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Post N° 278


I fannulloni? Tutti al lavoroTre mesi dopo gli arresti in ospedale
Timbravano regolarmente poi si allontanavano dall'ospedale FRANCESCO OLIVOTutti al lavoro. I fantasmi della corsia si sono rimaterializzati. Accusati a luglio di assenteismo e sospesi dal servizio, chirurghi, infermieri e impiegati dell’ospedale di Perugia sono già tornati a quel lavoro che spesso e volentieri abbandonavano per dedicarsi ad altro. Tutti tranne uno. Ieri, il tribunale del Riesame ha respinto l’ennesimo ricorso del caposala Luciano Brugnoni, 43 anni, quello che secondo l’accusa l’aveva combinata davvero grossa: arrivava, timbrava, poi saltava regolarmente su un’auto aziendale e se ne andava per i fatti suoi. Verrà anche il suo turno, prima o poi reintegrano anche lui. Intanto, ecco gli altri 11 «fannulloni» alle prese con una vita che forse neanche ricordavano, tra degenti da operare, esami da refertare e pasti da consegnare, in questi stanzoni dove l’odore della malattia si mescola con quello del disinfettante. Sono tornati alla spicciolata e soprattutto in silenzio, ma la loro presenza non passa inosservata. Le maglie larghe della legge, l’abilità degli avvocati, l’eterno vizio italiano di scandalizzarsi un giorno e perdonare il giorno dopo, sono ora al centro di una dura polemica che attraversa i padiglioni e investe la città. L’azienda si chiude in un imbarazzato silenzio, i colleghi («Niente nomi, per carità») si dividono. C’è chi se la prende con la giustizia morbida («Quelli hanno sputtanato tutti noi, dovevano essere licenziati in tronco») e chi ha già perdonato: «Sono padri di famiglia: avranno sbagliato ma bisogna pensare anche ai loro figli». Nel frattempo continuano le indagini dei magistrati e, secondo le indiscrezioni, a breve si arriverà al processo. L’inchiesta peraltro non riguarda soltanto i 12 finiti in manette lo scorso luglio. Nel mirino ci sono altri 68 dipendenti iscritti nel registro degli indagati, dei quali la procura non rivela il nome, ma a quanto si apprende si tratta sempre di medici e infermieri. L’unico a non poter tornare a lavoro è Luciano Brugnoni. Se ha davvero usato un’auto dell’ospedale dovrà rispondere anche di peculato. Negli interrogatori aveva giustificato così le fughe dalla corsia: «Vero, me ne andavo, ma lo facevo per assistere i malati a domicilio, sempre gratis». Lui e la moglie, l’infermiera della chirurgia Fabiola Rosati, furono i soli a finire in carcere. Dopo più di un mese, la detenzione di Brugnoni è stata tramutata in arresti domiciliari. Dal 3 settembre è libero. Ora vuole tornare in ospedale, ma ieri il tribunale ha rigettato il ricorso del suo legale, Giuseppe Caforio. Brugnoni protesta: «Sono tornati tutti, ora voglio lavorare anch’io, non è giusto». L’azienda ospedaliera non vuole spiegare le proprie ragioni. E si capisce: il reintegro dei presunti assenteisti è stata una scelta obbligata, dal momento che il giudice per le indagini preliminari ha annullato il divieto al lavoro, e provvedimenti disciplinari potrebbero essere impugnati con relativa semplicità dagli avvocati. Intanto, sono state prese nuove misure per il controllo dei dipendenti, come l’impossibilità di duplicare il badge e molte restrizioni per i permessi. Il ritorno degli undici sta turbando la vita dell’ospedale. Oggi come ieri a far discutere è più che altro la severità delle misure prese dalla magistratura e l’attenzione dei media, accusati di aver offeso la dignità dei lavoratori dell’azienda. Di questo atteggiamento non si stupisce padre Nicola, cappellano dell’ospedale, che con aria disincantata spiega: «Qui c’è stata soprattutto solidarietà verso le persone coinvolte». Il fatto è che a Perugia l’operazione di luglio è sembrata a tutti eccessiva, e in molti si chiedono perché non si sia intervenuti con strumenti diversi. Tra questi Aurelio Dozzini, segretario di Chirurgia del Santa Maria della Misericordia e consigliere comunale dello Sdi: «Sarebbe stato meglio un provvedimento interno invece che far intervenire i carabinieri. Quelle sono cose da stato di polizia. Non si può considerare connivente chi lavorava con queste persone. In ogni caso oggi un po’ d’imbarazzo c’è». A qualcuno, però, proprio non va giù il fatto di dover lavorare accanto a colleghi che con queste irregolarità hanno screditato tutta una categoria. «Non li dovevano far tornare - protesta con garbo un infermiere durante la pausa pranzo - la loro presenza danneggia quelli che lavorano davvero. Ora i pazienti ci chiedono se anche noi siamo dei nullafacenti. Il fatto è che chi sbaglia non paga mai, pensi che una di quelli è stata anche promossa, ora fa la segretaria di un primario». Malignità, certo, ma anche il segno che la serenità tanto sbandierata al Santa Maria della Misericordia è solo di facciata. «Non si deve infangare il nostro lavoro, non siamo l’ospedale dei fannulloni», ripetono tutti. «La nostra struttura rappresenta un’eccellenza, qui vengono a curarsi da tutta Italia», spiega Lucio Crinò, primario di Oncologia. E aggiunge: «Non si può buttare tutto nel cestino solo per il comportamento censurabile di 12 persone, si tratta di personaggi marginali, per conto mio invece di riprenderli si doveva sospenderli per sei mesi, probabilmente le norme non lo consentono...». Oggi, alle 6.30+++, l’infermiere che poche settimane fa lasciava camice e sigarette sul tavolo della caposala e fuggiva con un’amica, è atteso in sala operatoria. Buon lavoro.