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« Messaggio #20Latina. Calcio. I numeri... »

Voglio guarire il mio sport

Post n°21 pubblicato il 10 Gennaio 2007 da ultraphoto

PARIGI - Dalla finestra dell'ufficio si vede la torre Eiffel piena di lustrini, con qualche tocco di verde pacchiano e quasi consolante (allora non è solo a Milano che sbagliano le illuminazioni). L'ufficio è quello del vicepresidente della federcalcio francese, Michel Platini, candidato alla presidenza dell'Uefa. Si voterà il 26 gennaio a Dusseldorf ed è un'occasione importante per il calcio europeo. Lo scontro col presidente uscente, lo svedese Lennart Johansson, si può vedere in molti modi: il giovane contro il vecchio (Platini ha 51 anni, l'altro 77, e 17 anni fa aveva esordito con un "largo ai giovani" mai realizzato), il latino contro il nordico, l'uomo di campo contro l'uomo di scrivania. Ma è (sarebbe) la prima volta, ove vincesse Platini, in cui vedremmo un uomo di sport a reggere quello sport in tutto il continente. In una situazione normale, non ci sarebbe lotta, da tanto è inadeguato Johansson, che infatti s'era chiamato fuori. Tant'è che Platini chiarisce: "C'era un posto vuoto e pensavo di avere i requisiti per occuparlo. Non mi sono candidato contro di lui. E' lui, accettando di tornare in pista, a candidarsi contro di me".


Gli avversari di Platini puntavano inizialmente su una contrapposizione con Beckenbauer, che non ne ha voluto sapere. Blatter per ora fa l'equidistante. Domani sarà a Parigi per inaugurare la sede della Ffc, un curioso impasto di ultramoderno e bassorilievi da realismo socialista. Ci sarà anche Johansson. "Siamo già d'accordo, all'aeroporto vado a prenderlo io", dice Platini. Che lunedì prossimo sarà a Roma per un incontro con Pancalli. Il fatto che sia accompagnato da Jean-François Lamour, ministro francese dello sport, può far pensare a una visitina a Giovanna Melandri, ma non ho approfondito. Platini esporrà il suo programma di massima a Pancalli, che di suo dovrebbe essere favorevole (come Tavecchio e, forse, Petrucci). Il peso dei contrari (Carraro, Matarrese, i grandi club) resta notevole. Il voto italiano per Platini al momento è più no che sì. No, certamente, da Spagna, Olanda, Germania. In bilico l'Inghilterra. I sì dovrebbero arrivare dalle piccole federazioni, quelle per cui Platini predica, nei limiti del possibile, maggiore visibilità.
"Perché un ragazzino islandese, ungherese o maltese non deve avere la possibilità di vedere la sua squadra contro il Chelsea, il Real, il Milan? Mi risponde lei?".

E' superfluo. Perché al Chelsea, al Milan, al Real non importa nulla di giocare contro le squadre del ragazzino.
"Mi viene da ridere all'idea di un Platini pericoloso rivoluzionario. Da anni trovo solo gente che mi dice com'era bella la Coppa dei campioni a eliminazione diretta. Vero, era bellissima. E la Champions è meno bella, il fattore-sorpresa è praticamente azzerato. Mi chiedevo: ma perché certe nazioni hanno 4 squadre in Champions? Quattro, che numero è? Perché non 5 o 6, allora? Però mi sono accorto che tornare alla vecchia formula era impossibile, perché tutti i soldi che girano nel calcio li produce il calcio coi suoi tornei e i soldi servono anche a iniziative di solidarietà, di sostegno, i soldi non sono il male assoluto ma non devono essere il valore assoluto. La mia idea per la Champions è di ammettere al massimo tre squadre, anche la terza senza turni preliminari. Così si ritaglierebbe un po' più di spazio per altre realtà calcistiche, che possono crescere solo confrontandosi, non restando eternamente nel loro limbo".

Qui siamo già nel cuore del programma. All'inizio della chiacchierata, però, Platini aveva insistito per toccare il tasto dolente: lui e l'Italia.
"Da qualche mese ho la sensazione che tutto quello che dico, anche una battuta, venga usato per rendermi antipatico agli italiani. Mio nonno era italiano, io all'Italia devo moltissimo: risultati, celebrità, felicità, quattrini. Se qualcuno a Parigi mi fa i complimenti per strada, nove su dieci è italiano, non francese. Se dico che la Francia ci ha messo 70 anni a battere l'Italia e che l'Italia dovrà aspettarne altri 70 per tornare a battere la Francia, è un modo per sdrammatizzare il pronostico. Tra l'altro, come vicepresidente federale, sarebbe anche strano che augurassi una vittoria a qualcuno, contro di noi. Hanno detto che c'era il mio zampino dietro le due giornate di squalifica a Materazzi. Bugie: non mi sono mai occupato di quello storia. Poi, Totti. In tempi non sospetti lo avevo definito un genio e anche, nel gioco, abbastanza simile a me. Poi succede che mi chiama un giornalista italiano e tra una domanda e l'altra butta lì: Totti non risponde alle convocazioni di Donadoni, lei come si regolerebbe? Dico: se vale il regolamento, dovrebbe scattare la squalifica. Titolo il giorno dopo. Platini: squalificate Totti. O è cambiata l'Italia o sono cambiato io, non so".

Platini, ma chi glielo fa fare?
"Di candidarmi? Potrei dire che lo faccio per sdebitarmi, il calcio mi ha dato molto e cerco di ricambiare. Ma saprebbe di melassa, lasciamo stare. Le rispondo che sento l'Uefa come casa mia: Jacques Georges era amico di mio padre, la mia carriera è passata tra le sofferenze dell'Heysel, i tre Palloni d'oro, l'Euro '84. Io ho vissuto il calcio come sport, come lotta, come passione, come gioco, ed era un calcio che significava unione, solidarietà, rispetto dell'altro, tutto quello che adesso manca, i famosi valori che si sono persi. Ma non sono tesori sepolti in fondo al mare, come le monete dei galeoni spagnoli. Ho girato l'Europa del pallone e ho fatto incontri commoventi, che allargavano il cuore. Gente con poche risorse, ma tanta volontà, tanto amore. Se ho vissuto e amato quel calcio, mi ritrovo a disagio in questo, tutti in lite con tutti, tribunali e giudici, violenza e razzismo, calo delle presenze allo stadio, doping, qualità delle partite nettamente calata. Oltre che per l'organizzazione e il clima sano tra i tifosi, che cosa si ricorderà dell'ultimo mondiale fra 15 o 20 anni? Solo la testata di Zidane a Materazzi".

Che non rappresenta un bel manifesto per il calcio.
"No, certo. Da cosa dipende? Forse ci sono giocatori con meno personalità, o tattiche più ferree. E sì che doveva essere il mondiale degli artisti".

Quindi è normale che il Pallone d'oro lo vinca Cannavaro, in assenza di fantasisti.
"Ribadisco che l'avrei dato Buffon, il portiere come simbolo di tutto un reparto. Ma va bene anche Cannavaro. Però in Germania il più bravo di tutti gli azzurri è stato Lippi, questo va detto".

Johansson dice che lei è inesperto.
"Io so cos'è il calcio e l'Uefa si occupa di calcio. Mi sento pronto. E tra un esecutivo di 15 persone, i 52 membri del congresso, i 200 impiegati, ci sarà pure qualcuno che mi aiuterà ad aumentare l'esperienza. Sa una cosa? Io sogno una specie di carta costituzionale stesa da tutte le famiglie del calcio: tecnici, giocatori, dirigenti, arbitri, tifosi. Resto contrario al G14, ma le nostre sale sono aperte ai dirigenti dei grandissimi club, l'ho detto anche a Galliani che m'ha chiamato un paio di giorni fa. Parliamoci. Il calcio è malato e noi dobbiamo farlo guarire, prima che ci pensi un avvocato o un politico. Troppi parlano del calcio come di un prodotto, come se al posto del pallone ci fosse un frigorifero o un cellulare. Ma la leggenda del calcio, la storia, la grandezza, non l'hanno fatta gli uomini del business ma la bellezza del gioco, i numeri dei campioni, la passione della gente".

Girando all'est, si sarà accorto che il problema dell'identità del calcio esiste anche lì. Crede si arriverà prima o poi al 6 più 5 indicato da Blatter e prima da Veltroni e, modestamente, ancora prima da me?
"Credo che Fifa e Uefa debbano intensificare la collaborazione. Per me Blatter è un buon presidente".

Vedrà che qualcosa di cui scusarsi lo trova anche a Parigi.
"Non so. Comunque, non si può ignorare la legge-Bosman. Io ho un piano per tutelare i vivai. Non mi va bene che a 15 anni Fabregas sia prelevato dall'Arsenal, ma il discorso vale per Rossi, Lupoli. Proporrò che prima di partire all'estero un ragazzo debba aver giocato tot numero di partite in prima squadra, là dove si è formato".

La violenza, con relativo morto, è arrivata anche da voi.
"Il morto lo aspettavamo da 20 anni. Sa quanti diffidati a frequentare gli stadi c'erano in tutta la Francia? Undici, prima di quella sera a Parigi. Adesso sono 200, ma potrebbero essere 2.000. Purtroppo sono i drammi che fanno avanzare le cose. Dopo l'Heysel la metà degli stadi europei sono stati ripensati. Ma se da un lato non ci aiutano le leggi e dall'altro non c'è cultura sportiva, non se ne esce".

Non ha pensato a uno slogan?
"Non essendo un prodotto, no. So di avere delle idee, non pretendo che siano le migliori ma sono disposto a discuterle con chiunque, e ad accettare quelle buone".

Prima mossa in caso di vittoria?
"Nominare Johansson presidente ad honorem".

E nel caso opposto?
"Dieci giorni su un'isola lontana. A dormire e a perdere 8/10 chili, possibilmente".
Seguono scongiuri, in fin dei conti ci conosciamo da un quarto di secolo.

 
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