Non c’è uomo, per quanto saggio, che in un certo periodo
della sua giovinezza non abbia pronunciato parole, o addirittura condotto una
vita, il cui ricordo gli risulti sgradevole e che vorrebbe poter cancellare…Ma
non deve assolutamente rammaricarsene, perché non può nutrire alcuna certezza
d’essere diventato un saggio, nella misura in cui ciò è possibile, se non è
passato attraverso tutte le incarnazioni odiose o ridicole che devono precedere
quest’ultima incarnazione. So che ci sono dei giovani, figli e nipoti di uomini
distinti, ai quali hanno insegnato, sin dal collegio, la nobiltà
dell’intelletto e l’eleganza morale. Costoro, forse, non hanno nulla da
cambiare dalla loro vita, potrebbero
pubblicare e sottoscrivere tutto ciò che hanno detto, ma sono spiriti poveri,
discepoli esausti di maestri pedanti, e la loro saggezza è negativa e sterile.
La saggezza non la si riceve, bisogna scoprirla da soli al termine di un
itinerario che nessuno può compiere per noi, nessuno può risparmiarci, perché è
un modo di vedere le cose. Le vite che ammiriamo, gli atteggiamenti che ci
sembrano nobili non sono stati stabiliti dal padre o dal precettore, sono stati
preceduti da esordi ben diversi, influenzati dal male o dalla banalità che regnavano
tutt’intorno. Rappresentano una lotta e una vittoria. Capisco che l’immagine di
quel che siamo stati una prima fase non sia più riconoscibile e, comunque,
colpisca sgradevolmente. Non per questo dev’essere rinnegata, perché testimonia
che abbiamo veramente vissuto, che dagli elementi comuni della vita abbiamo
saputo estrarre, secondo le leggi della vita e dell’intelligenza, qualcosa che
li trascende.