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Una Svizzera figlia dell'immigrazione

Post n°112 pubblicato il 14 Febbraio 2017 da tronzanolagomaggiore

 

 

 

 

 

 

La storia delle italiane e degli italiani in Svizzera non è ancora scritta fino in fondo, ma se si poteva offrire un ulteriore contributo - soprattutto in tempi in cui l'argomento non gode di particolari simpatie - sicuramente c'è riuscito il libro fotografico "Grazie a voi". Curato dalla sociologa Marina Widmer ed edito dalla Limmat Verlag di Zurigo il libro riconosce a priori che "gli italiani hanno coniato la Svizzera moderna". E lo fa ricorrendo all'iconografia meno "ufficiale"dell'immigrazione, percorrendo un periodo di tempo, dalla Seconda Guerra Mondiale agli anni '80, in cui gli italiani, chiamati dalla Svizzera, sono venuti di propria iniziativa contribuendo decisivamente allo sviluppo del Paese. Una Svizzera formato immigrazione che, dal secondo dopoguerra fino alla metà degli anni Settanta del secolo scorso, ha accolto da sola quasi il cinquanta per cento del flusso migratorio italiano. Un flusso che, come ricorda lo storico delle migrazioni Toni Ricciardi (vedi intervista in pagina), "per lungo tempo è stato sottovalutato e quasi dimenticato dalla storiografia nazionale italiana, nonostante abbia attirato milioni di italiani, prevalentemente del Nord-Nordest e poi, a partire dagli anni Sessanta, del Sud". "Grazie a voi" testimonia una coesistenza, quella che contraddistingue il rapporto tra italiani e svizzeri, senza escludere il rifiuto e l'ostilità. Anche se nel Secondo Dopoguerra la pubblica opinione elvetica ha solo una percezione del mondo parallelo in cui vivono molti italiani. Quello che è certo è che in quei tempi di forte ripresa economica nessuno parlava di "integrazione", semmai la Svizzera si aspettava una loro "assimilazione". Confrontati con una società chiusa e una notevole xenofobia la risposta degli immigrati italiani fu quella di fondare delle loro associazioni per lo sport e il tempo libero, organizzare eventi culturali e feste, aprire proprie scuole e asili infantili. Insomma, come ricorda Marina Widmer, "si costruirono un loro mondo e, partendo da questo, cambiarono se stessi e la Svizzera". "Grazie a voi" diventa così non solo un capitolo dell'emigrazione italiana nella Confederazione, ma anche una lezione politica. Perché le foto, e i testi, raccontano la quotidianità, la famiglia, la scuola, le feste e le ambizioni d'eleganza, ma anche le attività di volontariato nelle associazioni, la partecipazione e l'impegno politico. E, naturalmente, il lavoro. Una presenza massiccia, fondamentale alla crescita e al benessere generale del Paese, quand'anche scandita da stagionalità e precarietà, oltre che da un alto tasso di clandestinità, soprattutto di bambini. Salvo poche eccezioni, tutte instantanee inedite, fotografie messe a disposizione da famiglie e singole persone. Nessuna ricerca artistica, ma estetica sì, soprattutto nel dimostrare un altro tipo di "ricchezza": quella della vita sociale che la comunità italiana è riuscita - contagiosamente - a condurre in quegli anni. 


erocchi@caffe.ch

@EzioRocchiBalbi

12.02.2017

di EZIO ROCCHI BALBI

 

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