Caffè Letterario

felicità e fantasia...


L'appuntamento con Vania è per le sette e mezzo, qui al bar del porto. Sono in anticipo, piove e fa freddo, così decido di entrare per bere una cioccolata calda. Stella non c'è, c'è una barista bionda, fisico asciutto, camicetta attilatissima. Niente male. Intravedo Vania attraverso il vetro della porta. Mi sorride ed entra.Continua a sorridere mentre prende posto accanto a me. Ordina una cioccolata calda anche lei. Mi hanno colpito le tue parole di ieri sera, - attacca - , quando dicevi che è necessario controllare la fantasia in tutto quello che attiene la nostra felicità e infelicità. Cosa intendevi dire? Semplicemente che non dobbiamo costruire castelli in aria, - rispondo con calma, mentre immagino di nuotare nel mare di quei suoi occhi, che mi guardano con dolcezza e sfida - ,prima perché costano troppo e poi perché possono distruggersi molto facilmente. Io credo che, per tutte le cose che riguardano la nostra felicità, dobbiamo usare gli occhi della ragione e fare in modo che la fantasia rimanga sempre ai margini. Questo per una ragione molto semplice: la fantasia non è in grado di emettere giudizi su ciò che è bene o male, bello o brutto. Procura solo immagini che agitano l'animo, il più delle volte inutilmente e dolorosamente. E' ciò che le cose rappresentano per noi, secondo il nostro punto di vista, a renderci felici o infelici e non le cose nella loro realtà e oggettività. Dirò di più: un uomo, spiritualmente limitato, è molto più felice, anche se io non invidierei per nulla un uomo siffatto. Vania mi guarda con attenzione e mi dice: C'è molto pessimismo nelle tue parole e non credo che tu sia così pessimista. Le sorrido e di rimando le dico: Ho costruito mille castelli e mi ritrovo con una stalluccia. E' questa il mio castello adesso. Qui mi sento come un danzatore che, finalmente, non si ritrova più davanti solo persone zoppe e che non è più costretto a chiedersi: ma con chi ballerò adesso? Mi guadagno un altro bel sorriso, mentre fuori un timido sole s'affaccia tra una coltre di nubi. Non si può soffrire più di quello che ha deciso la natura. (C. Bukowski)