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Un treno per Milano


dalla nostra Vetrina di questa settimanaUn treno per Milano(di Luigi Caruso)Treno per Milano. Primo pomeriggio di un giorno prima di Natale.Ogni due venerdì lasciavo Roma, appena uscito dall’ufficio, correndo alla stazione Tiburtina per infilarmi nell’Intercity Napoli-Milano. Come al solito treno pieno, gente che si accalcava sui corridoi, voci che si alzavano per contendersi un posto.“E’ prenotato” “No guardi anche io ho la prenotazione per questo posto” capitava anche questo sul treno Napoli-Milano.Andai al mio posto, pronto alla battaglia, ma non fu necessario. Lo trovai scaldato dallo zaino di un ragazzo che alla vista del biglietto di prenotazione prese senza storie la sua roba e la mise sulla rete in alto.Come di rito scrutai i miei compagni di viaggio. È piacevole percepire la possibilità di una conversazione interessante osservando i volti dei vicini. Di solito ero fortunato ma quel giorno, col Natale alle porte, ringraziai subito il rifugio sicuro offertomi dal quotidiano e dal libro che mi ero portato dietro come compagni fedeli.Partenza, nemmeno in ritardo. Verso Firenze, prima tappa.È bello viaggiare. Anche se si va con un leggero senso di disagio verso un appuntamento dagli incerti contorni. Non era una persona ignota quella che andavo ad incontrare. Erano più di due anni che, a fasi alterne, stavamo insieme.Ignoto era il nostro senso, quello stare insieme così tumultuoso, sempre appeso al filo sottile dei nostri umori. Un oscillamento tra una sottile perfida angoscia e la scossa di stimoli nuovi.Arrivò la stazione di Santa Maria Novella. Chi scendeva e chi saliva. Io non mi affacciai sul corridoio, come facevo di solito. Rimasi seduto al mio posto, guardando a malapena fuori. Quel giorno stavo chiuso in me, insieme ai miei compagni di viaggio di carta.Il treno ripartì.Era ormai buio. E il buio mi faceva compagnia, mi aiutava a non alzare gli occhi per guardare fuori dal finestrino. Mi rannicchiai in me stesso e mi sentii sicuro così.La mattina dopo avrei avuto un colloquio all’Istituto di psicologia industriale, un test per scoprire le mie attitudini lavorative. Volevo cambiare, ne avevo bisogno. Mi ero già stufato dopo nemmeno cinque mesi di trafficare con carte polverose, colleghi scostanti e diffidenti e un lavoro noiosamente ripetitivo. La burocrazia è un’arma pericolosa da maneggiare, se il fumo colpisce i polmoni lei spegne il cervello. La sfida mi eccitava, come tutte le cose in divenire. Tutto ciò che potrebbe essere schiude prospettive in cui l’immaginazione dilaga, creando piccoli film di vita, come potrebbe essere se…Alzai gli occhi dal libro e decisi che era il momento di fare due passi. Come la vidi in corridoio, seduta sul predellino, mi diedi dello stupido a non essere uscito prima. Lei aveva incrociato il.mio sguardo nel momento in cui ero uscito dallo scompartimento e aveva immediatamente smesso di leggere la rivista e ora fissava me, fermo sulla soglia. La timidezza prevalse e spinse il suo sguardo fuori dal finestrino. Istintivamente mi mossi verso di lei ma senza avvicinarmi troppo. Tornò a posare i suoi occhi verdi su di me ed iniziò a muoversi sul sedile come se volesse chiamarmi ma si trattenesse dal farlo. Mi decisi e avanzai lentamente verso di lei. Non ricordo chi iniziò a parlare, ma quei pochi minuti prima della stazione di Bologna furono densi del nostro raccontarsi.Mi piaceva quel che diceva e come lo diceva. Scoprivamo una sintonia spontanea nei nostri pensieri. Sentivo la necessità di rivederla, per capire quanto profonda potesse essere quell’attrazione reciproca. Il treno rallentò in prossimità della fermata e lei attendeva l’invito a rivedersi. Il tempo si stava chiudendo e io restavo lì, alternando silenzi a frasette banali. Ero bloccato, non riuscivo a dire “Mi dai il numero, ci rivediamo”. Avevo paura.Paura di sbagliarmi, paura che avessi frainteso i suoi occhi, le sue mani sulle mie e le sue parole..Il treno si arrestò, lei rimase ferma, aspettava qualcosa da me che non venne. La gente la spingeva per scendere, qualcuno le gridò di muoversi. Lei continuava a fissare me che rimanevo muto a immaginarmi mentre le chiedevo il numero di telefono per poi andarla a trovare, passeggiare per Bologna con lei. Baciarla.Infine scese, voltandosi ancora a guardarmi.Passai il resto del viaggio di pessimo umore. Rivivendo la stessa scena a ripetizione.Non la rividi più.Oggi continuo a passare le carte in quel vecchio ufficio polveroso.Sto sempre con la stessa ragazza che andavo a trovare a Milano. Si è trasferita a Roma, viviamo ognuno a casa propria. E ancora mi è ignoto il nostro senso.Luigi Caruso e www.tuttiscrittori.it