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Platini eletto presidente della Uefa


"Il calcio è un gioco prima che un business" DUESSELDORF (Germania) - Michel Platini è il nuovo presidente della Uefa. L'ex campione francese è stato eletto con 27 voti contro i 23 andati allo svedese Lennart Johansson, che era alla guida dell'organo di governo del calcio europeo dal 1990. Due le schede nulle. Platini, 51 anni, tre volte nominato Giocatore europeo dell'anno, è il primo ex grande calciatore che assume una posizione così importante negli organismi sportivi. "Sono commosso - ha commentato dopo la votazione - molto commosso, e felice. Quando ero calciatore e si faceva una grande vittoria, si riceveva una coppa e si faceva il giro del campo con gli amici. E' una grande vittoria per me, ma non faccio il giro del campo, perché è un'avventura enorme che sta solo cominciando". E poi ha offerto a Johansson la carica di presidente d'onore della Uefa per "lavorare insieme". Nel discorso tenuto prima della votazione al congresso dell'Uefa a Duesseldorf, Le Roi ha sintetizzato in modo eloquente il suo programma: "Il calcio è un gioco prima di essere un prodotto, uno sport prima che uno marchio, uno spettacolo prima che un business". E ancora: "Voi avete tra le mani il il futuro del calcio europeo. Io incarnerò una visione ed una politica del mondo del calcio, mi presento come uomo sereno libero". Platini ha anche fatto riferimento alle recenti battaglie verbali con Johansson: "Ho condotto la mia campagna senza denigrare il mio concorrente, mi sono candidato poichè amo profondamente il calcio e l'Uefa. Mi sono preso il tempo di ascoltare, di affinare il mio progetto in funzione delle vostre preoccupazioni. Sono pronto, vi propongo di proteggere questo sport e di farlo fruttare insieme". Platini è arrivato all'elezione con slogan chiarissimi: "Voglio guarire il mio sport, non abbiate paura di me" e "Il calcio è malato e noi dobbiamo farlo guarire, prima che ci pensi un avvocato o un politico". E ora l'ascesa alla guida del calcio europeo fa dell'ex campione francese l'erede di fatto di Joseph Blatter per la presidenza della Fifa. Le Roi, nipote di un emigrante partito negli anni trenta dalla provincia di Novara, ricorda spesso le sue origini, il suo essersi fatto da solo. "Iniziai giocando per la squadra più importante della Lorena, poi continuai con il maggior club francese e finii con il più grande club del mondo", gli piace ripetere. Tutto inizia appunto in Lorena, a Joeuf, vicino Nancy. Terra strana, di confine e di emigrazione, terra non del tutto francese e neanche tedesca, luogo duro da vivere a tutto campo. A 17 anni Platini gioca già in prima squadra, ha la maglietta biancorossa, poi ecco il S.Etienne in biancoverde. E' forte, fortissimo, ma ha un grave handicap: è francese. Negli anni 70 il calcio blue quasi non esiste, non ha alcun prestigio. In Francia dicono che lo sport principale è il rugby. Ma ha un pregio, il calcio francese: costa poco. In Italia si riaprono le frontiere e l'Inter lo punta. Ma Michel si fa anche male, si rompe una caviglia e in nerazzurro finisce Prohaska. E allora ecco la grande scommessa dell'Avvocato Agnelli: costa 142 milioni di lire, Platini, a 27 anni, diventa l'affare del secolo bianconero. E così da calciatore juventino Le Roi diventa il trascinatore di una intera nazione calcistica, la Francia: in Italia sono gli anni della rivalità con la Roma di Falcao, in Europa ecco la prima grande vittoria dei Blues agli Europei del 1984. E' il simbolo della rinascita della Francia dopo le gesta di Fontaine, per lui è l'apice della carriera. La Juventus lo sospinge a vincere tutto: due scudetti, una Coppa Italia, una Coppa Uefa, una Supercoppa Europea, una Coppa dei Campioni (quella dell'Hysel) e una Coppa Intercontinentale. E' anche capocannoniere in Italia e vincitore del Pallone d'Oro per tre stagioni consecutive. Quando appende le scarpe al chiodo ha 32 anni, ma ha avuto tutto dal calcio giocato. Ora la grande scommessa è il calcio da dirigente. Nel 1987, Platini diviene allenatore della nazionale francese. Poi è l'anima del mondiale nel 1998, la carriera politica decolla. Diventa anche vicepresidente della federcalcio francese. E anche da dirigente la sua sarà una carriera con le contraddizioni che hanno più volte caratterizzato la sua vita: figlio del popolo che finisce per giocare nell'aristocratica squadra degli Agnelli; vuole scalare il potere dell'Uefa ma durante gli scontri nelle banlieue parigine in rivolta dichiara: "Anch'io, emigrato italiano, ero uno di loro" e nella polemica Sarkozy-Thuram si schiera con il giocatore: "Lilian ha fatto bene a parlare". Nei confronti dell'Italia mantiene un rapporto agrodolce, fatto di riconoscimenti e critiche al vetriolo. Ne ha per tutti: per Totti, per il calcio italiano, persino per Del Piero. E critica il Pallone d'Oro a Cannavaro. Prima del mondiale di Germania scommette che l'Italia non sarà tra le quattro finaliste, poi finisce con Lippi e gli azzurri portati in trionfo. E' un uomo felice e soddisfatto, il suo sogno è quello di "restituire qualcosa al gioco che mi ha dato così tanto", a partire dalla poltrona di "re d'Europa". (26 gennaio 2007)