Il Messia

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 IL VERO AMORE  PARTE I  Quando avevo quattordici anni, i miei genitori mi hanno mandato al tempio, per educarmi alla disciplina dei valori e della vita.Il mio maestro si chiamava Manuele. Aveva il capo rasato e dalla sua nuca partiva una coda di capelli lunga fino alla schiena, legata con un elastico.Il viso di Manuele era sereno.Mi colpì molto il nostro primo incontro, quando, varcata la soglia del tempio delimitata da alte mura, come nelle cittadine medievali e attraversato l’ampio cortile con ciottoli piccoli e levigati, bianchi e piccole piante, basse e verdi, in aiuole rotonde, lo vidi intento a fare inchini, con degli incensi in mano davanti a una grande statua dorata del Vero Uomo.Non avevo mai visto niente del genere.Il mio accompagnatore, un altro monaco, m’invitò a sedere su una sedia contro la parete, dopodiché se ne andò.Al calar della sera, il monaco si presentò: «Benvenuto nel tempio del Vero Uomo».Mi porse la mano. Mi accompagnò alla mensa, dove c’erano monaci e ragazzi di diverse età che consumavano la cena in silenzio.Era tutto ordinato preciso, perfetto.Ogni cosa era al suo posto.Sedemmo, uno di fronte all’altro e, poco dopo, ci fu servita una minestra. Cominciammo a sorseggiarla.Dopo cena, uscimmo nel cortile. Ogni discepolo aveva il suo monaco.I monaci indossavano abiti candidi.Alcuni discepoli vestivano tuniche di diverso colore, altri, come me, erano in abiti civili.«Domani», disse Manuele, «sveglia alle cinque. Avrai la tua prima lezione. In questo periodo, t’insegnerò che cos’è la vita e il suo scopo, il giusto e retto vivere».Fece una pausa e mi guardò.Ero un po’ in soggezione, perché non ero abituato a sentirmi parlare con quella serietà. Si rivolgeva a me come a un uomo, non come a un ragazzo.Riprese: «T’insegnerò questo. Sarà poi tua responsabilità mettere in pratica questi insegnamenti, in famiglia, a scuola, nel lavoro, nelle tue attività, nella vita, nel Mondo.Solo tu, Marco, potrai farlo. Nessun altro potrà farlo al tuo posto, capito?»Feci cenno di sì con la testa.Mi accompagnò alla cella per la notte.Prima di salutarci, disse: «Verrai qui tre volte per un mese, ogni due anni. È importante che tesaurizzi ogni parola, ogni cosa che vedrai».Il suo volto s’illuminò. «Quando avrai diciotto anni, il mio compito sarà finito. Fino ad allora, io sarò il tuo tutore».Se ne andò.Non riuscii a prendere sonno.Solo a notte fonda, riuscii a chiudere occhio.Sentii bussare alla porta.Mi alzai e la aprii.Manuele era lì, sereno. «Buongiorno».Entrò in camera, sedette, guardando diritto davanti a sé.Sciacquai il viso, mi preparai e uscimmo.Andammo alla sala del Vero Uomo, dove si faceva studio, meditazione, preghiera. Disse: «Fai come faccio io».Arrivammo sotto la statua del Vero Uomo, che col sorriso emanava positività.Gli incensi profumavano l’aria.Manuele s’inchinò.Feci lo stesso.«La lezione di oggi» disse, guardando davanti a sé con gli occhi chiusi «è questa: ogni uomo è composto di mente e di corpo. In ogni uomo, ci sono due parti, una interiore e una esteriore».Non aggiunse altro.Si girò verso di me.«Come stai in quella posizione?» chiese.Non risposi.«Sei scomodo?»Feci cenno di sì.«Chi è scomodo, la tua mente o il tuo corpo?»La sua osservazione mi colpì.I primi giorni, quelle parole del monaco: «Chi è scomodo, la tua mente o il tuo corpo?» risuonavano dentro di me.Dopo alcuni giorni, a mensa, terminata la minestra, mi chiese: «Marco, ricordi la lezione?»Risposi di sì, facendo cenno con la testa.«Marco, sei qui per imparare. Devi capire questo: hai bisogno d’imparare, di crescere».Era serio.«Anche se ti possono sembrare insegnamenti semplici, non per questo vuol dire che siano facili».Nel pomeriggio, nella sala del Vero Uomo, disse: «Ripeti con me il mantra Om».Tenendo le mani giunte sul petto, all’altezza del cuore, seguii le sue intonazioni.Terminata la recita del mantra, disse di restare in silenzio.«Quando dico silenzio» precisò, «non intendo che non devi parlare con me. Ma non devi parlare neanche con te. Non devi seguire o commentare i tuoi pensieri. Devi trovare la quiete, dentro di te. Osserva i pensieri comparire all'orizzonte, fermarsi, e poi scomparire».Restammo in silenzio.Manuele si alzò, s’inchinò davanti al Vero Uomo. Restò genuflesso per un poco.Uscimmo nel cortile.«Tu pensi» disse «che la vita del monaco sia fuori dal Mondo, che i monaci vivano in un’altra dimensione, ma non è così».Fece un attimo di silenzio, guardando prima davanti a sé, verso un piccolo mulino costruito dentro un’aiuola, con dei fiori variopinti, poi verso di me.«Per essere monaci bisogna conoscere a fondo la vita, l’Uomo, il Mondo. Bisogna conoscere il Mondo fisico, visibile, e spirituale, invisibile».Mentre parlava, il suo viso s’illuminava, diventava candido. Un’aureola si espandeva da lui.Camminammo per un viale sterrato, adiacente il tempio, che portava a una fitta boscaglia, da cui provenivano richiami di uccelli e rumori di rami che si spezzavano, fino ad arrivare a una cascata.Sedemmo su due massi, in cima al dirupo.L’acqua, cadendo, lanciava zampilli limpidi e bianchi.Più avanti, lo specchio d’acqua, prima di proseguire nel fiume che ne derivava, era limpido e, sulle sponde, si abbeveravano animali selvatici.Mi chiese: «Hai fatto qualcosa per creare quest’armonia?»Lo guardai.Proseguì: «Non hai fatto nulla, ma hai trovato ogni cosa così com’è. Allo stesso modo, tu non hai contribuito alla tua nascita».Lo guardai.«Sei nato senza il tuo consenso. Tu non hai deciso di nascere, ma puoi decidere che uomo essere. Sei co-creatore perché crei te stesso, il tuo carattere. Scegli tu in cosa credere ed in cosa non credere, le tue convinzioni».Tornammo al tempio.Le sue parole entrarono nella mia mente e nelle mie riflessioni.Quella sera a letto, chiusi gli occhi e mi accorsi che respiravo.Respiravo, anche se non volevo respirare.Questo dimostrava che il corpo andava per conto suo, aveva una sua autonomia, che io non ero il corpo.Fu strabiliante questa considerazione che mi portò nel mondo dei sogni.Il giorno dopo, attraversai il cortile con il selciato, osservando i ciottoli levigati.Vedevo attraverso gli occhi.Ero il conducente di una macchina che era il mio corpo.Manuele mi raggiunse. Andammo alla mensa.Consumammo la colazione...Ci ritrovammo davanti al Vero Uomo. Tenne una lunga litania, quasi mi veniva sonno.Avevo difficoltà a tenere gli occhi aperti.La posizione, le gambe incrociate, la quiete, la sua voce bassa, profonda, le parole prolungate, le sillabe, le vocali tirate, i miei occhi diventavano sempre più pesanti.Ai lati del Vero Uomo c’erano fiori freschi e dal soffitto pendevano lampadari dorati, appesi a lunghe corde a pochi metri sopra le nostre teste.Dopo un’ora di orazioni, ci alzammo. Uscimmo nel cortile.Passeggiammo lungo il viale sterrato che conduceva alla cascata.Strada facendo, mi chiese cosa avevo capito.Gli raccontai l’esperienza del corpo che andava per conto suo e di me che pensavo di essere il conducente.«Hai ragione» rispose Manuele. «Ma credi di essere sempre tu il conducente?»Intanto, eravamo arrivati sull’altopiano adiacente la cascata e i canti degli uccelli che volavano, compiendo traiettorie circolari, rompevano il silenzio della natura.« La mente deve guidare il corpo e, così facendo, il corpo incarna il bene, e lo spirito cresce. Il corpo permette la crescita dello spirito. Le buone azioni fanno bene alla salute del corpo e della mente.».Prendemmo un secondo sentiero e c’incamminammo.Poco dopo, ci trovammo alle spalle del tempio, su una collinetta, da dove si vedevano i contadini lavorare nei campi.Sedemmo sotto un albero.«Mente e corpo», disse, «devono essere uniti, in armonia. Se questa unità, armonia viene meno, il corpo si ammala. È una questione seria. Il nostro corpo è sano, ma può deteriorarsi. Si ammala, se lo trascuriamo nell’alimentazione, nel riposo, negli esercizi fisici. Ma si ammala, anche se si ammala la mente, come uno specchio che riflette un volto».Si alzò.«Sei responsabile della salute del tuo corpo e della tua mente».Dopo qualche settimana, terminato il pasto, Manuele mi portò nel cortile del tempio, dove sedemmo su una panchina, in silenzio.«Cos’hai imparato?» chiese, guardando diritto davanti a sé una fila di canne di bambù alte, vicino al muro di cinta.Cercai di raccogliere i pensieri. Ricordavo le sue parole, l’insegnamento sulla salute e la malattia, sul prendersi cura del corpo e il suo rapporto con la mente. Glielo ripetei.Andammo nella sala del Vero Uomo per la preghiera e le letture cadenzate.Quando terminammo, mi sembrava di essere sollevato da terra. Il mio corpo era leggerissimo, quasi impercettibile.Uscimmo e prendemmo il viale che dal tempio portava alla cittadina vicina.Dalla cima di una collina vedevamo la città e si capiva che erano in corso varie attività.«Non devi mai dimenticare» disse Manuele, «che quello che fai qui ti serve perché, un giorno, sarai lì. Sarai uno di loro. Diventerai per loro una luce di salvezza. Sarai un Vero Uomo che vive nella società».Fece una pausa.«Andiamo» disse.Mi riportò sull’altopiano della cascata.«Hai conosciuto il corpo. Hai visto che ha funzioni indipendenti dalla tua volontà. E la mente la conosci? Se hai una mente, è perché la puoi gestire, proprio come fai con il corpo. La mente è invisibile, non la puoi vedere. È intangibile, non la puoi toccare. Ma nonostante questo, c’è, è vera, reale. Nella mente, ci sono i sentimenti, le emozioni, i pensieri, i concetti, le idee, maturano le decisioni».Fece una pausa.«Tu» disse «prima di agire, pensi».Tornammo al tempio. Erano le dieci del mattino. Il sole picchiava forte.Ero seduto su una panchina, all’ombra di un albero.Andai alla sala del Vero Uomo.Manuele stava meditando con altri tre monaci.L’aria era pregna d’incenso che emanava un forte odore di fiori d’arancio.A quel contatto la mente si svegliava, come a un richiamo.Uscirono uno dopo l’altro. Manuele mi raggiunse.Arrivammo in una grande sala, dove c’erano cuscini bassi e variopinti per terra, e, seduti su ognuno di questi, c’era un discepolo con accanto un monaco.Sedemmo e, poco dopo, un monaco anziano, con una lunga barba bianca, entrò.Sedette e chiuse gli occhi.Dopo di lui, lo stesso fecero i monaci e, a seguire, noi.Non so quanto tempo trascorse in quella posizione. Non so se entrai in uno stato di sonno, di sogno, di contemplazione. So solo che l’Om lento, progressivo, ripetuto dai monaci in successione, s’insinuò, entrò nella mia mente e con questo ripresi il contatto con il Mondo.Era sera, quando lasciammo quella stanza e ci avviammo verso la mensa.In seguito, salutandomi sulla porta, Manuele mi disse che il monaco che avevamo visto era «un Vero Uomo».Lo guardai con stupore.«Viene una volta all’anno» disse.Con queste parole, si congedò.Il giorno seguente, Manuele mi condusse sull’altopiano della cascata.Sedemmo su due massi.Prese una margherita. La raccolse e la guardò.Disse: «Noi siamo i costruttori di noi stessi. Solo tu puoi scegliere, decidere come interpretare gli insegnamenti e come lo farai tu non lo potrà fare nessun altro, perché ognuno di noi è unico e irripetibile».Fece una pausa, mentre degli aironi solcavano il cielo con le ampie ali bianche spiegate e i becchi lunghi e affusolati per poi planare, poco più distanti da noi.«Come sai» riprese «tu hai un corpo e, nel tuo corpo, alcune funzioni sono automatiche, come la respirazione, la digestione, le funzioni primarie. Altre sono semi automatiche, richiedono la tua volontà, come camminare, andare in un posto, piuttosto che in un altro, con un passo, piuttosto che un altro. Altre sono più sottili, come scegliere una parola da dire, piuttosto che un’altra o non dirla. Tu sei responsabile delle tue azioni e delle tue esperienze».Alzandosi e iniziando a camminare, disse: «Il cibo per la mente sono i pensieri».Fece una pausa.«Dovrai imparare ad essere altruista, ad accettare gli altri, ad amarli, a perdonare. Ad abbassarti, ad essere umile, a non prenderti troppo sul serio, all'occorrenza, a saperti lasciare andare, scherzare, giocare, cantare, ballare».Tornammo al tempio del Vero Uomo.A fine mese, Manuele era nella sala del Vero Uomo, da dove proveniva un dolce tepore.Aspettai fuori, seduto sulla panchina.Dalla finestra alta, lungo il corridoio, si vedeva il cielo.Terminata la meditazione, Manuele mi raggiunse.Sul suo volto comparve un grande sorriso.Ci avviammo verso la sala mensa.