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CHE FINE HANNO FATTO I PANINARI ?

Post n°158 pubblicato il 25 Febbraio 2009 da R90
 
Tag: anni 80

I galli ruotavano con le Zundapp oppure con i tuboni Garelli, vestivano piumino Moncler,
cintura El Charro, Ray-Ban neri e Timberland (o più precisamente: Timber) da boscaiolo. Le sfitinzie o squinzie, da grippare fuori dai locali per un sabato sera al cinema o in due, avevano dei fuseaux fluorescenti, capigliatura riccia monumentale (ma allora non si usava il casco) e maglioni con spalle imbottite. “Wild Boys” il loro inno nazionale, era cantato da Simon Le Bon e i Duran Duran, che Clizia Gurrado avrebbe voluto sposare tra l’odio generale delle sue coetanee. I loro nemici erano cinghiali, cinesi e spesso i sapiens… signori, giù il cappello: onore ai Paninari!

Il movimento

I Paninari rappresentano il movimento giovanile più famoso degli anni ’80. Finita l’era delle grandi contestazioni e delle proteste, i ragazzi degli Eighties, diciamo quelli nati tra il 1966 e il 1972, cominciavano a frequestare i primi fast food italiani. Come ogni moda che si rispetti, arrivarono da Milano e precisamente da tre locali, attorno al 1984: erano il bar Cavour di via Turati, i locali di via Vigoni e piazza Santa Croce, sparuti gruppi al bar Vittorio a lato del liceo Leone XIII. Il sabato, poi, la riunione era al locale “Al Panino” di piazzetta Liberty.

Gloriosi Ottanta! Non era ancora venuto il tempo dei pub (fenomeno degli anni ’90), e i fast food erano già cult grazie a “Drive In” e le sue poppute ragazze: prima un panino, poi tutti al cinema a vedere un film o andare in giro per Milano. E fu attorno alla metà del 1985 che i Paninari esplosero definitivamente, finendo su tutti i giornali e dotandosi di un’omonima rivista (Il Paninaro, appunto). In quel periodo, infatti, aprì il Burghy di piazza San Babila (che esiste ancora, ma è proprietà di un’altra catena di fast food), che divenne il definitivo punto di riunione dei paninari, figli di una Milano bene (ma non solo) che poteva permettersi vestiti firmati e tornava a respirare dopo la grande paura degli anni ’70, quando la città era blindata. Milano non era più “violenta” come nei film del decennio precedente, ma “da bere”, ricca, craxiana e piena di modelle e voglia di fare. E i ragazzi si adeguavano, sognando l’America, le vacanze estive a Montecarlo o in Versilia, l’inverno a Cortina. Si vestivano con dettami precisi, portavano i capelli a spazzola con – eventualmente – gel a chili (è allora che è iniziata la nostra calvizie), e sostanzialmente si dedicavano al cucco delle sfitinzie e qualche spacconata. Magari tratta dal personaggio inventato da Enzo Braschi a “Drive In”, la caricatura del paninaro, appunto, uno che era “troppo giusto” e aveva come nemici i dark e i metallari, sempre pronti in qualche modo ad attaccare i Paninari.

I Paninari erano di destra?
Qualcuno sostiene che, data l’estrazione sociale, i Paninari fossero inconsciamente di destra. Ma è difficile sostenere questa tesi, dal momento che, anche se nemici dei cinesi (gli studenti di sinistra), i Paninari erano figli di un decennio di benessere e disimpegno, dopo le angosce e le lotte degli anni ’70. E poi loro erano genuini, non politicizzati. Quindi lasciamo da parte certi discorsi, i paninari erano i paninari, qualcosa a sé e basta.

Come morirono i Paninari?
Come ogni movimento, anche i Paninari hanno avuto una loro fine. Qualcuno sostiene che si siano estinti di vecchiaia, quando insomma con l’arrivo degli anni ’90 presumibilmente erano ormai quasi tutti universitari e magari qualcuno in procinto di laurearsi. Qualcunaltro invece crede che il movimento abbia avuto una sorta di ‘rompete le righe’ nel 1989, quando Jovanotti – che pur non essendo un paninaro, era comunque apprezzato nel giro anche in virtù del suo primo abbigliamento da cowboy americano (altro che l’intellettualismo di ora…) – partì per il servizio militare. È molto probabile che il movimento si sia estinto per una serie di concause: innanzitutto, nel 1988 termina dopo cinque anni la trasmissione “Drive In”, grazie alla quale il movimento era esploso nel Paese. Privo di questa cassa di risonanza, il Paninarismo finisce in sordina anche per l’arrivo dei ’90, decennio in cui l’Italia attraverserà una forte crisi economica.
Si può legittimamente pensare che l’Italia degli anni ’80, e con essa quella dei Paninari, si sia definitivamente estinta nel 1990, quando dopo i Mondiali l’avvocato Gianni Agnelli prese atto che “la ricreazione” fosse ormai finita. E con essa anche la Milano da bere.

Dizionaretto paninaro
Chinghiali o cinghios: i tamarri di ogni tempo
Cinesi: studenti di sinistra
Galli: i ragazzi
Grippare: dall’inglese grip, ghermire, afferrare qualcosa o qualcuno
Gurrado Clizia: sedicenne milanese che scrisse un libro, “Sposerò Simon Le Bon”, da cui fu tratto nel 1986 l’omonimo film. Si attirò l’odio di tutte le sue coetanee, ma contribuì a chiarire da che parte stessero le sfitinzie musicalmente parlando: non con gli Spandau Ballet, ma con i Duran Duran, ospiti a Sanremo 1985
Ruotare: andare in giro con la motocicletta
Sapiens: i genitori
Squinzie o Sfitinzie: le ragazze
Tubone: Motorino 50, di solito elaborato, con una sola trave (il tubo, appunto) a fare da telaio e carrozzeria. Si pensi al Sì della Piaggio, o il Malaguti Fifty, per non parlare del Garelli a quattro marce.

 

 
 
 
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