Io, Libertario

Smascherare una finta liberalizzazione


  Egregio lettore il buon Bersani, che purtroppo di nome non fa Samuele e non scrive canzoni splendide come Lascia stare, che sembra scritta ad arte per certi politicanti, è balzato alle cronache per il suo famigerato decreto estivo; ma il suo acuto mitologico è intonato solo per i cultori del qualunquismo politico-economico: ha saputo vendere come liberalizzazione un provvedimento che rappresenta, nei fatti, l’esatto contrario e che potenzialmente danneggia migliaia di lavoratori. Mi riferisco alle scommesse sportive ed ippiche, settore in cui la mano dello Stato pesa ben più che in altri contesti, come i taxi e le farmacie. Partirò proprio da qui, ovvero smascherando questa finta liberalizzazione, per raccontarLe un purgatorio degno delle più ciniche pellicole noir. E, se lo vorrà, potrò dedicare le prossime settimane alla narrazione dettagliata di una storia tragicomica che inizia nel lontano 1998, con il primo Bando di Gara che distribuì le concessioni per l’esercizio delle scommesse sportive e che, da allora, ha seminato fallimenti piccoli e grandi tra l’imprenditoria di settore. Per trasformare in azione quel chiodo fisso, ovvero l’idea “liberale” del Bersani, i tecnici dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato pubblicano in tutta fretta, udite udite, un Bando di Gara per l’assegnazione di circa 16.300 punti di raccolta delle scommesse sportive ed ippiche. Ma Lei ha mai visto una liberalizzazione in cui viene assegnato all’asta un diritto? Una liberalizzazione in cui viene premurosamente specificato chi risponde ai requisiti per partecipare alla gara stessa e quali sono le modalità con cui solo i candidati più generosi accederanno a quel mercato? Io no e posso asserire, con piglio scientifico, che si tratta di una finta liberalizzazione: tecnicamente parlerei di un rastrellamento di denari privati per le fameliche casse dello Stato, ovvero un’iniezione ex-novo di tasse in uno scenario dove c’è ben poco da rastrellare; ma viene trasformato, grazie alla frenetica propaganda cui sono addestrati certi media, in una grande e sensazionale liberalizzazione a tutto vantaggio dei consumatori. Facendo due conti, l’asta porterà in cassa circa 350 milioni di euro già a gennaio grazie alle offerte in busta; cui si aggiungeranno le imposte sul gioco che, calcolate sulla base del mercato allargato, dovrebbero attestarsi sui 150 milioni di euro nel 2007. Una mossa cioè da 500 milioni di euro, ovvero quasi il 2% dell’ipotetica manovra Finanziaria, un 2% poco impegnativo se paragonato ai delicati equilibri economico-sociali del Paese. Ma cosa produrrà questo bando, nel dettaglio? Non un vantaggio per i consumatori, che avranno a che fare con gli stessi servizi dato che non viene liberalizzata l’offerta di gioco, che resta nelle mani dell’AAMS. Ma un riassetto della rete di vendita delle scommesse, questo sì. Rete oggi frammentaria e contraddistinta da una concatenazione di lacunae legis che ne rendono pressoché indecifrabile la struttura per la presenza di punti di raccolta non autorizzati e border-line. Potrà il bando di gara, che distribuisce sul territorio diritti di raccolta come fossero bandierine del Risiko, riportare tutto il business nei canoni della legalità (traduco: nella scia di chi paga le tasse all’AAMS e non all’estero)? Assolutamente no, prima di tutto perché la mappa tracciata dai tecnici del governo scaturisce non da un censimento reale, ovvero dall’analisi dell’offerta che oggi è effettivamente appoggiata a terra grazie ad agenzie, ricevitorie, centri internet, punti semi-illegali e così via, bensì da un mero esercizio geografico. Secondariamente perché questa gara scatena un nuovo ed imponente problema: quello delle ricevitorie che sino ad oggi hanno raccolto il gioco dagli italiani. Ricevitorie che sono sul piede di guerra. Ma questa, almeno per adesso, è un’altra storia.