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FALLUJA

Post n°6 pubblicato il 10 Marzo 2012 da tusiodejuliis

FALLUJA

di  Tusio de Juliis
21 May 2004

Dal nostro inviato in Iraq

Questa mattina ci siamo svegliati presto, quasi le sei e mezza, per le otto e mezza era in programma appuntamento con la Signora Kamar al-Ajaby (Luna) - irachena di origine italiana - coordinatrice dei volontari della Mezza Luna Rossa di Baghdad. Nei giorni precedenti assieme a Luna abbiamo provato a valutare se esistevano le condizioni per un viaggio a Karbala o a Najaf. Niente, nessuna possibilità. Questa mattina ancora scontri. Niente, dobbiamo rinunciare. Bahaa, esce quasi subito per trovare un taxi ed un camioncino per portare con noi anche quattro pacchi per oltre 150 kg. di matite, colori, penne ecc. che avevo depositato qui, a casa mia a Baghdad, durante l' ultima missione. Alle otto e mezza trovo Luna che sta preparando i documenti necessari a un viaggio che, sorprendentemente, ci porterà fino a Falluja.

Carichiamo i pacchi portati da casa, gli apparecchi per aerosol, gli sfignomanometri, latte in polvere, biberon e ciucci, oltre 300 termometri insieme a qualche apparecchio per il controllo del diabete. Il resto, rimane qui, soprattutto gli antibiotici, in attesa che ci sia il via libera per Karbala e Najaf, dove in questo momento sicuramente ce n’è una necessità maggiore. Passiamo a casa di Luna a prendere lo scatolone con i peluche e via finalmente in direzione di Falluja.

Appena fuori Baghdad, veniamo rallentati da una lunga fila di cingolati americani che vanno nella nostra direzione. Ormai stiamo sull' autostrada, la stessa che si prende per andare verso Amman (circa 1000 chilometri). A meno di cento metri sulla destra dell'autostrada oltrepassiamo le famigerate carceri di Abu Khraib. Un luogo questo che non ha bisogno di dettagli; il concentrato peggiore della disumanità, della stupidità e della volgare raffinatezza della perversione umana. Davanti vi sostano un centinaio di macchine e tantissime persone. C'e chi è convinto che gli orrori che succedevano all' interno sono sporadici casi della malattia mentale di qualche soldatino americano; c'è chi invece sostiene l'esistenza di una direttiva governativa. La realtà è ben diversa. E' la cultura dell' americano che ormai viaggia sulla falsa riga dell' uomo superiore, ma è soprattutto la convinzione di larghi settori dell' economia e della politica americana ad essere convinta che sopra ogni cosa e al di sopra di ogni altro interesse vi sia quello della supremazia ad ogni costo per il mantenimento del proprio benessere. Non ci resta che sperare nell'intelligenza e nelle capacità dell'altra America !

Oltrepassiamo Abu Khraib e poco dopo usciamo dall'autostrada per immetterci sulla strada per Falluja. Tutto sembra molto tranquillo, al di sotto di un cavalcavia c'è il primo chek point dei soldati iracheni; i soldati americani sono sparsi un pò intorno, ma sono fuori dal perimetro della città, questi sono gli accordi con la resistenza. Una lunga fila di macchine e camion, e appena le guardie si accorgono della nostra presenza, sganciano un pezzo di filo spinato e ci lasciano passare risparmiandoci la lunga attesa dei controlli.

Siamo entrati a Falluja. Percorriamo un diritto e lunghissimo viale fino alla sede della Mezza Luna. I negozi sono aperti e c'è parecchia gente in giro, si cominciano ad intravedere i primi effetti dei venti giorni di assedio ma soprattutto degli “eroici” bombardamenti difensivi della “valorosa” aviazione americana. Molte le case ridotte a colabrodo dalle sventagliate di mitra dei carrarmati, altre colpite dai missili, sono completamente distrutte.

Ed ecco che incontriamo la prima moschea, dove donne e bambini vi avevano trovato rifugio, qui gli eroici soldati americani hanno vomitato con particolare accanimento tutta la loro viltà e forza distruttrice. Almeno sette sono state le Moschee colpite, circa mille i morti e duemila i feriti: un crimine senza precedenti. Quando siamo arrivati alla sede della Mezza Luna Rossa, c'erano dirigenti e volontari. Non mi aspettavo una tale accoglienza e appena sanno che siamo italiani, ho visto i loro volti aprirsi e ringraziarci con un affetto tutto particolare. Abbiamo scaricato tutto il nostro materiale e abbiamo aperto i pacchi: Apparecchi per areosol - circa 300 termometri - biberon e ciucci, ecc.: la loro gratitudine sembrava non finire mai. Caricato su di una macchina, il grande scatolone dei peluche, riprendiamo il grande viale, attraversiamo un piccolo ponte in ferro e ci godiamo per qualche secondo il colore verde-azzurro dell' Eufrate.

L'Ospedale Centrale di Falluja, è appena oltre il grande fiume; entriamo, diritti verso l' ufficio del direttore, che ci riceve con grande cortesia. Noi lo invitiamo a venire con noi a consegnare i peluche insieme, accetta immediatamente e così, seguiti da infermieri e medici andiamo verso il reparto pediatrico; passa un infermiere con una maglia azzurra, quella della nostra nazionale di calcio con tanto di stemma sul petto. Il dott. Ablel al-Jebar, questo il nome del direttore, ci esprime tutta la sua amicizia e gratitudine, insieme a quella dei cittadini di Falluja. Con altre parole si esprime riguardo alla politica del nostro governo.

Sono tantissimi i bambini ricoverati e a tutti, uno per uno, consegniamo un piccolo peluche, pare nulla, ma vi posso garantire che l’effetto sui bambini è persino superiore a quello di un medicinale.Non si esce mai bene da queste visite, perchè si è più carichi, consapevoli che c'è bisogno di fare di più, tanto, tanto di più. Mentre risaliamo in macchina, i nuovi amici della Mezza Luna ci invitano a pranzo, non potevamo dire di no, anche perchè erano ormai passate oltre tre ore e avevamo proprio una gran fame. Sicuramente, se si vuol gustare il miglior Kebab di tutta l' Iraq e del Medioriente,

bisogna venire qui a Falluja, la città martire, la città che ha imposto agli americani di restare lontani, la città che non può aver riconosciuti funerali di Stato; tra questa gente che “pare esprimano” lo stesso pianto delle nostre madri; loro, che hanno visto morire centinaia di migliaia dei loro figli senza poter fare nulla.

Loro, costretti ogni giorno al dolore più grande che si possa mai vivere: vedere assassini e sadici spadroneggiare dentro i loro rifugi cingolati. Tornando a Baghdad pensiamo alla necessità di restare ancora di più accanto a questo popolo martoriato, di invitare le associazioni umanitarie a rientrare in Iraq (casomai con un simbolo che le distingua e le renda ben riconoscibili), perchè non passi tra gli iracheni l' idea falsa del “volontariato umanitario degli occupanti” e degli “eserciti di pace”.

Tusio de Juliis
t.dejuliis@reporterassociati.org

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