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Elliy & Mec - racconti


La selezione dei finalisti del gioco letterario si sta rivelando impresa ardua... il sangue scorre a fiumi in redazione e così -  tra una scazzottata e l'altra - abbiamo  pensato a un modo per ingannar l'attesa... Ecco il compitino di Elliy e Mec (ghiotta occasione per infierire di nuovo!):L'INCONTRO
CANTO  (elliy) Non avrei dovuto farlo. Avevo sfiorato il suo viso con una carezza leggera e poi appoggiato le labbra sopra le sue: primo vibrante contatto.Non avrei dovuto attraversare quella passerella, abbandonare la mia terra di ghiaccio. Sapevo che questo mi avrebbe precipitato di nuovo in un vortice di ansie e di attese e di desideri inutili. Come apparecchiare sontuosamente e poi impazienti sedersi a tavola per assaporare quella gioia intensa lungamente attesa, attratti da un profumo che però non avrebbe riempito i piatti, né saziato.Ma il cuore, quello non si può addomesticare. E mi aveva spinto oltre, stroncando ogni discussione.E mentre il suo braccio mi avvolgeva e premeva sulla mia schiena,  indugiando, il mio corpo implorava “stringimi a te”... impaurito. E così lo avevo spinto un po’ in là.Era stato poi un colpo di vento a far volare via il suo cappello e a portare lontano quelle labbra. Rideva correndo nel parco e si voltava a guardarmi. Non avrebbe dovuto guardarmi. Era inciampato in un sasso, forse nelle radici di un albero. Era caduto ed era rimasto immobile, col vento che gli gonfiava il cappotto mentre il cappello, buffo, roteava lì intorno.Avevo gridato il suo nome, due volte, ma non aveva risposto. Al parco, in inverno, dopo il tramonto non viene nessuno. Anche i cani girano altrove, quando c’è vento e un uomo è caduto.Gridavo di nuovo il suo nome, adesso, e correvo verso di lui, mi chinavo, col respiro spezzato, in ginocchio, a voltarlo, in preda al terrore,  cercando al tatto la vena, sul collo, per sentire se il battito c’era...  ma lui... lui sorrideva! Sorrideva? E spalancava le braccia. E ridendo mi trascinava sull’erba: “Ti voglio....” Non avrebbe dovuto guardarmi mentre accostava il respiro e le labbra. Le sue labbra a sfiorare le mie. E il vento in mezzo. I miei occhi puntati nei suoi. E il vento – gelato - in mezzo.Di nuovo lo avevo spinto più in là, senza parlare. In piedi, avevo stretto il cappotto e avevo ripreso la bussola. Puntavo a nord.Dove il freddo diventa casa e il ghiaccio non rischia di sciogliersi.***CONTROCANTO (Mec)Non avrei dovuto lasciarglielo fare. Avevo fatto le fusa come un gatto al solo sentire i suoi polpastrelli sfiorarmi la tempia, con tatto e magia. Con gli occhi socchiusi  avevo sentito il sapore lieve delle sue labbra addomesticare le mie.Poi la paura, poi il desiderio, poi un pensiero errabondo sperduto nel labirinto di intenti e radici affondate nel ventre, poi il suo stesso aspettare il raggio di sole che solo poteva sciogliere il ghiaccio per attraversare stregati la passerella che ci aveva tenuti distanti dalla gioia intensa dell’inevitabile incontro.Io l’ho sentita, l’ho vista rapita preparare un pasto regale e poi non avere il coraggio di sedersi a tavola e così rifiutare il profumo sospeso sulla nostra fame insaziabile.Poi ho sbagliato qualcosa, stavo sbagliando qualcosa! come quando ti accorgi di aver detto una parola che non dovevi in una discussione… l’ho stretta più forte e ho capito, finalmente capivo e urlavo la mia felicità ridendo in faccia al vento che si portava via il mio cappello.E correvo ridevo la guardavo correvo… poi perdevo la bussola e inciampando battevo forte in terra col petto malato. Un tonfo, mi mancava il respiro, il cuore si arrestava per pochi secondi sufficienti a capire, non potevo parlare, ma lei mi chiamava e mi chiamava ancora e si era fatto buio e non c’era intorno nessuno …ma non era il momento non ancora e la smorfia mi si spegneva sul viso lei s’avvicinava e tremante la sentivo al mio fianco che mi tirava e mi girava il viso verso di lei e io …ancora ridevo, felice, ridevo e resistevo non potevo lasciarla non così non in quel momento.Doveva farlo da sola, doveva andarsene via da me, allontanarsi prima che fosse tardi. La guardai la presi la strinsi e l’abbracciai con quel poco di forza che mi restava quel barlume di vita che ancora era acceso... “voglio te” …. la baciai per l’ultima volta.Si voltò era forte ce l’avrebbe fatta, per me il viaggio stava finendo ed era stato un bel viaggio comunque. La vidi andar via, piano, rassegnata e decisa verso il suo destino fatto di ghiaccio e ricordi.