Un cuore monastico

Monachesimo Interiore


Nella lettera apostolica Orientale lumen, Giovanni Paolo II evoca il monachesimo come esemplarità della vita battesimale, mutuandolo proprio dalla teologia e dalla liturgia delle Chiese d’Oriente. “Il monachesimo non è stato visto in Oriente soltanto come una condizione a parte, propria di una categoria di cristiani, ma particolarmente come punto di riferimento per tutti i battezzati, nella misura dei doni offerti a ciascuno dal Signore, proponendosi come una sintesi emblematica del cristianesimo”.I cardini della vita monastica altro non sono che i principi della vita cristiana ridotti all’essenziale: il primato dell’amore di Dio e del prossimo; l’incessante ascolto della Parola; la conversione continua nell’adesione all’opera dello Spirito che purifica e unifica il cuore, la ininterrotta preghiera di lode e di intercessione; la carità senza limiti e condizioni. Questo “Monachesimo interiore” trova il suo fondamento nel Vangelo di Giovanni: “Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che mi hai dato, perché sono tuoi(…) Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. (…) Io ho dato a loro la tua parola e il mondo li ha odiati perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. (…) Come tu mi hai mandato nel mondo, anch'io li ho mandati nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch'essi consacrati nella verità. (Giovanni 17,1-22)La vita di ogni cristiano è dunque contraddistinta da una dimensione “monastica” come vocazione fondamentale. Tale dimensione “monastica” come vocazione specificatamente cristiana è espressa dalla Lettera a Diogneto, scritto patristico dell’età subapostolica: “I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, né essi aderiscono ad una corrente filosofica umana, come fanno gli altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera.” (Lettera a Diogneto cap. V).La storia della spiritualità russa ci dona un esempio di questa santità allo stesso tempo monastica e laica. È la figura di Juliana Lazarevskaja (secolo XVI-XVII), che ha raggiunto la pienezza della vita cristiana nelle condizioni ordinarie di una madre di famiglia, in un ambiente dove regnava la violenza individuale e sociale. Questa donna visse, nel profondo del suo cuore, l’esperienza monastica. Rinunciò a realizzare concretamente questo ideale per amore del marito e dei suoi sette figli. Così riporta la testimonianza oculare di un figlio: Il marito la supplicò di non abbandonarlo: egli diventava vecchio e i bambini erano ancora piccoli. Per convincerla gli lesse un passo dagli scritti dei “Santi Padri”: “L’abito nero (monastico) non ci salva se non viviamo secondo la regola monastica. E l’abito bianco (del secolare) non ci conduce alla rovina, se facciamo ciò che piace a Dio”. Juliana allora rispose semplicemente: “Sia fatta la volontà di Dio”, e decise di restare con i suoi.Juliana morì confessando che il suo desiderio sarebbe stato di vivere la “vita angelica” (monastica), ma che Dio, senza dubbio,non l’aveva giudicata degna a causa dei suoi peccati. Come Juliana Lazarevskaja, molti altri laici continuano a realizzare, in modo nascosto agli occhi del mondo, ciò che Tichon di Zadonsk definisce “monachesimo interiorizzato”. Infatti, scrivendo alle autorità ecclesiastiche, Tichon dice: Non siate preoccupati di moltiplicare i monaci. L’abito nero non concede automaticamente la salvezza. Colui che porta l’abito bianco e che possiede lo spirito di obbedienza, di umiltà e di purezza, questi è un vero monaco che vive il monachesimo interiorizzato.