I nostri cuori.

Le mie note.


Ho da sempre la passione per la musica, la ascolto sempre ed ho il rammarico di non averla studiata; in fin dei conti la musica è matematica ed io con la matematica mi ci sono sempre trovato bene.In questi giorni ne ascolto moltissima, del resto quando si è appesi ad un filo sottile la musica ti aiuta a far si che quel filo, pur continuando ad attorcigliarsi non si spezzi mai.E sono tre anni ormai, tre lunghissimi anni che il mio filo è attorcigliato, peggio della lenza di un pescatore; passi ore e ore a cercare di districarlo e non ne vieni mai a capo e allora decidi di buttare tutto, costa di meno.Tre anni, tre lunghissimi anni in cui la percezione del tempo e delle cose si è talmente dilatata e sfumata che non riesco nemmeno più a vederle, a sentirle, a toccarle.Quante cose sono successe in questi tre anni; eppure io non le ricordo, non le vedo più, non riesco a definirne i contorni, è come se non mi appartenessero più, come se non mi siano mai appartenute.Mi sto sempre più convincendo che è vero che ci si abitua a tutto; dopo tanto tempo che ti manca qualcosa è come se non l’avessi mai avuta e quindi ti comporti come se non la conoscessi proprio. Ma ci sono cose che non si possono dimenticare completamente: non posso dimenticare che ho una dignità, non posso dimenticare che ho un cuore, non posso dimenticare me stesso.E allora mi chiedo come mai continuo a guardare il pentagramma e non riesco a scrivere neanche una nota, neanche un accordo; o meglio le scrivo ma sono sbagliate stonano, non sono armoniche come vorrei.Di punto in bianco ho realizzato che in effetti non so scrivere la musica, non la so leggere, non la so interpretare. E mi chiedo che ci faccio con il pentagramma e la matita; non hanno senso nelle mie mani, in queste mani insicure, tremolanti, che non riescono più ad afferrare nulla.E ripenso a quando invece queste mani riuscivano ad afferrare tutto, a bloccare tutto ciò che mi piaceva, a fare tutto quello che mi riempiva di gioia; a quando urlavo di gioia per quello che ottenevo, che facevo, che scrivevo.Ora non mi resta che lasciare qui, in queste righe la desolazione della sofferenza, della solitudine; l’urlo soffocato della rabbia inutile, di tutto quello che non sarà, che non accadrà, che non potrò più afferrare.