vasco68

black ice....nuovo cd dcgli AC/DC


Bastano tre riff, agli Ac Dc, per tornare ad essere grandi. Tre riff che, nella loro storia, sono sempre stati la base, l’altezza, il perimetro ed anche l’area di una costruzione musicale immutata e immutabile, sempre uguale a se stessa e, grazie al cielo, portatrice sana di rock and roll. Un po’ come i Ramones. Anche per loro tre riff e la storia servita su di un piatto di platino.Tre riff, otto anni dopo l’ultima fatica discografica, per riprendersi la storia e dimostrare una lucidità non comune. Tre riff, tre accordi, una batteria, un basso e tantissima energia. Mica male per un gruppo che, a testa, totalizza almeno cinquant’anni abbondanti di anagrafe, e almeno trenta di palco e studi di registrazione.Bastano i tre riff di Rock And Roll Train, o i tre riff a ritmo uptemo (tipico del gruppo Australiano) di Skies On Fire per dire “ok, Ac Dc, ben tornati tra noi”. E battere le mani e i piedi a tempo pervasi da quel Hard Rock Boogie che solo loro hanno saputo inventare.Già, perché cogliamo l’occasione per chiarire, una volta per tutte, un grande equivoco. Gli Ac Dc non sono metal. Non lo sono mai stati. E questo nonostante i tentativi maldestri degli storiografi impreparati, che li hanno buttati nella mischia di Iron Maiden e Judas Priest, dicendo “le metal c’est ca”, senza alcun criterio logico e culturale. Gli Ac Dc hanno inventato un suono, derivato pienamente ed indiscutibilmente dal blues (la loro musica è e sempre sarà blues, ascoltate, sempre in Skies On Fire, le trame puramente pentatoniche della scala chitarristica). Gli AC DC hanno inventato l’hard boogie, e sono stati forse più vicini ai Deep Purple, pur con tutte le distinzioni del caso, ai Sex Pistols e agli Heartbreakers che a qualsiasi altro gruppo Heavy. Non a caso, pensate, la sera prima del primo tour inglese degli Ac Dc, i fratelli Young scapparono dall’albergo per andare a vedere (e rimanere folgorati) i Sex Pistols, portando poi il loro credo in Australia. Correva l’anno 1976. Chiusa la parentesi e la puntualizzazione.Torniamo a Black Ice che non è solo una grande conferma (ma non ce n’era bisogno) ma è anche una delle migliori produzioni degli Ac Dc degli ultimi quindici anni: un disco che si lascia alle spalle certe pallide prove fatte di stanchezza e poca voglia di suonare. Ecco, il gruppo dei fratelli Young (110 anni in due) sembra aver ritrovato il desiderio, l’energia mentale e fisica, di suonare ad alti volumi, liberando un istinto che non li ha mai traditi. Non potrebbe essere altrimenti, dopo aver sentito una Big Jack, una War Machine, (molto simile, udite udite, alla Given The Dog A Bone, classico del gruppo) o una Smash’n’Grab che sprizzano fuoco e grande chitarrismo hard boogie.Cosa dire d’altro? Sinceramente, rischieremo di ripeterci. Di certo non possiamo non sottolineare come, la grande notizia, stia proprio in questa rigenerante e rigenerata voglia di sputare fiamme dalle chitarre, e lanciare grida di battaglie a tutto rock, costruendo un album che dal vivo sarà sicuramente una macchina da guerra. Rimango sbalordito, come rimasi dieci anni fa vedendo i Deep Purple dal vivo, come rimango tutte le volte che i Motorhead di Lemmy Klimster salgono on stage. Ogni volta che la riflessione diventa noiosa ma inevitabile: la banda di vecchietti che ha fatto la storia del rock dà ancora lezioni di classe e impeto a tutti. Oggi tocca gli Ac Dc di Black Ice, un album impedibile per chiunque abbia sangue nelle vene, e rock nel cuore.