Il mondo di Valendì

Per non dimenticare....Festa della Donna


Auguri insoliti per non dimenticare il motivo di questa festa e il silenzio di tante donne che non hanno potuto combattere e difendere la propria libertà.Ho riportato alcune storie di donne uccise in Capitanata,nella mia Terra.Testimonianze per indurre a riflettere affinchè questo giorno non sia motivo per “svincolarsi” dai propri mariti,ricevere fiori e recuperare in un giorno tutti gli anni di non-libertà.Gli sforzi e le lotte miravano a renderci “libere” dalle discriminazioni.....Oggi i locali con i California Dream Men ci rendono libere da cosa?Dalle fantasie erotiche....che non potremmo mai immaginare o soddisfare con il nostro compagno?:-)“....Il caso di Antonietta Scalise, la donna di 53 anni, originaria di Catanzaro ma residente in Germania dove viveva con il marito e i figli. Una vita tranquilla quella di Antonietta: 33 anni di matrimonio con il ritorno nel paese d’origine del marito, Sannicandro Garganico, ogni estate: come quella del 2004. Dovevano essere ferie tranquille ma non sapeva che sarebbero state le ultime. Il suo corpo non è stato mai ritrovato. Gettato, dopo che il marito, Antonio Battista di 60 anni, al termine di un litigio l’ha colpita alla testa uccidendola, in un cassonetto dell’immondizia e poi trasportato, come fosse un pacco da gettare via nella discarica di Vieste, insieme ai tanti rifiuti dei turisti che ogni anno popolano le spiagge del Gargano. Uccisa, Antonietta, sembra perché aveva detto sì ad un gelato offerto da un vicino di ombrellone, per il marito l’ennesima prova di un tradimento, un tradimento che, come scopriranno poi gli investigatori, non c’è mai stato. Più recente è la storia di Giusy, la ragazza di 15 anni che per circa un mese ha tenuto tutti incollati alla televisione a sentire le ultime notizie che giungevano da Manfredonia. Era il 12 novembre dello scorso anno. Pioveva e Giusy scese in strada per una commissione alla madre: acquistare due cd in un negozio poco distante la sua abitazione. Sono le 17,15, quando Giusy si reca al negozio. Acquista i cd mentre un ragazzo si ferma a parlare. Forse la infastidisce e lei, come racconteranno poi i pochi che l’hanno vista, per mandarlo via dice che deve andare, c’è suo zio che l’aspetta. Una frase che al momento non sembra importante: ma solo al momento. Poi silenzio. Silenzio il suo telefonino che non squilla. Silenzio i tanti ragazzi che anche quella sera erano davanti al negozio di cd ma che non vedono Giusy. Nessun silenzio, invece, dalla madre che chiede aiuto, ai passanti e alle forze dell’ordine. Fino a quando il giorno successivo, è il 13 novembre e continua a piovere, qualcuno che non si fa riconoscere scopre un piccolo corpo alla periferia di Manfredonia. E’ quello di Giusy che giace a poca distanza da una pozzanghera d’acqua piovana e dalla scogliera che molto spesso gli innamorati scelgono come sfondo per qualche momento di amore e di intimità. Forse è caduta dalla scogliera si ipotizza in un primo momento. Forse uccisa dopo aver abusato di lei. E in città si sparge la paura del branco, specie dopo le dichiarazioni della madre sulle amicizie pericolose della figlia. Passano giorni,settimane fino al 23 dicembre quando nel mare adriatico una motovedetta della Guardia Costiera affianca un peschereccio di Manfredonia: a bordo tra i pescatori c’è anche lo zio di Giusy, Giovanni Potenza. E’ lui che il 12 novembre ha colpito mortalmente la 15enne. Il pescatore, sposato e con due figli, crolla e racconta tutto. La relazione clandestina con la nipote, la voglia di troncare questa relazione e la minaccia di Giusy di raccontare alla moglie questo rapporto. Era lui lo zio che aspettava fuori dal negozio di cd. Giallo chiuso? Niente affatto. Il giallo continua, anzi. Giovanni Potenza ha ucciso Giusy perché la ragazza minacciava di raccontare tutto alla moglie. Ma di questa relazione le compagne di classe, gli amici e i familiari di Giusy, tutti dicono di non saperne non sapevano nulla. Possibile? Una risposta non c’è ancora. Donne martoriate, torturate, seviziate. Come Antonietta Scalise, Giusy e come Fedora Cavagna, anche lei uccisa forse per amore. Di cui sarebbe stato trovato un altro resto del suo povero corpo martoriato: l’arcata dentaria nelle campagne di Ascoli Satriano, a circa 200 metri dal luogo in cui fu trovato il cadavere decapitato della donna. 32 anni, residente a Nocera Inferiore, da qualche tempo era innamorata di un rumeno di 35 anni Robert Marian Cristea. Un extracomunitario che lavora in una cartiera del salernitano ma che negli ultimi tempi sembra sia in preda, come racconta il suo datore di lavoro, di strane crisi mistiche. Tutto sembra filare per il meglio quando il fratello 19enne di Fedora non allarma gli agenti di polizia: mia sorella è scomparsa. Nessuna notizia di lei, nessuno squillo di telefono fino a quando agli investigatori giunge una telefonata di un amico di Cristea: «la donna è stata uccisa dal fidanzato che ha gettato il corpo vicino un ponte a pochi chilometri da Foggia». I poliziotti si dirigono nel posto indicato e dopo poche ore trovano il corpo di Fedora ma mutilato della testa. Forse per l’azione degli animali, ipotizzano. No. La donna è stata decapitata sembrano indicare gli esami dell’autopsia. Cristea, che nel frattempo è fuggito all’estero forse a Lourdes o Fatima mentre la sua auto viene trovata a Genova, non ha mai parlato di decapitazione. Ha ammesso l’omicidio, dirà il suo legale, ha indicato il luogo dove aveva gettato il corpo, ma non ha mai detto di averle tagliato la testa. E il giallo continua. Donne martoriate, torturate, seviziate. Come Antonietta Scalise, come Giusy, come Fedora Cavagna e come Carmina Ferrante, la moglie dell’ex sindaco di San Marco in Lamis, ritrovata morta nella sua abitazione il 30 novembre del 1993,l’indagine è tornata alla ribalta proprio nel 2004. L’ex sindaco di San Marco in Lamis, Michele Lamacchia, nei mesi scorsi ha ricevuto un avviso di garanzia con l’accusa di omicidio aggravato nell’ambito dell’inchiesta sulla morte della moglie. Carmina Ferrante, 30 anni, venne ritrovata la sera del 30 novembre di 12 anni fa riversa su un divano: si era uccisa con un colpo di pistola alla testa. Questa almeno la tesi ufficiale fino a pochi mesi fa. Una tesi che non ha mai convinto i genitori della donna che più volte hanno chiesto la riapertura del caso fino a quando i magistrati gli hanno dato ragione. Troppe incongruenze, troppi punti oscuri: un vero e proprio caso da poliziesco. Stando alla ricostruzione fatta dopo aver trovato il cadavere, Ferrante si sarebbe uccisa sparandosi un colpo di pistola alla tempia sinistra, impugnando l’arma con entrambe le mani. Ma lo stub, l’esame che serve per verificare la presenze di particelle di polvere da sparo, conferma che solo la mano destra è sporca di polvere da sparo e non la sinistra. Inoltre il cuscino su cui poggia la testa della donna non è sporco di sangue. Tanti interrogativi senza risposta 13 anni dopo il fatto....”FONTE:GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO8/1/2005