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Post N° 65


GIOCO LETTERARIO - L'INCONTRO
***Non è stato facile scegliere UN racconto tra i tanti pervenuti, ma questa è la dura legge dei giochi e dei concorsi. Tanto è vero che qualcuno ha inventato il famoso detto "l'importante è partecipare"...! Un grazie di cuore a tutti coloro che hanno giocato con le parole e con la scrittura e si sono divertiti insieme a noi!A questo punto... ci siamo.Ricordando i nomi dei finalisti: andecaa agentealcairo bartelio costantia eosia maryrose6 sara _1971 - soledargento writer_lady  Con la seguente motivazione:"Grande forza evocativa di luoghi, persone, atmosfere, capace di trascinare il lettore all'interno della storia, fin dalle prime battute: “Questa è la strada che percorrevo per andare a scuola, vedi?”. E’ la strada che  porta la protagonista in quel suo mondo che non la accetta perché non “omologata”; una strada che diventa teatro di un piccolo incontro-scontro dal quale esce vittoriosa, ben decisa a non tradire mai l’incontro con se stessa. Un ritmo incalzante, una scrittura semplice ed efficace che ci cattura fino alla domanda conclusiva: "Ma cosa devo fare io con te?", lasciandoci col desiderio di poter leggere ancora."***IL RACCONTO VINCITORE DEL GIOCO  LETTERARIO E'******MASCHIACCIA   di  andecaa******Questa è la strada che percorrevo per andare a scuola, vedi? Si doveva passare lungo questo sentierino, facendo attenzione a non inciampare nelle radici dei salici chini fin dentro il Rio e poi oltrepassarlo. Avevamo costruito una passerella con vecchi tronchi ammuffiti, in modo da addomesticare il percorso. San Lazzaro non era così, come la vedi adesso. Era circondata da fattorie. Molti dei miei compagni venivano da esse. Per questo a scuola si studiava tutto il programma fino al limitar della primavera e poi, si ripassava solamente. Avrei voluto andare insieme a loro a spulciar granturco, e giocare “a cucco” tra i covoni. Ma mia madre non me lo permetteva. Era una gioia intensa però, quando non vista, scappavo nei campi e racimolavo le ultime patate sepolte nella terra, screpolata dal sole, eppure così fresca, al tatto! Se avevi la fortuna di avere per madre una maestra, come la Gloria, arrivavi addirittura a scuola che sapevi già tutto, e venivi eletta capoclasse perché eri la più brava. Io non sono mai stata eletta capoclasse in vita mia. Col tempo, ti abitui all’idea e anzi, ti convinci che è un ruolo a cui rinunci volentieri. Nessuna discussione, niente regole, per chi non è il primo e deve dar l’esempio, certo. Però all’epoca, guardando l’altezzosa Gloria che dirigeva la preghiera mattutina in classe e la schiera di amiche che la seguivano ovunque all’ora di ricreazione quasi fosse una bussola, ti sembrava un grande privilegio. Io non avevo amiche in classe. Ero una maschiaccia, come chiamavano allora le bambine che salivano sugli alberi e nascondevano una fionda nella tasca del grembiule, o preferivano giocare con la cerbottana e arrotolar freccette di carta coi maschi. E sebbene ammirati per tanta perizia nei giochi più sfrenati, non è che quelli ti accettassero di più. Ti guardavano un po’ come una cosa rara da cui diffidare. “Tu non sei mica tanto normale” aveva un giorno osato dirmi, incontrandomi sul percorso verso la scuola, Roberto il bello. Era il cocco della maestra, perché così biondo, sembrava un angelo del presepe, e la Gloria gli faceva gli occhi dolci, ricambiata. Esser capoclasse, evidentemente, significava anche esser amata dal più ambito della scuola. “Hai un nome impronunciabile, vieni dall’altro capo del mondo, e non ti comporti come tutte le altre femmine. Non salti la corda, non giochi a regina reginella. Tu sei un maschio con la gonna! Non sei normale… pappappero non sei normale… pappap…” Non riuscì a finire la frase. Un pugno secco, ben assestato all’altezza del diaframma lo zittì. Ricordo il suo viso, prima rosso paonazzo e poi subito dopo livido. Fui spedita dietro la lavagna a scrivere “le brave bambine non danno pugni” per cinquanta volte, quindi la maestra telefonò a mia madre giusto all'ora di sedersi a tavola, in tempo per guastare la cena a tutti. Lei, abbandonandosi senza più forze, scuotendo la testa senza tregua si chiedeva desolata: “Ma cosa devo fare io con te?”