolarizzato” e il 17,9% ”un professionista/lavoratore autonomo”). Tra le mire spicca l’avere una maggiore continuità occupazione con più tutele per il 51%, un compenso più elevato per il 34% e un lavoro stabile con contratto a tempo indeterminato per il 15,1%.La ricerca Cgil osserva quindi come “la maggior parte non si percepisce in una condizione di falsa autonomia ma come un professionista indipendente che opera sul mercato, col bisogno di continuità occupazionale, più diritti e tutele, compensi più elevati”. Si traccia poi un profilo di chi si sente un ”dipendente non regolarizzato”, ovvero: mono committente con reddito basso, in professioni non ordinistiche e con contratti soprattutto parasubordinati (più delle partite Iva); per quanto riguarda le professioni, sono sopratutto nei settori dell’informazione ed editoria e nell’archivistico e bibliotecario. Si parla dunque molto anche del concetto di “autonomia” nel lavoro, dell’esposizione continua alla disoccupazione, della determinazione dei livelli di reddito che si possono raggiungere e dell’annosa questione dei contributi aggiuntivi.Molto interessanti i dati sulla contrattazione: il 68% degli intervistati si dice avere ‘poche o nessuna possibilità di contrattazione’, ritrovandosi così in una condizione di debolezza. Il 13,5% ha un contratto collettivo di riferimento, l’11% è iscritto ad un sindacato mentre il 42% è iscritto ad un’associazione professionale. Al sindacato chiedono principalmente impegni sulle retribuzioni e sulle tutele in caso di disoccupazione: per il 79,6% sarebbe utile istituire un equo compenso, il 77,4% vorrebbe maggiori diritti e tutele nel contratto nazionale di lavoro, il 74,2% li vorrebbe in quello aziendale. Dati che, sottolinea la ricerca, “riconoscono al sindacato un ruolo fondamentale”. E sono soprattutto i professionisti non iscritti agli ordini a volere queste azioni. Azioni che il sindacato dovrebbe sostenere coinvolgendo maggiormente i professionisti, come emerge la ricerca, e includerli nella negoziazione sindacale per rivendicare in primis la riforma del sistema previdenziale per garantire equità di contribuzioni e pensioni adeguate.
Associazione Bruno Trentin
“Vita da professionisti”: i risultati della ricerca CgilSi sentono e si identificano come professionisti, lavoratori autonomi nel 70% dei casi, interessati ad avere una maggiore continuità occupazionale, con più diritti e tutele, e compensi più elevati. Hanno poche o nessuna possibilità di contrattare condizioni e reddito, quest’ultimo per altro nel 45% dei casi sotto i 15 mila euro, e al sindacato, nel quale credono, chiedono un’azione contrattuale inclusiva e di poter contare. È in sintesi il quadro che emerge in “Vita da professionisti”, una ricerca rivolta ai professionisti non dipendenti, di qualsiasi settore, che operano come autonomi o con qualsiasi forma contrattuale a termine, discontinua o precaria, realizzata all’Associazione Bruno Trentin con il contributo e il supporto della Consulta delle Professioni della Cgil e della Filcams Cgil.La ricerca – che è stata presentata ieri pomeriggio nella sede nazionale della Cgil, con il coordinamento giornalistico di Dario Di Vico, e con gli interventi di Alessandro Laterza, vicepresidente di Confindustria e Filippo Taddei, responsabile economico del Pd – è stata condotta su un campione rappresentativo dell’universo dei circa 3,4 milioni di professionisti in Italia, ‘pesato’ rispetto ai dati Isfol, frutto di 2.210 questionari raccolti (per 1.620 validi) così suddivisi: il genere è stato composto per il 58,4% da uomini e il 41,6% da donne; l’età contesa tra pochi giovani e classi centrali, per il segmento tra i 30 e i 45 anni, pari al 42,9% del campione; con titolo di studio costituito per il 46% da diplomati e il 53% da laureati o più; distribuiti su tutto il territorio nazionale, con concentrazione nelle grandi città come Roma, Milano, Torino, Bologna e Napoli; infine diviso tra professioni regolamentate (35%) e non regolamentate (65%). Nella ricerca sono considerati tutti gli aspetti dei problemi concreti che si trovano ad affrontare i lavoratori autonomi nei diversi settori e in generale di coloro che svolgono attività professionali: dalla natura dei loro rapporti contrattuali (i vari regimi delle partite Iva), al rapporto con i committenti: Per quanto riguarda l’autodefinizione e la percezione di se stessi, il 68,5% degli intervistati si sente ‘un professionista/lavoratore autonomo con scarse tutele’ (il 13,6% ”un professionista/lavoratore non regolarizzato” e il 17,9% ”un professionista/lavoratore autonomo”). Tra le mire spicca l’avere una maggiore continuità occupazione con più tutele per il 51%, un compenso più elevato per il 34% e un lavoro stabile con contratto a tempo indeterminato per il 15,1%.La ricerca Cgil osserva quindi come “la maggior parte non si percepisce in una condizione di falsa autonomia ma come un professionista indipendente che opera sul mercato, col bisogno di continuità occupazionale, più diritti e tutele, compensi più elevati”. Si traccia poi un profilo di chi si sente un ”dipendente non regolarizzato”, ovvero: mono committente con reddito basso, in professioni non ordinistiche e con contratti soprattutto parasubordinati (più delle partite Iva); per quanto riguarda le professioni, sono sopratutto nei settori dell’informazione ed editoria e nell’archivistico e bibliotecario. Si parla dunque molto anche del concetto di “autonomia” nel lavoro, dell’esposizione continua alla disoccupazione, della determinazione dei livelli di reddito che si possono raggiungere e dell’annosa questione dei contributi aggiuntivi.Molto interessanti i dati sulla contrattazione: il 68% degli intervistati si dice avere ‘poche o nessuna possibilità di contrattazione’, ritrovandosi così in una condizione di debolezza. Il 13,5% ha un contratto collettivo di riferimento, l’11% è iscritto ad un sindacato mentre il 42% è iscritto ad un’associazione professionale. Al sindacato chiedono principalmente impegni sulle retribuzioni e sulle tutele in caso di disoccupazione: per il 79,6% sarebbe utile istituire un equo compenso, il 77,4% vorrebbe maggiori diritti e tutele nel contratto nazionale di lavoro, il 74,2% li vorrebbe in quello aziendale. Dati che, sottolinea la ricerca, “riconoscono al sindacato un ruolo fondamentale”. E sono soprattutto i professionisti non iscritti agli ordini a volere queste azioni. Azioni che il sindacato dovrebbe sostenere coinvolgendo maggiormente i professionisti, come emerge la ricerca, e includerli nella negoziazione sindacale per rivendicare in primis la riforma del sistema previdenziale per garantire equità di contribuzioni e pensioni adeguate.